Siamo ancora in grado di scoprire nuova musica?

Il digitale é il regno dei paradossi: se da un lato abbiamo accesso a tutta la musica del mondo, dall'altro l'algoritmo di fatto ci impedisce o quasi di allargare gli orizzonti. Un confronto sul tema

25/08/2020 - 11:30 Scritto da Redazione

Siamo giunti al paradosso: nell’era di Internet, quando potenzialmente potremmo espandere all’infinito le nostre conoscenze sulla musica di un periodo, di un genere o di un artista rispetto al passato, ci troviamo difronte all’impossibilità di farlo. Perché gli strumenti che abbiamo per conoscere nuova musica presentano all’utente contenuti già in linea con i propri gusti. Colpa degli algoritmi, che intercettano il comportamento degli utenti e preparano loro il campo sicuro dove trovare quello che cercano, anticipando ogni intenzione.

Il rischio è, ovviamente, quello di non riuscire a uscire dalla propria "bolla" e continuare a vagare all’interno di un terreno che elude dalle novità e inganna l’utente di progredire nel suo cammino verso la conoscenza dell’altro. Una dinamica che riguarda tutte le informazioni, le idee o le credenze che "vengono amplificate o rafforzate dalla comunicazione e dalla ripetizione all’interno di un sistema definito". Vedi Facebook, ad esempio: la nostra cerchia di amici raramente la penserà diversamente da noi, e difficilmente troveremo nella nostra home contenuti che non vorremmo leggere o con cui non ci troviamo d’accordo.

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Tornando alla musica, anche qui siamo immersi nella nostra echo-chamber. Ne parla il New York Times – per chi volesse una sintesi in italiano dell'articolo, qui il solito ottimo lavoro del Post –: a causa della progressiva personalizzazione dei servizi di streaming – e anche delle stazioni radio – oggi è più difficile scoprire nuova musica, sia di generi che non pratichiamo sia vecchia di anni lontani, e le "bolle" di gusto stanno diventando stagne, poco in comunicazione l’una con l’altra. In passato, invece, era molto più facile entrare in contatto con gusti differenti dal nostro: la musica che ascoltavano i nostri genitori, le radio generaliste, i negozi di dischi.

Spotify, Apple Music e altri servizi di streaming producono playlist già compilate che permettono agli utenti di scoprire nuova musica ­– come Fresh Finds di Spotify –, ma più si usa la piattaforma, più anche quest’esperienza diventa personalizzata. "La personalizzazione ha la funzione di offrire all’utente contenuti che possano andare incontro ai suoi gusti, ma serve che l’utente faccia lo sforzo di decidere che cosa vuole da Spotify", spiega Lizzy Szabo, autrice di playlist per Spotify, al New York Times.

is a playlist that someone made, somehow - foto via Flickr
is a playlist that someone made, somehow - foto via Flickr

Ed è proprio questa la questione: quanta energia siamo disposti ad impiegare per andare oltre la nostra "bolla"? In che modo possiamo uscire dalla nostra echo-chamber? Infondo, grazie a Internet abbiamo tutti gli strumenti per scoprire nuova musica. Ma siamo davvero nelle condizioni per farlo?

La redazione di Rockit.it si confronta sul tema e sui propri metodi di ricerca di nuova musica.

Simone Stefanini:

