"Signora Luna" di Vinicio Capossela: un racconto onirico e generazionale

Nel nuovo volume di "B-Side - L'altro lato delle canzoni", Doriana Tozzi inventa storie a partire dalle più belle canzoni italiane. Qui potete leggere un estratto ispirato a uno dei cantautori più enigmatici che abbiamo

Vinicio Capossela, foto di Massimo Barbaglia/Kikapress
Vinicio Capossela, foto di Massimo Barbaglia/Kikapress

Il secondo volume di B-Side - L'altro lato delle canzoni di Doriana Tozzi, edito, come il precedente, da Arcana Edizioni e inaugurato da una prefazione a cura di Ernesto Assante, prosegue con l'abbinamento di una stagione a un particolare genere musicale. Sottotitolato Inverno, questo secondo volume contiene 21 racconti liberamente ispirati alla musica di alcuni cantautori italiani più o meno recenti (da Dente a Diodato, da Bugo a Cristina Donà, da Carmen Consoli a Daniele Silvestri, da Levante a Brunori Sas...), ma a differenza del precedente, Autunno, in questo caso non c'è solo una libera e fantasiosa interpretazione delle storie delle canzoni ma c'è anche un personaggio unico che le lega dalla prima all'ultima, quasi fosse un romanzo.

Come avevamo già fatto in occasione del primo volume – con un bellissimo raccontato ispirato al Nuotatore dei Massimo Volume – vi proponiamo qui un estratto del nuovo libro, il racconto liberamente ispirato a Signora Luna di Vinicio Capossela, che rappresenta anche il primo "appartamento" del palazzo immaginario in cui si ambienta principalmente la vicenda e dunque comincia a farci conoscere il/la protagonista (non ci sono mai dati che ci portino a pensare che si tratti di un protagonista maschile o femminile) che crede di dover portare a termine una certa missione ma scorrendo le pagine del libro scopriremo che questa missione non è affatto quella che si prospetta all'inizio. 

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SIGNORA LUNA

Ispirato a Signora Luna di Vinicio Capossela

Non udendo alcun movimento né rumore, busso nuovamente alla porta. Resto in attesa per qualche secondo guardandomi intorno. Il pianerottolo silenzioso mi circonda con le sue pareti di tufo dall’intonaco mezzo staccato per l’umidità ma le mattonelle beige e bordeaux del pavimento, benché anche loro molto vecchie, sembrano quasi lucide, come se qualcuno si impegna a lavarle a fondo ogni giorno. D’altra parte, il tempo è relativo e non passa per tutti nello stesso modo: i muri, abbandonati al loro destino, mostrano più intensamente i segni della loro desolazione, invece il pavimento, chiaramente lindo e curato, sembra vivere un’eterna giovinezza, non fosse per quella forma tipo giglio stilizzato che troneggia al centro di ogni mattonella e che palesa un gusto estetico decisamente vintage.

Guardo nuovamente la porta ancora chiusa e comincio a pensare che il portiere non si sia accorto che Miss Terry non è in casa in questo momento. Sono sul punto di rassegnarmi e andar via quando lo sferragliare della serratura mi fa capire che qualcuno finalmente sta aprendo.

Pensavo di trovarmi di fronte una giovane donna, o comunque un essere femminile che possa corrispondere al nome di Miss Terry, invece di fronte a me c’è un uomo così anziano che se avessi dovuto tirare a indovinare gli avrei dato mille anni. Le rughe profonde sul suo viso sembrano scavate nel legno, con la stessa perfezione con cui la natura le disegna sulle cortecce degli alberi. Il suo naso raggrinzito ha la forma di una patata ma il colore è rossastro e due grandi occhi azzurri fanno il possibile per illuminare il suo volto scuro, dalla pelle olivastra e la barba folta e riccioluta come i crespi capelli, ma meno lunga di questi ultimi, raccolti piuttosto grossolanamente in una coda.

