Torneremo ancora: la storia straordinaria di Franco Battiato

L’avventura artistica del cantautore catanese, morto a 76 anni, vista attraverso gli occhi dei tanti artisti con cui ha collaborato, dagli esordi con Gaber fino a Antony and the Johnsons. L’arte irripetibile di chi ha mischiato perfettamente il pop e la musica colta e per questo sarà eterno

Foto di Maria La Torre/Kikapress
Foto di Maria La Torre/Kikapress

"Mi piace molto questa vita e mi piace anche l’idea di abbandonarla".

Franco Battiato, 1993

 

Non si può parlare di Franco Battiato, o meglio si può fare ma non sarà mai niente di esaustivo e giusto. Nessuno come lui ha ispirato e gettato le basi per una certa musica italiana, faro per molti, complesso, intrigante, difficile, ma allo stesso tempo creatore del primo disco pop ad aver venduto più di un milione di copie in Italia (La voce del padrone).

Ognuno di noi ha dei ricordi particolari legati a Battiato, nessuno ne è immune perché nella sua versione più pop, concettuale o mistica almeno una volta ci si è imbattuti, che si trattasse di una cassetta a quadretti che sviscerava una musica ipnotica per un bambino o un ritornello popolare di colui che cantava alla Paloma, è figura inscindibile nel vissuto di ognuno di noi.

Fatte le dovute premesse, con l’umiltà giusta, concedeteci di accompagnarvi in un viaggio a tappe lungo la carriera di questo artista immenso. Come ognuno di noi è stato inevitabilmente colpito o influenzato dal suo lavoro, è successo anche a tanti musicisti suoi contemporanei o successivi, ed è attraverso la loro lente che guarderemo il percorso artistico di Battiato.

Milano e Gaber

Milano negli anni sessanta era, allora forse più di oggi, per chi arrivava dal Sud, il luogo delle possibilità. La scena del giovane Ettore, alter ego di Battiato nel film autobiografico Perdutoamor, mentre prende il tram alla stazione di Lambrate, racconta di uno spaesamento e di un senso di solitudine che chi arriva dalla confort zone del luogo di nascita ancora prova di fronte alla metropoli, magari col solo bagaglio di quella cultura  spesso così marginale nella vita del paese. Battiato, quello in carne e ossa, ricordava invece quel periodo come un’apertura ad un mondo nuovo, in cui anche le luminarie di un Natale dickensiano vissuto con pochi soldi lo rimandavano a un universo inevitabilmente diverso da quello di nascita.

Come racconta in un’approfondita intervista con Gianni Minà negli anni novanta, appena arrivato a Milano, il suo lavoro era quello reincidere le canzoni di maggior successo nazional-popolare, come le hit di Sanremo, per il mercato di sud Italia. I dischi “succedanei” (come da lui definiti) erano di plastica e costavano meno, permettendo di apprezzare le ultime hit, sebbene non cantate dagli interpreti originali, consuetudine che continuerà con altro medium (le musicassette) fino agli anni ottanta inoltrati. In quegli anni iniziò a esibirsi nel famoso Club 64, locale milanese vera fucina di talenti (Iannacci, i Gufi, Cochi e Renato per citarne alcuni) dove però l’attrazione principale era il cabaret.

Nelle notti milanesi, canzoni dialettali e di protesta vivevano fianco a fianco con sketch più riconducibili al cabaret tradizionale, erano gli anni embrionali del teatro canzone, questo giovanotto siciliano cantava pregiatissimi falsi d’autore, creando un’immaginario folk siciliano fatto di dialetto con una patina barocca nelle melodie, incantando il pubblico meneghino di quegli anni, affamato di folk e innovazione.  In platea sedeva un certo Giorgio Gaber col quale si creò immediatamente un rapporto di stima e amicizia.