"Nella preistoria, quando esisteva l’industria discografica, se volevi scoprire musica nuova, avevi un po’ di opzioni: guardavi i video in rotazione su Videomusic o MTV, ascoltavi i consigli dei tuoi amici più grandi, leggevi le riviste di critica musicale, visitavi ogni paio di giorni il tuo negozio preferito di dischi, ascoltavi quelli che volevi o ti lasciavi guidare dal gestore. In quel caso, rimanevi ammaliato o disgustato dalle copertine, dalle foto che campeggiavano giganti nei vinili o comunque ben visibili nei cd. Alcuni di noi, oltre che dalla musica, si facevano stregare dai nomi degli autori, dai testi, dai ringraziamenti a gente che manco sapevamo chi fosse, perché il disco era un oggetto che non conteneva solo una raccolta di canzoni, ma anche la bussola per orientarsi nel mondo degli artisti, capire il loro percorso e le loro intenzioni. Quando siamo teenager, riusciamo a imparare a memoria le canzoni meglio di quando diventiamo adulti, sappiamo cantare anche le parti strumentali, gli assoli e azzecchiamo perfettamente la durata del silenzio che intercorre da un brano a un altro. Io, ad esempio, ricordo ancora i nomi dei produttori, dei fonici, dei familiari della band, perché leggevo avidamente ogni nota come fosse un libro.  Oggi la fruizione della musica è del tutto diversa, siamo contemporaneamente tornati indietro al tempo dei 45 giri nel mangiadischi e volati nel futuro con lo streaming dei singoli, che escono il venerdì su tutte le piattaforme online. Io mi comporto un po’ allo stesso modo: cerco le foto, guardo i video, leggo le interviste, le recensioni, mi documento, quindi non è  cambiato granché, anzi. In qualche modo sono avvantaggiato dal digitale, posso avere tutto e subito, consumare come voglio il prodotto e passare ad altro, che mi viene recapitato direttamente dalla piattaforma in questione. Mi piacciono le playlist personalizzate di Spotify, Discover Weekly e Release Radar, che mi permettono di ascoltare nuova musica senza il minimo sforzo, ma oggi più che mai uso Shazam durante le serie tv o i film per trovare il titolo delle canzoni che appaiono nelle colonne sonore e che non conosco, faccio dei giri su Soundcloud o Bandcamp per cercare novità indipendenti che non finiscono nelle piattaforme mainstream e, quando possibile visto il periodo, vado ai festival e giro tra i palchi alla ricerca di band nuove. Non credo sia vero che, crescendo, la curiosità si appanni e che si continui ad ascoltare solo i propri classici, ma quella è una roba del tutto soggettiva e probabilmente, chi non cercava in gioventù, non avrà la benché minima voglia di andare oltre le hit in heavy rotation alla radio da grande. Per motivazioni di gusto del tutto personale, mi piace un sacco la struttura dell’album e mi dispiacerebbe andasse perduta in favore della serie di singoli che escono dilazionati nel tempo, ma ho una buona capacità di adattamento e supererò anche questa. Tik Tok non ce la faccio, chiamatemi pure boomer, pazienza".

foto via pixabay
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Vittorio Comand:

"Per quanto Spotify possa guidare l’utente su dei binari d’ascolto preimpostati, affini ai suoi gusti e, di conseguenza, limitanti, non penso che sia responsabilità del mezzo il far scoprire nuova musica. O meglio, non è la sua caratteristica preponderante. Spotify permette comunque di approfondire molto l’ascolto, anche se in nicchie di genere. Però qua sta alla curiosità dell’ascoltatore di trovare modi diversi per scoprire nuova musica, dire che sia più difficile oggi significa non voler vedere tutte le opportunità che il web – e non solo – offre. L’errore è fermarsi al player come anche modo per scoprire musica, quando invece è prima di tutto un mezzo. Ci sono interi social dedicati, come Rate Your Music, oppure canali YouTube appositi: lo youtuber Anthony Fantano ha più di un milione di iscritti e le sue recensioni fanno anche centinaia di migliaia di visualizzazioni. Poi possono piacere o meno, ma non c’è dubbio che le opportunità offerte sono moltiplicate, con buona pace di chi rimpiange i negozi di dischi. E che comunque continuano a esistere, basta andarci: ogni volta che mi capita di andare nel mio negozio di fiducia a Udine scopro sempre qualcosa. E ancora, le radio mantengono sempre un importante ruolo quando si parla di musica "nuova". Sarà più comodo ascoltare tutto su Spotify, ma la ricerca richiede fatica ed è proprio l’aver speso del tempo per imbattersi in qualcosa che piace che fa diventare ogni nuova aggiunta alla libreria musicale, una conquista. Spotify è un limite solo per chi decide di farsi imbrigliare dai suoi stessi ascolti, quando là fuori c’è abbastanza musica che non basterebbero due vite per ascoltarla tutta. Anche solo una ricerca su Wikipedia può aprire gli orizzonti di chi ha davvero fame, ma forse è per indole mia trovo assurdo chi riesca a sedersi su ciò che già conosce quando c’è ancora così tanto da scoprire".