Sporgendo il capo in avanti, l’uomo solleva le sopracciglia e spalanca gli occhi come se mi stesse chiedendo chi caspita fossi, così mi presento e subito gli chiedo se è in casa la signora Terry.

“Chi?”.

“Miss Terry!”.

“Ah, stai cercando Miss Terry! Vieni pure, entra!” e in quel momento tutte le sue rughe si sciolgono e si sollevano in un sorriso cordiale e bonario.

In casa c’è un odore acre che sembra fondere qualche ricetta a base di verdure preparata per pranzo, con il fumo di sigaretta e un retrogusto di naftalina probabilmente derivante dal vecchio armadio che si intravede dalla porta spalancata sulla camera da letto.

“Hai fatto un tuffo in piscina prima di venire qui?” mi chiede con aria sarcastica.

“Eh, purtroppo ho un pessimo rapporto con gli ombrelli e non mi aspettavo questo temporale. Mi scusi se le sto bagnando tutto il pavimento”.

Mi mortifica non poco il fatto di non avere nemmeno un millimetro quadrato del mio corpo o dei miei vestiti ancora asciutto e che buona parte della pioggia che ho assorbito si stia riversando vistosamente sul suo parquet malandato, creando pozze sempre più ampie.

“Non preoccuparti” mi rassicura con gentilezza, “qui non ci formalizziamo. Dammi il cappotto”.

“No, guardi, la ringrazio ma devo solo consegnare questo pacco a Miss Terry, poi tornerò subito a casa ad asciugarmi”.

“Be’…” tentenna lui un attimo, “in tutta sincerità non ti consiglio proprio di avventurarti di nuovo là fuori adesso. Puoi aspettare qui. Ti racconto una delle mie storie e magari finché avrò finito Miss Terry entrerà magicamente da quella porta” mi dice indicando la porta d’ingresso, che aveva appena chiuso alle mie spalle.

“Ah… ma quindi… Miss Terry non è qui?”. “Vuoi dei vestiti asciutti?”.

“Non ce n’è bisogno, davvero. Come le dicevo prima, devo solo consegnare questo pacco e andar via”.

“Voi giovani, sempre così di fretta. Vuoi vedere Miss Terry?”. “Sono qui per questo”.

“Allora dammi il cappotto. Vedrai che a momenti sarà qui”. Questa introduzione degna di un thriller mi fa venir voglia di scappare a gambe levate. Gli ingredienti inquietanti ci sono tutti: temporale surreale, tuoni e fulmini e un palazzo antico e poco illuminato in cui personaggi strani ti fanno entrare per raccontarti delle storie… Non è esattamente la situazione più rassicurante. D’altra parte devo ammettere però che il vecchio non sembra avere cattive intenzioni: di solito, almeno in quei film, c’è sempre quello sguardo losco e sinistro o quel dettaglio allarmante che a noi spettatori fa capire subito che il protagonista sta rischiando di esser fatto a pezzi o sciolto nell’acido (anche se, chissà perché, il protagonista lo capisce sempre troppo tardi), invece questi occhioni azzurri che l’uomo mi sta puntando contro sembrano quasi quelli di un vecchio nonno semplicemente ansioso di passare del tempo con qualche nipote che non vede da troppo tempo. Più che il fascino del racconto di vita accanto al camino, però, a farmi decidere di restare è l’idea che se rientro senza aver consegnato questo pacco sarà il mio capo a farmi a pezzi e sciogliermi nell’acido, per cui resto con il vecchio sperando che Miss Terry non tardi ad arrivare.

Appoggio lo zaino per terra e mi tolgo il parka verde gocciolante, porgendolo con un sorriso rassegnato al padrone di casa che invece mi guarda finalmente soddisfatto mentre lo appende alle corna di quello che doveva esser stato un grosso cervo, e che spero siano finte, perché non le avevo notate prima e potrebbero essere il dettaglio allarmante che avrebbe dovuto mettermi sull’allerta…

Seguo con lo sguardo il nonnino mentre va a prendere un piccolo tavolo di legno dalla forma quadrata e lo mette sotto la grande finestra sui cui vetri continuano a riversarsi le secchiate di pioggia inarrestabili. Prende poi due sedie, anche queste in legno, che si trovavano vicino all’angolo cottura, appoggiandole una di fronte all’altra su due lati del tavolino. Infine, sempre senza dire una parola, torna nel piccolo spazio dell’angolo cottura accanto al quale c’è una vecchia credenza da cui prende due bicchieri e una bottiglia di vetro verde in grado di contenere almeno due litri ma piena a metà di un liquido scuro. Torna verso di me e mi appoggia un bicchiere davanti, poi posa la grossa bottiglia e si siede appoggiando l’altro bicchiere davanti a lui, facendomi nuovamente un grande sorriso.

“Questo è il vino più buono che tu possa mai bere” mi dice mentre cerca di versarlo nel mio bicchiere, ma io lo blocco subito perché sono solo le sei, stando all’orologio a cucù appeso accanto all’ingresso, e non voglio sbronzarmi già da ora. Poi non mi va di bere al lavoro.

Lui però insiste e ne versa comunque un po’ nel mio bicchiere. “Questo è il vino più buono che tu possa mai bere, non puoi rifiutarlo!”.

Ha quei modi così gentili che, anche se a descriverla questa situazione può sembrare decisamente inquietante, in quel momento mi sembrava di essere al sicuro, quasi fossi davvero con mio nonno vicino al camino. In questa stanza in realtà non c’è alcun camino ma la scena continua a tornarmi in mente perché il mio vero nonno ce l’aveva, era un bel camino ampio che riscaldava la sala da pranzo e spesso ci sedevamo lì vicino per passare il tempo. Non amava spaziare troppo tra gli argomenti mio nonno: parlava solo di politica, campagna e guerra. Eppure riusciva a rendere i suoi racconti sempre diversi cambiando ogni volta i dettagli e condendoli con aneddoti interessanti e a volte perfino avventurosi. Di solito si lamentava di qualche nuova legge o fatto di attualità e affermava che i politici di oggi non hanno neanche la metà della dignità e nemmeno un quarto di cultura dei politici dei suoi tempi; quando era allegro, però, con incredibile passione raccontava di come si coltivano patate, pomodori, insalata, carote, cipolle, bietola, piselli, albicocche, uva, agrumi e le varie piantagioni delle sue terre. Capitavano poi giorni in cui era più nostalgico e malinconico, e in quei giorni descriveva ciò che aveva vissuto durante la guerra, tutte le privazioni, le paure, gli amici perduti… Politica, campagna e guerra: gli unici argomenti di cui parlava mio nonno, eppure non mi annoiava mai. Forse per questo spero che anche questo vecchietto rugoso sia in grado di farmi rivivere quei momenti che ormai con mio nonno non posso vivere più.

Sto cercando di resistere all’odore che sale pian piano dal bicchiere verso le mie narici, un profumo intenso, dolce e fruttato, qualcosa che va oltre la semplice uva, anche se non saprei descriverlo meglio. Ha davvero un aroma irresistibile, o piuttosto diciamo che io non sono la persona adatta a rifiutare una buona bevuta, in più comincio ad avere i brividi di freddo per la pioggia che dai miei vestiti aveva cominciato già da tempo a impregnare la mia pelle e la immagino ormai infilarsi fin dentro i pori cutanei per andarsene a zonzo per tutto il mio corpo tramite l’autostrada delle vene. Insomma, c’era da giurarci, finisco per mettere da parte la riluttanza iniziale e sorseggio con discrezione un po’ di questo buon vino. La finestra accanto a noi dà sulla strada principale. Ci sono un paio di automobili parcheggiate lì di fronte e mi accorgo che l’acqua ha quasi ricoperto completamente le loro ruote. Anche l’uomo sta osservando fuori dalla finestra, ma guarda in alto: “Tutta quest’acqua non fa vedere il cielo”.

“Già” rispondo, scrutandolo per capire dove voglia arrivare. “Sembra quasi che non ci sia più alcun cielo, dietro tutta questa pioggia, non è vero?” mi fa.

Distolgo lo sguardo dai suoi occhi e lo rivolgo nuovamente fuori dalla finestra. Ho il timore che la pioggia stia diventando sempre più forte e che i vetri non basteranno a fermarla. Ci travolgerà!

“Non sarebbe meglio chiudere le persiane?” gli chiedo. “Hai paura che rompa i vetri?”.

“Non saprei… Non ho mai visto una pioggia così forte”.

“Non devi avere paura, questo palazzo è solido, anzi è il palazzo più solido che esista in tutto l’universo, per cui non corri alcun rischio finché sei qui dentro”.

Riecheggia nella mia mente la sua frase “finché sei qui dentro” e mi chiedo se dovrebbe rassicurarmi o spaventarmi. Sarà un pazzo che vuole rapirmi per “tenermi al sicuro qui dentro” o cose folli di questo tipo? Decido di tagliare corto.

“Di solito Miss Terry per che ora rientra?”.

“Devi cominciare davvero a rilassarti, sai? Sento troppa tensione in voi giovani d’oggi! Non devi aver paura che l’acqua possa sfondare i vetri: quello che fa paura è il fatto che tutta quest’acqua non fa vedere il cielo. Io ci parlo, sai, con il cielo. Non mi riferisco a quelle cose tipo Dio, i santi… no, parlo proprio del cielo, delle stelle… Di giorno parlo qualche volta con il Sole ma è con la Luna che ho il rapporto migliore. Credo sia perché il Sole un po’ se la tira, per il fatto che è una divinità e questa roba qui, invece la Luna secondo me è stata messa lì, persa nel cielo, proprio per consolarci lungo la notte del nostro cammino”.

Butta giù un altro sorso di vino dal suo bicchiere e poi continua. “Io non sono sempre stato questo vecchio bisbetico e rugoso che vedi oggi. Quando avevo vent’anni sono andato via di casa perché volevo girare il mondo, conoscere ogni paese, ogni tradizione, ogni lingua. Avresti dovuto vedermi: fiero e aitante in sella alla mia bici e con me solo un sacco in spalla, in cui avevo messo qualche vestito, tanti sogni e lo stretto indispensabile per sopravvivere. Giravo per le città restando al massimo uno o due mesi in ciascun posto, facendo qualunque lavoro mi chiedevano di fare in cambio di un posto caldo dove dormire e un po’ di pane, un po’ di frutta e un po’ di vino. Non volevo fermarmi mai”. Fa una pausa di riflessione odorando l’aria, poi mi guarda negli occhi e prosegue. “Starai pensando che una vita così ti fa morire di solitudine, vero? Invece no, io stavo benissimo. E sai perché?”.

Scuotendo la testa e sollevando le spalle, faccio cenno di non saperlo. “Perché c’era sempre lei con me, la nostra signora Luna, che mi accompagnava per tutto il mondo. È stato all’epoca che ho cominciato a parlare con lei, ci parlavo un sacco. Ero un’anima irrequieta, tormentata, non riuscivo a trovare il mio posto nel mondo e per questo lo cercavo altrove, ovunque, di paese in paese, e poi la sera mi sfogavo con lei e cercavo di capire perché non mi bastava mai nulla, perché volevo sempre di più, perché ogni donna non era per me mai abbastanza, ogni luogo non era abbastanza, ogni lavoro non era abbastanza… non mi sentivo mai completo. Le chiedevo di spiegarmi dove fosse la strada che portava a me, dove dovevo andare per trovare me, il vero me, capisci? Cioè trovare il mio posto nel mondo. Forse nel Sole, forse nell’ombra… o magari in nessuno dei due o in entrambi, restando un’ombra invisibile nel Sole o una piccola luce nell’ombra… Mi facevo tante domande di questo tipo all’epoca…”.