Nello stesso periodo (1967) si era riunito al suo compaesano Gregorio Alicata, autore della radiofonicissima Tremarella cantata da Edoardo Vianello, in un duo chiamato “Gli Ambulanti”. Nonostante il contatto con l’etichetta discografica Jolly procurato da Gaber, il duo ben presto si sciolse per lasciare posto a un Battiato solista molto diverso da quello che sarà poi in futuro. Uscirono singoli di poco successo commerciale, canzoni di protesta e d’amore musicalmente perfettamente in linea coi tempi, ma che non avevano ancora il guizzo e l’approfondimento nei testi degli anni successivi; lo stesso cantato era particolarmente figlio del suo tempo, quello del beat italiano. Gaber è l’artefice anche della sua prima apparizione televisiva nel programma che sta conducendo con Caterina Caselli, Diamoci del tu, il primo maggio 1967 con il brano La torre

Nonostante il successo commerciale minimo, l’amicizia con Gaber, oltre ad aprire le porte a quello che sarebbe stato probabilmente il più grande musicista, autore e cantautore degli anni a venire, ha proprio creato Franco Battiato. Prima di allora Battiato era ancora Francesco, così infatti era registrato all’anagrafe, ma quel giorno si esibiva un altro Francesco, destinato poi a grandi cose, un tal Francesco Guccini. Da quel momento la vulgata vuole che lui, su consiglio del signor G,  divenne per tutti Franco, come un cavaliere ricevette l’investitura e camminò da solo per altre strade.

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Stockhausen e gli anni della sperimentazione

Stockhausen, mi ha spinto, e gli sarò grato tutta la vita, a studiare la notazione. Quando ho incontrato Stockhausen la prima volta, avevo già realizzato tre-quattro dischi, ma non conoscevo la notazione tradizionale. Mi sono messo a studiare grazie a lui, che ha insistito, dicendomi: “Vedrai che quando avrai sessanta anni non potrai fare più musica pop”. Oggi, continuo a far musica pop, ma fortunatamente ho imparato un mestiere, che non avevo nelle mani. 

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C’è un momento preciso della mia vita in cui ho capito Battiato, capito davvero, non con la testa ma nel modo in cui un bambino di nove anni può capire Battiato. Ero al mare, il mare di casa mia in un’isola che non era la stessa dell’autore. In fondo al pavimento della macchina di mio zio c’era una cassetta che mi colpì particolarmente tra qualche autore folk anni settanta, Metropolis di Guccini, il mio preferito, La voce del padrone e Dark Side of the Moon o quello dell’arcobaleno come lo chiamavo io, ecco spuntare una copertina evidentemente disegnata da un bambino, di sicuro più piccolo di me dato che usava i quadretti grandi. Sopra c’era scritto solo Clic e la firma sua, di quello della serenate alle magistrali, lo stesso del centro di gravità permanente che per una bambina della mia età era un tipo allegrissimo. La infilai nell’autoradio e con gli occhi sgranati ascoltai quei suoni assurdi quasi in trance, capii che c’era un mondo sotto dove far correre i miei personaggi immaginari, capii che qualcosa si diceva oltre le parole. Era un libro senza storia e una storia senza un finale, lo amai per tutta la sua durata poi, con la volubilità dei bambini, lo congedai con un “Uffa, ma non canta quasi mai” e corsi a fare il bagno. Battiato da quel momento è stato per me un’essere sfuggente, profondo come un baratro in cui era pericoloso cadere per evitare di perdersi. Negli anni mi sono appassionata a ogni parola, a ogni suono e a ogni visione, probabilmente senza l’imprinting di Clic mi sarei arresa prima.

Anche tralasciando questa mia esperienza personale, non saprei in che altro modo spiegare quel periodo della produzione del nostro senza questo filtro. Clic (1975) è un album totalmente dedicato a Stockhausen, mentore e insegnante di Franco Battiato, è un album più sperimentale della già non canonica triade Fetus (1971) con la sua copertina censurata, troppo esplicita per quel momento politico, Pollution (1972) nel quale l’inquinamento del pianeta si fondeva con un inquinamento di generi e stili musicali e Sulle corde di Aries (1973) elegantissimo e mediterraneo.

In questo lavoro Battiato si avvicina alle istanze dei compositori contemporanei, John Cage e Philippe Glass scelti nel novero dei molti, ma destrutturando struttura, è l’apoteosi dei sintetizzatori che, insieme alla lettura dei mistici nel 1968, gli hanno fatto abbracciare una nuova filosofia musicale e di vita. In questo quadro però non mancano racconti contingenti di una contemporaneità che sconcerta e fa sorgere delle domande quasi continuando la ricerca delle risposte di "Ti Sei Mai Chiesto Quale Funzione Hai?” di Pollution.

Quegli anni sono per Battiato fucina di esperienze e di incontri con le avanguardie internazionali: apre i concerti di Brian Eno, Magma, Tangerine Dream, John Cale e Nico, affini per certi versi al suo nuovo corso. Il decennio più sperimentale di Battiato si conclude in dissolvenza con l’ingresso graduale nella sua vita di un personaggio che lo porta verso la sua produzione più canonica e di successo, Giusto Pio, ma l’impronta dell’incontro personale e artistico con Karlheinz Stockhausen non lo abbandonerà mai, come un eco, per tutta la sua produzione.

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Giusto Pio, il cinghiale bianco e la svolta pop

C’è un lungo intro di violino che è radicato nell’immaginario collettivo, una melodia inconfondibile che rimanda immediatamente al Nord Africa, agli alberghi pieni, all’odore di sigarette turche, è quello suonato da Giusto Pio ne L’era del cinghiale bianco. Un violino presente che detta la melodia e accompagna un tema di non immediata comprensione giocato per metafore e scorci, quello del conflitto atavico tra Stato e religione. L’incontro con Giusto Pio precede di qualche anno il disco L’era del cinghiale bianco (1979) e segna la transizione a un approccio musicale più immediato ma lontano da una semplificazione di contenuti: l’intelligibilità del significante cozza con l’enorme complessità del significato di quello che l’autore vuole raccontare. La collaborazione con il violinista inizia all’insegna della sperimentazione nel 1978 con il disco Juke box, una colonna sonora per uno sceneggiato Rai su Brunelleschi mai utilizzata per quello scopo. Con L’Era del cinghiale bianco la sinergia tra i due musicisti diviene quella fucina di capolavori che così tanta parte hanno nella cultura popolare dell’Italia, in particolare tra i contemporanei.

Battiato si è stancato, non vuole più essere etichettato e relegato alla nicchia dello sperimentatore, vuole arrivare a tutti, vuole che anche le persone comuni lo ascoltino e lo cantino. Le tracce di quest’album, come sarebbe successo per quelli immediatamente successivi, hanno un impatto immediato, sembrano facili e orecchiabili ma sono multiformi e stratificate, ricche di riferimenti e citazioni. Attinge da ovunque Battiato, mastica e ritrasforma ogni stimolo, per creare una fusione perfetta di alto e basso, costruisce e separa, unisce e modella. È un alchimista e il singolo di maggior successo si trascina dietro tutto il disco. I testi sono tutto fuorché immediati ma sono cantabili e questo basta “per fare i cori nelle messe tipo Amanda Lear”, intrisi di esoterismo e critica sociale mostrano che l’autore, in quei dieci anni ha elaborato le sue letture e i suoi stimoli in un modo totalmente nuovo.  Ci sono echi di musica classica, contemporanea ed etnica ma questi non stridono e non si contrappongono, si fondono in un insieme che suona unico, suona “Battiato”, grazie anche alla collaborazione di Tullio de Piscopo alla batteria e alle percussioni e Alberto Radius (già Formula 3, musicista di Lucio Battisti) alla chitarra.

L’anno seguente è all’insegna di  Patriots (1980), un disco apertamente di critica sociale dove la protesta è priva degli artifici retorici e della grammatica dei brani di impegno politico coevi; Franco Battiato è un pensatore libero, non risparmia nessuno della vita culturale e politica, come nel caso di Up Patriots to arms, ma questo gli erode parte del consenso della critica dell’intellighenzia del tempo.

Nello stesso periodo (1980), Umberto Eco dà alle stampe il suo capolavoro Il nome della rosa, dichiaratamente un esperimento: vuole scrivere il romanzo tecnicamente perfetto che abbia in sé tutte le parti canoniche di un romanzo di genere, e ci riesce. Quel libro, però, non è solo un esercizio di stile: è ricco, complesso, ma soprattutto appassionante al punto da essere uno dei libri più venduti al mondo. Mi piace pensare e, forse non mi allontano troppo dal vero stando a quanto ne racconta l’autore negli anni, che anche il capolavoro di Battiato La voce del padrone (1981) abbia avuto una genesi simile. Il titolo è un doppio omaggio, agli scritti del filosofo e danzatore armeno Georges Ivanovič Gurdjieff e alla famosa casa discografica rappresentata dall’iconico cane con grammofono.

