Mi sono rotto il cazzo dello Stato Sociale (e va benissimo così)

Lo Stato Sociale torna al Centro Sociale. Il nostro racconto, e le foto, della data bolognese dei regaz al TPO, un ritorno alle origini di chi avrà sempre con sé la forza di una comunità e di non prendersi troppo sul serio

Albi Diving -  Foto di Francesca Sara Cauli
Albi Diving - Foto di Francesca Sara Cauli

C’è un tappeto di drummini mezzi consumati, rollati e fumati dagli ultimi frequentatori dei centri sociali. C’è chi sta in piedi e chi al tavolo di plasticaccia bianca fuori, tra l’ingresso del TPO di Bologna e la porta della sala concerti. Al cancello un ragazzo con un pile viola e verde e i capelloni riccissimi mi fa entrare con un sorrisone annebbiato. “La rivoluzione sarà femminile o non sarà”. È uno striscione sulla rete fuori dal locale. Un condensato di regazness bolognese, centri sociali, a morte il capitalismo e il patriarcato. Qualche purista non sarà d’accordo, e un po' pure io con loro, ma lo Stato Sociale è Bologna. Il concerto al Teatro Polivalente Occupato è stato più emozionante per loro che per il pubblico.

“Questa introduzione audio è rancorosa e molto cringe. Ti sbagli, tu lo sei. Gne gne gne. Specchio riflesso”. La gente impazzisce quando la voce registrata di Siri apre il concerto. “So che non vedi l’ora di raggiungere i tuoi amici, ma questi cinque suoneranno per due ore e non andrai da nessuna parte”. Mannaggia.

Lodo a colloquio con il pubblico -  Foto di Francesca Sara Cauli
Lodo a colloquio con il pubblico - Foto di Francesca Sara Cauli

Non si prendono sul serio, sono venuti a farci sentire un’anteprima del prossimo disco e ringraziare il palco da cui sono partiti undici anni fa. Sono emozionati, hanno appena iniziato il tour nei club e nei centri sociali, sta sera a Bologna. Sono a casa e iniziano subito a mettersi comodi.

Mi sono rotto il cazzo 

degli esperimenti del frequentiamoci ma senza impegno

Il pubblico inizia a cantare, poi a ondeggiare e quando esplode il ritornello e i sintetizzatori ci investono iniziamo tutti a saltare. Con un faro viola puntato in faccia e uno azzurro verso di noi, Lodo canta Mi sono rotto il cazzo come se fosse sotto la doccia. Va molto più lento, poi accelera rapidamente. Vuole dirci qualcosa.

Con 400 euro ti registro il disco in casa

suona bene, lo-metti-su-Vimeo

FAI…GIRARE…LA…VOCE!

Mentre la ascolto dal vivo, la canzone mi sembra ironica. Il parcheggio fuori era introvabile, abbiamo finanziato al meglio l’Eni. Non c’è puzza di calca di persone, ma un’infestazione di odori da profumeria. Più di una persona ha speso 300 euro per i peli del culo. Lodo canta indisturbato. Se ne frega. Anzi, lui lo sa. La gente che sta cantando è presa di mira nel testo. Lui stesso lo è. Nessuno sfugge alla canzone. Cantata così è chiaro. È lo stesso brano registrato nel 2012 (a proposito, leggete qua un back in the days davvero emozionante), ma non l’ho mai sentito come ora.

Sexy Checco -  Foto di Francesca Sara Cauli
Sexy Checco - Foto di Francesca Sara Cauli

Si balla, si canta, e tra una canzone e l’altra i musicisti parlano. Raccontano aneddoti sulle canzoni vecchie e nuove. Avevano promesso testi scomodanti per il nuovo disco. Abbasso i ricchi, evviva i centri sociali. Non sono così indigesti. Avevano promesso nomi e cognomi. Salvini, Meloni, Berlusconi, e altre cariche del governo. Ancora abbasso chi ha i soldi. È un ritorno alle origini della band, ma ora si fa fatica ad ascoltarli allo stesso modo. 

La loro forza è un’altra: non si prendono sul serio. Dicono quello che vogliono con ironia e sono i primi a scherzare sulle canzoni. Parlano con il pubblico, si buttano sulla folla impazzita sotto palco. Poi nel trambusto fermano il concerto. “Portate dell’acqua. Una ragazza non si sente bene”, dice Lodo. Dal palco inizia a orchestrare la gente per aprire un passaggio fino alla porta. Bene, possiamo riprendere. “Tranquilla, quando torni rifacciamo tutto quello che ti sei persa”. Davvero? “No, mi dispiace, scherzavo”. Boato.