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Claudia Mazziotta:

"Mi chiedo spesso cosa sarebbe cambiato se da bambina, quando cominciavo ad assaggiare la mia musica senza l’influenza degli ascolti di mio padre, avessi avuto in mano uno strumento come Spotify. Al tempo, Internet non arrivava in casa nostra e conoscere musica nuova era un'impresa molto diversa dalle passeggiate che mi faccio oggi: significava per me principalmente tenere accesa 24su24 la tv su MTV, o aspettare che mia sorella uscisse per rubarle i cd, o entrare nei negozi di dischi e mangiare qualche minuto di ascolto dentro le cuffie di un negozio. Ti lasciavi attirare dalle copertine – forse quell’artista l’avevi vista/o da qualche parte o ne avevi sentito parlare – e se non avevi confidenza con il proprietario del negozio, anche meglio: potevi liberamente perdere ore tra gli scaffali in ordine alfabetico e di genere, e scorrere i titoli con le dita uno per uno sotto le luci al neon. In adolescenza, con la conquista di Internet in casa, il confronto con gli altri giovani divoratori di musica e il passaparola erano ancora fondamentali. E lo sono tutt’ora. La notifica dell’artista da parte della persona che stimi, la selezione delle canzoni di un'amica durante il viaggio in macchina, la condivisione di un brano sui social di uno sconosciuto, la canzone di sottofondo al pub, le letture, i festival, i concertini nel localino anonimo, le radio indipendenti, ma soprattutto la curiosità di sapere cosa ha scoperto di bello l’orecchio dell’altro, dove io non sono ancora arrivata. E la consapevolezza che spetta a me, fottere il sistema. Per conoscere nuova musica bisogna essere attenti e impicciarsi nella vita degli altri, nei loro discorsi, intrufolarsi nelle loro playlist. Bisogna essere attivi e, perciò, stancarsi. Oggi, come allora. In musica, come altrove. Gli strumenti che abbiamo a disposizione oggi ci presentano un’infinità paurosa che riusciremo solo in parte a esplorare, ci facilitano la vita e ce la ostacolano al tempo stesso, ma credo che con il giusto metodo siano un mezzo prezioso e straordinario per arricchirci, che sarebbe stato utile avere anche prima. Sta a noi decidere e capire come usarli senza permettere che ci danneggino".

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Marco Beltramelli:

"Censura Subito è il volume in cui Ian Svenonius, ex icona della scena hardcore di Washington, si proclama acerrimo nemico alla dittatura della libertà d’espressione che, nel corso degli anni, ha passivamente adeguato il pubblico a degli standard artistici inadeguati. Un discorso che, al di là dei risvolti classisti, offre sicuramente interessanti spunti su cui riflettere. Sfortunatamente, non esiste un indice scientifico di "artisticità". La merda, in realtà, è sempre esistita, in ogni decade storica. E la componente sentimentale e nostalgica che pervade la nostra visione delle opere del passato spesso devia il nostro giudizio trasformando tutto in un capolavoro. Vi faccio un esempio: gli 883. L’invenzione della macchina fotografica segnò un vero e proprio crack nella storia dell’arte e i pittori, non potendo più imitare la realtà, cominciarono a diversificare i propri stili. Nacquero così le prime correnti artistiche moderne, movimenti di rottura con l’estetica tradizionale evoluta nei secoli che, spesso, solo a posteriori, vennero riconosciute per il loro vero valore. L’avvento del web nella discografia, pur ponendo le basi per una rivoluzione stilistica senza precedenti, sino a una quindicina di anni fa, era ancora un’epopea da astronauti, l’ultimo barlume di quello che forse potevamo definire indie – emblematico il caso degli Arctic Monkeys esplosi con l’ormai defunto Myspace –. L’evoluzione di questo termine riassume bene l’epopea ontologica di quest’ultimo decennio: l’indie non è più categorizzato in un modus operandi sui generis, quanto in un insieme di sonorità standard ben circoscrivibili in una playlist diffusa tanto nei camerini di Zara quanto in quelli di H&M. Alla dittatura dell’algoritmo gli artisti hanno reagito dando vita ad una miriade di sottocategorie, una risposta non esclusivamente dettata da motivazione stilistiche, ma anche da una vera e propria necessità: quella di ritagliarsi un piccolo spiraglio nel sempre più univoco mercato discografico mondiale. Parlare della trap come della deriva dell’arte sonora, prendere come esempio paradigmatico casi mediatici alla Young Signorino, sminuire il nuovo cantautorato a priori in quanto erede di una tradizioni troppo importante, significa guardare al dito anziché alla luna. Ammettiamolo, trovare un nuovo artista capace è una bazzecola. Trovare un nuovo artista che ci piaccia è, invece, un’impresa da titani. La vostra nostalgia non fermerà il mondo, il processo di ricerca in questo overflow di input musicali è il motivo stesso per cui ci leghiamo ad un’interprete particolare. La fruibilità della musica ha impigrito lo spirito, ma la proposta non è peggiorata, siamo noi ad essere invecchiati e aver finito la memoria".

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L'articolo Siamo ancora in grado di scoprire nuova musica? di Redazione è apparso su Rockit.it il 2020-08-25 11:30:00

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