Si interrompe di nuovo. Colgo un bagliore strano quando si volta per guardare dall’altra parte della stanza. Poi si alza.

“Vuoi una sigaretta?” mi chiede assorto “No, grazie”.

Ne prende una da un pacchetto poggiato sulla credenza, l’accende con un fiammifero, fa un tiro e torna a sedersi, proseguendo.

“Devi spingerti oltre le luci del paese per ascoltare le voci che arrivano quaggiù dall’intero firmamento. Ci hai mai provato?”.

“Veramente… non proprio”.

“Male, i rumori del mondo finiranno per confondere il tuo udito e celarti la verità. Prova qualche volta ad ascoltare le stelle, non sono solo puntini minuscoli che brillano lassù nelle galassie. Loro sono come noi, o meglio, noi siamo come loro e ascoltando attentamente possiamo sentire questa forza che ci lega e con la quale loro ci comunicano cose che forse non siamo ancora pronti a comprendere. Loro brillano, brillano intensamente e più le guardi, più le ascolti, più ti accorgi di quanto sia profonda la loro luce per arrivare fino a te che le guardi da quaggiù. Dopo un po’ ti sembrano occhi lontanissimi in cui riesci a leggere i più profondi pensieri, solo che la limitatezza del linguaggio umano non può ancora descrivere a parole quello che ti dicono. Eppure in quel momento trovi le tue risposte, quando poni a loro le tue domande più segrete, riesci a sentire quel fremito che ti fa capire cosa devi fare”.

Qui comincio a pensare che deve aver avuto un buon pusher da giovane, ma non voglio irritarlo e così continuo ad ascoltare il suo monologo appassionato, che diventa sempre più sciolto man mano che sorseggia il suo prelibato beveraggio. “Ho perduto tanti affetti lungo il mio cammino, sai? E quando guardo quel nero manto notturno e vedo brillare queste piccole e profondissime luci penso che quegli occhi siano quelli di chi ho già perduto e che vegliano per me, anche se a dir la verità non sempre lo merito, che veglino per me. Non sono sempre sta to questo vecchio qui che vedi oggi, ahimè. Ho perduto tanti affetti lungo il mio cammino. E purtroppo non li ho persi solo per colpa della nera mietitrice. A volte era molto peggio, era il mio stesso carattere brusco e scontroso a farli scappare via da me, quando scendeva l’oscurità sulla mia anima e io diventavo ancor più oscuro, più nero del nero, mentre il gelo, che mi ha sempre voluto con sé, con le tormente che portava nel mio cuore martoriato, riusciva a congelare tutta l’aria intorno, travolgendo chiunque si trovasse lì, vicino a me. Sono stato per tanti anni una vera canaglia o forse una specie di Re Mida, con la differenza che io ero in grado di trasformare tutto in ghiaccio anziché in oro. E mi ritrovavo di nuovo solo… e chiedevo aiuto alla Luna. Qualcuno dice che lei non risponde, che la Luna è muta e non pensa affatto a noi umani. La verità, invece, è che noi umani abbiamo smesso di ascoltarla. Lei ci risponde eccome, io lo so perché restando in silenzio, nel gelido manto della mia solitudine, riuscivo ad ascoltare forte e chiaro le sue risposte. E sentivo le sue carezze trasportate in un soffio di vento. E leggevo i suoi messaggi nascosti negli sbalzi d’umore che sollevavano o abbassavano le maree… Quando ero avvolto nella mia stessa oscurità immaginavo che lei, silenziosa ma sempre attentissima, sapeva già quello che stavo per fare e in cuor mio speravo che non se ne adombrasse, pur sapendo che la colpa era solo mia”. Recupera dal fondo della stanza il suo sguardo rabbuiato e lo proietta nei miei occhi, poi riprende il filo. “Però non ero solo questo, sai? Non ero sempre così. Qualcosa di buono l’ho anche fatta nella mia vita. Di donne ne ho conosciute tante, certo, ma non è un male. Bisogna conoscere il mondo per sapere chi si è e cosa si vuole. Qualcuna l’ho anche amata, prima… prima… prima di…”. Le parole gli si spezzano tra i pochi denti rimasti nella sua bocca, ma in meno di un istante va avanti senza finire la frase. “…ma non ho amato più, non ho amato più dopo quella volta…”. Nel suo sguardo nuovamente lontano dilagano un’angoscia e un tormento ancora laceranti, bagliori di dolorosi ricordi che gli proiettano qualcosa che comprendo essere troppo intimo per essere raccontato. Butta giù un altro sorso di vino e torna a guardare verso di me, accorgendosi che il mio bicchiere è già vuoto, così riprende la bottiglia e cerca di versar mene ancora. Questa volta però gli trattengo d’istinto il polso. “No, davvero, non vorrei tornare a casa barcollando sotto il diluvio”.

“Ma via! Non ti ubriacherai di certo con un paio di bicchieri di vino” e me lo versa comunque, poi chiede per conferma: “Buono, vero?”.

Annuisco rassegnandomi all’ebbrezza che comincia a salire sulle mie gote.

“Comunque non voglio angosciarti, diciamo solo che lei, la nostra Signora Luna, in un giorno palindromo di un anno remoto eppur fondamentale per la mia vita mi fece capire che il mio viaggio era terminato, che ogni passo, ogni persona incontrata, ogni amico che avevo dovuto lasciare alle mie spalle, ogni amore conosciuto e perso, ognuna di queste esperienze erano servite per farmi diventare chi ormai ero diventato e senza rendermene conto ero finalmente pronto a capire e ad accettare. La prima cosa che capii fu che non serviva a nulla andare in giro a cercare qualcosa che potevo trovare solo dentro di me. E per questo dopo tanto vagare oggi mi trovo qui, in questo palazzo antico e robusto, tuttavia meno antico e robusto di me. Forse io e questo palazzo ci assomigliamo, sai? Forse siamo così robusti proprio perché siamo antichi, perché siamo nati in un’epoca in cui non si facevano tutte le cose di fretta, come fate voi giovani d’oggi”. Mi guarda con severità e riflette un attimo su qualcosa. “A proposito, ora posso finalmente rivelartelo”.

“Rivelarmi cosa?”. Comincio a preoccuparmi.

“Che Miss Terry in realtà non è qui, cioè non abita qui e non entrerà mai da quella porta finché ce ne stiamo qui seduti a sorseggiare questo buon vino facendo due chiacchiere da buoni amici. Non è così che funziona”.

Sgrano gli occhi e gli lancio addosso fiamme attraverso la mente ma le fiamme si spengono ben prima di raggiungere o anche solo sfiorare la pellaccia dura del vecchio. Guardo la bottiglia ormai quasi vuota e mi assale una voglia incontenibile di spaccargliela in testa, ma cerco di limitare al minimo i danni, essendo qui per lavoro. Cerco di ritrovare un minimo di contegno e poggiandomi con i gomiti sul tavolo e digrignando i denti mi avvicino alla sua faccia e mi limito a chiedergli: “Ma allora perché cavolo mi ha fatto perdere tutto questo tempo, maledizione!?”, poi mi alzo di scatto, ma resto immobile con i miei occhi-lanciafiamme puntati su di lui senza alcuna intenzione di quietarsi.