Carota -  Foto di Francesca Sara Cauli
Carota - Foto di Francesca Sara Cauli

Si ricomincia a saltare più di prima e dal fondo della sala arrivano urla di gente ubriaca. Una delle nuove canzoni è dedicata ad altri musicisti, alle amicizie che hanno stretto suonando per anni. Pupi Avati, Aimone dei Fast Animals and Slow Kids, Appino e Mirko Bertuccioli dei Camillas sono alcuni nomi che si sentono dalle casse. Una canzone nostalgica, senza troppo sentimentalismo sdolcinato. Le canzoni dello Stato sociale hanno sempre parlato di scene quotidiane, di esperienze comuni. Mentre cantano un intero brano sui loro ricordi e i rapporti con alti artisti, ci coinvolgono. Ci fanno vedere uno squarcio della loro vita che non conosciamo. Le chitarre, le sbronze, gli incontri con altre band e i legami che si creano sono esperienze normali. Ora che ce le raccontano è più difficile idealizzare la vita da musicista. Non è nulla di strano e lo raccontano in maniera spontanea, genuina.

“Ferma, ferma, ferma. C’è un’altra persona che sta male”. Si muore di caldo. Due addetti dello staff salgono sul palco e insieme alla band iniziano a lanciare bottigliette d’acqua. Le braccia alzate verso i soccorritori-musicisti come lanciassero oro. Ci riprendiamo un attimo, giusto il tempo di creare un altro corridoio fino alla porta, poi si riparte.

Bebo raggiunge il microfono con un foglio in mano e veste i panni di Vasco Brondi in Fottuti per sempre (qua la nostra analisi dell'anthem). Sempre più boati, salti, finché la gente non si stanca. Ogni volta Lodo riesce a trovare un modo per riempire un momento per farci respirare. “Oggi è il tuo compleanno? Auguri Elena!”. Momento di gloria per Elena, a cui dedichiamo un applauso.

Bebo -  Foto di Francesca Sara Cauli
Bebo - Foto di Francesca Sara Cauli

Continuano a suonare pezzi nuovi e vecchi, senza che ci sia troppa differenza. Mi aspetto un buon disco, ma nulla che mi faccia aspettare con ansia la sua uscita. Un disco in stile Stato sociale, niente di più e niente di meno. Ironia, racconti universali di esperienze amorose, impegno politico al risparmio e i primi anni dell’età adulta che incombe, sintetizzatori super esplosivi e ritmiche travolgenti. Vogliono ricordarci che sanno di non essere più dei regaz – come si dice a Bolo –, ma non riescono a staccarsi da quel mondo. 

Lodo racconta dei vestiti che gli hanno regalato per andare in tv. “Però io non sapevo cosa farmene perché mi vesto ancora con le magliette delle band e i pantaloni di mio padre, quindi li davo ai miei amici”. “Dopo due anni però me li hanno chiesti indietro, ma io non li avevo più. Non ho mai ridato quei vestiti alla televisione”.

La gente al TPO -  Foto di Francesca Sara Cauli
La gente al TPO - Foto di Francesca Sara Cauli

Parla tanto come ha sempre fatto e ha sempre qualcosa da dire con o sul pubblico. Il concerto termina così. Abbiamo vinto la guerra dedicata a una coppia “che tra due mesi si sposa!!”, urla Lodo.

Siri aveva ragione: due ore di concerto. Un po’ mi sono rotto il cazzo anche io. Ma mentre torno alla mia macchina con cui finanzio l’Eni mi accorgo che ho scoperto una nuova canzone. È sempre quella che conosco da anni, ma ora è diversa, ha un significato in più. Così un concerto ha senso. Mi ha provocato. Non avevo capito nulla, e me ne sono accorto solo ascoltando dal vivo Mi sono rotto il cazzo. Comunque continuerò a non ascoltarla spesso, in fondo ho dei gusti di merda.

---
L'articolo Mi sono rotto il cazzo dello Stato Sociale (e va benissimo così) di Martino Fiumi è apparso su Rockit.it il 2023-03-26 20:04:00

COMMENTI

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia