Gli Speakeasy, prima ancora che una band, sono un gruppo di amici provenienti dalla Brianza; cresciuti con un'intensa gavetta tra palchi e sale prove (il nome è un omaggio ai locali clandestini della tradizione americana), hanno fondato il gruppo a settembre 2018. Dopo un lungo periodo di rodaggio coinciso con la pandemia da Covid19, cominciano a scrivere i primi brani in inglese e in italiano. Fanno rock, nel senso più largo del termine.
Nel 2022 iniziano a lavorare a nuovo materiale con il produttore Matteo Cantaluppi (Bugo, Dente, Ex Otago, Francesco Gabbani); dopo l’esordio in Capitol con il brano Noia ad aprile 2023, nell’estate dello stesso anno pubblicano Giro classico, il loro secondo singolo ufficiale. Il 29 settembre è la volta del loro nuovo e terzo singolo Che cosa ti spinge a vivere?.
Qui è dove potete conoscerli meglio, grazie alle risposte alle nostre domande di Rocco, il frontman e songwriter della band.
Che cosa ti spinge a vivere?, un titolo abbastanza impegnativo. Lo spiegate meglio?
Il titolo è una domanda che mi sono fatto spesso nel periodo dopo la mia laurea, durante il primo lockdown. Pensiamo che ci siano diversi modi per intenderla: “Cosa ti spinge a uscire dalla sfera di un’esistenza costretta da regole, valori, principi, responsabilità?”, “Cosa fai per distrarti dalla vita di tutti i giorni?”, oppure “Che vita scegli?” citando Trainspotting. Ma la realtà è che la domanda è molto più esistenzialista e si potrebbe intendere con un semplice e diretto: “Chi sei veramente?”.
Oggi si parla di "generazione covid". Sentite di farne parte?
Sinceramente non sentiamo di farne parte, perché tutte le esperienze che si fanno in età adolescenziale e che son portanti dell’età adulta le avevamo vissute da tempo. Ognuno di noi ha vissuto il lockdown in maniera diversa e chi più chi meno s’è portato dietro un po’ di strascichi da quell’esperienza. È vero che siamo nati da poco ma la nostra fortuna è stata quella di aver costruito la nostra sala prove poco prima della pandemia di febbraio 2020. Così abbiamo potuto avere un punto di ritrovo durante il periodo in cui, dopo il lockdown, tutto riprendeva. Questo ha contribuito a rafforzare la band.
Il testo del brano riporta citazioni al saggio di Henry David Thoreau Walden ovvero vita nei boschi, testo fondativo in ambito naturalistico e lettura che vi ha accompagnato a lungo. Da cosa deriva la passione per Thoreau (che è un mito assoluto)?
In età adolescenziale sono stato fortemente influenzato da musica che costituisse una controcultura, un’alternativa giovanile e da romanzi e film che si facessero portatori di una visione anticonformista o raccontassero di giovani ribellioni. Durante un rewatch del film L’attimo fuggente fui incuriosito da quello stralcio che viene citato e volendo sapere chi l’avesse scritto entrai in contatto con l’opera. Scoprire che rappresenta una delle principali fonti d’ispirazione per tutta la Beat Generation mi convinse ancor di più ad approfondirne la lettura. Quindi potremmo dire che questa passione deriva da quel fuocherello della ribellione adolescenziale che non si è ancora spento.
I generi musicali erano morti, i generi musicali sono risorti. Voi come vi definite, e cosa ascoltate?
Siamo cinque amici che sentono sulla loro pelle ciò che suonano e che scrivono e che sperano che la loro musica possa fare ad altre persone lo stesso effetto che ha su di noi. I I nostri ascolti, contando le preferenze di tutti e cinque coprono quasi tutto il panorama musicale fino ad oggi: rock in tutte le sue forme, jazz, soul, hip-hop, funk, punk ecc… Facciamo che ognuno di noi ti dice l’artista che sta ascoltando più spesso recentemente: Velvet Underground, Jamiroquai, Nujabes, Arctic Monkeys e Marshall Tucker Band.
Siete giovani eppure lanciati, una grande etichetta ha creduto in voi. Vi mette pressione questo?
La pressione la sentiamo, ma è una pressione positiva, comunque, che ci dà stimolo per dare il meglio. Sarebbe sbagliato se non dovessimo avvertirne, perché vorrebbe dire che non ce ne frega nulla di fare questo mestiere. Ancora prima di avere un’etichetta alle spalle, abbiamo sempre cercato di impegnarci dedicando più tempo possibile al nostro progetto. Siamo stati fortunati, adesso stiamo poggiando i primi tasselli e se siamo bravi ne verrà fuori un bel mosaico.
Da quali paesi della Brianza venite esattamente?
Renate, Bulciago, Triuggio e Usmate Velate. Son paesi piccoli, posti tranquilli in cui ci si conosce tutti, perfetti per crescere fin quando non arrivi ad avere 14/15 anni e iniziano a starti stretti. C’è da dire anche che la Brianza è una zona “arida” musicalmente e il motivo è che è una zona storicamente e culturalmente laboriosa e concreta. Quindi la musica viene vista come un passatempo piuttosto che come un impiego vero e proprio e c’è poco movimento artistico rispetto ad altre zone dell’Italia. In questo contesto ciascuno ha vissuto la musica come un modo per evadere mentalmente, ma anche come un’urgenza, una valvola di sfogo. Tutti – chi da autodidatta, chi prendendo lezioni – abbiamo iniziato lo studio dello strumento quando eravamo alle medie. Abbiamo sempre avuto un ascolto attivo nei confronti della musica, nutrendo la curiosità di trovarne sempre nuova che fosse simile a quello che sentivamo d’essere. Adesso, siamo allo step successivo: quello di creare musica che possa dire: “Questi sono gli Speakeasy”.
Cosa vi piace portare live?
Il primo live che abbiamo fatto insieme è stato per strada, a Carate Brianza sotto un gazebo su un marciapiede. Ai tempi Jack, il batterista, non era ancora entrato nella band quindi senza batteria riuscivamo a stare per strada senza creare intoppi (ndr ride). Abbiamo sempre suonato in Lombardia, abbiamo una trentina di concerti alle spalle nella nostra regione. Nei live amiamo portare il mood che c’è in sala prove, il nostro luogo di ritrovo, interagendo il più possibile tra di noi sul palco. È sempre tutto spontaneo, e il pubblico sembra apprezzarlo.
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L'articolo Speakeasy ovvero vita sui palchi di Redazione è apparso su Rockit.it il 2023-10-16 17:36:00
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