“Ecco, lo vedi? Mi stai dimostrando che avevo ragione! Tu, come quelli della tua generazione, hai varcato quella soglia con uno scopo ma non hai ancora capito che il tuo scopo, il tuo stesso scopo, non è quello che pensi. Non hai ancora capito che la tua missione qui va ben oltre quell’inutile pacco che proteggi con tanta dedizione! Il tuo scopo non si limita a quello che ti ordinano, non sei un automa, una macchina telecomandata! Sei proprio come ero io alla tua età, quando continuavo a cercarmi altrove, in posti sbagliati, a seguire missioni che reputavo indispensabili senza rendermi conto che più facevo così e più mi allontanavo da me. Miss Terry non la raggiungerai mai finché non guarderai oltre, finché non penserai fuori dagli schemi!”.

“Ora basta, la faccia finita con tutte queste stronzate!”.

Si alza anche lui e con tono acceso e provocatorio mi urla in faccia: “Apri gli occhi, ti dico! Prendi tu il comando! Sii chi sei e non chi vogliono che tu sia!”. Si fa sempre più concitato.

“Senta, ne ho abbastanza, vado a cercare Miss…”. Mi dirigo verso la porta, ma lui impassibile mi segue e mi interrompe: “La tua testardaggine è la tua cecità…”. Faccio un altro passo ma d’un tratto mi afferra per una manica e alza il tono della voce continuando imperterrito. “Non puoi pretendere che la Luna ti dia risposte dirette, nemmeno quando fai domande dirette. Apri gli occhi! Senti con il cuore!”.

A strattoni raggiungo il mio parka, con il braccio libero lo sfilo via dalle corna del cervo appese al muro e cerco di indossarlo, ma il vecchio non si placa: “Oh tu, acerbo frutto di una generazione ingenua e sorda!”.

L’ira ormai stava facendo bollire l’alcol nella mia testa e sanguinare i miei occhi. Lo strattono con più veemenza per fargli lasciare il mio braccio e riesco finalmente a infilarmi il parka, pensando che se si avvicina un po’ di più finisce male. Per lui.

“Miss Terry!” mi urla contro. Mi volto. “Cosa? Come? Dov’è?”.

“Idiota di un acerbo frutto di una generazione assopita! Miss Terry è la domanda a cui vuoi ora, in questo momento, la tua risposta e sai pensare solo a questo, vero? E va bene, se ci tieni proprio a consegnare questo pacco nelle sue mani non è questa la porta giusta: devi bussare a quella qui di fronte”.

Apro con gesti ancor più violenti la robusta e verde porta lignea per tornare sul pianerottolo, ma mentre esco mi giro un’ultima volta per fulminarlo con gli occhi iniettati di ira. Non ho più la forza di aggiungere altro. I suoi occhi accigliati invece tornano a sciogliersi in uno sguardo ancora comprensivo: “Vai, ma ricorda quello che ti ho detto. Ascolta la Luna!”.

Cerco di calmarmi, perché il vino che ho in circolo mi sta spiegando che non vale la pena infervorarsi per questo. In fondo sono stati solo pochi minuti trascorsi ad ascoltare i ricordi di un povero vecchio pazzo malato di solitudine. Annuisco senza dir nulla, poi giro di nuovo i tacchi e faccio un passo superando la soglia e ritrovandomi di nuovo sulle mattonelle beige e bordeaux del pianerottolo.

Sento finalmente la porta chiudersi alle mie spalle e tiro un profondo sospiro di sollievo benché subito dopo mi assale una sensazione strana, confusa e nebulosa seppure intensissima, come se mi fosse sfuggito qualcosa, come se… Boh, vabbè. Ora però non posso preoccuparmene, devo trovare al più presto Miss Terry, prima di dover costruire una zattera per tornare a casa. 

Estratto da B-Side. L’altro lato delle canzoni. Inverno di Doriana Tozzi, Arcana edizioni

© 2020 Lit edizioni s.a.s. 

Per gentile concessione

 

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L'articolo "Signora Luna" di Vinicio Capossela: un racconto onirico e generazionale di Redazione è apparso su Rockit.it il 2021-02-05 14:00:00

Tag: libro

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