La voce del padrone è riconosciuto universalmente come uno degli album fondamentali della musica italiana, è stato sviscerato, spiegato, oggetto di cover innumerevoli volte. Probabilmente non c’è un disco come questo che abbia messo d’accordo critica e pubblico, tematiche ostiche e sottofondo per il turno di pulizia di qualche studente fuorisede, ricchezza musicale e facilità di ascolto. Una mezzora circa di musica, sette brani perfetti come sette singoli, ma sono anche un lavoro coeso e unitario nonostante la varietà dei temi, merito anche della direzione orchestrale di Giusto Pio, realizzato con gli strumenti più disparati che non stridono ma si completano tra loro.

Le canzoni, quando appartengono a tutti, trascendono e diventano altro, vengono rielaborate nel tempo dai suoi fruitori e un brano sull’incapacità di trovare un sé spirituale (Centro di gravità permanente) finisce per essere ballato sulle spiagge nel tentativo di imitare lo storico, iconico, balletto del video, ma anche per festeggiare la vittoria dell’Italia nei mondiali di calcio del 1982 e i suoi “capitani coraggiosi”. È una deflagrazione di citazioni musicali e letterarie, dalla musica pop agli adorati mistici, da Omero ad Adorno fino a Sinatra e Alan Sorrenti, un disco perfetto. Cosa resta ancora da fare a Battiato all’apice del successo?

Gli album che seguono, sempre all’insegna della collaborazione con Giusto Pio, sono accolti in modo entusiasta da pubblico e critica, se si escludono le polemiche per Radio Varsavia, in cui il citare l’entrata in vigore della legger marziale in Polonia gli causano accuse di simpatizzare a destra, subito smentite dall’autore. Sempre nello stesso album, L’Arca di Noè (1982), è contenuta anche la fortunatissima Voglio vederti danzare con la sua melodia ipnotica tra l’etnico e l’elettronica. Negli anni successivi seguono il meraviglioso Orizzonti perduti (1983), più elettronico ma con aperture alla world music e Mondi lontanissimi (1985), in cui No time no space apre ad altre forme di vita nell’universo, a concludere il periodo di album di inediti con la collaborazione di Giusto Pio.

La loro collaborazione, oltre che fruttuosa, è stata importante per definire il "canone battiatesco", il ponte tra la musica colta e la musica pop e il gran merito di far conoscere il cantautore alla massa riservandogli un posto nell’Olimpo dei grandi della musica d’autore italiana. "Stockhausen si sbagliava", dirà poi. "Posso ancora fare pop anche a oltre quarant’anni". Ma il percorso di Battiato segue sempre le proprie strade virando verso luoghi inaspettati. 

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Battiato produttore: Milva, Giuni Russo e Alice

Ci sono tre interpreti spesso sottovalutate nella musica italiana, tre donne di grande personalità e cultura che hanno nel loro repertorio dei brani immortali, che, spesso, coincidono anche con i loro lavori di maggior successo. Queste donne sono le mai troppo compiante Giuni Russo e Milva, insieme ad Alice.

Negli stessi anni Battiato e Giusto Pio si occupano della scrittura e della produzione degli album di queste tre interpreti eccezionali della musica italiana. Sono donne diverse e diversi sono i loro timbri vocali; quello che le accomuna è una straordinaria sensibilità artistica e una ricerca musicale in divenire. Battiato regala loro dei capolavori di scrittura musicale e poetica, brani cuciti addosso alle cantanti che ne hanno segnato la fortuna reciproca: Alexander Platz per molti è e rimane semplicemente “di Milva!”.


La vocalità di Giuni Russo era un miracolo.

Franco Battiato, Repubblica TV (2006)

 

A far incontrare Franco Battiato e Giuni Russo è il chitarrista di entrambi, il già citato Alberto Radius. Si tratta di una collaborazione proficua che non si interruppe mai veramente a partire dal primo singolo Una vipera sarò, brano dal sound e dalle tematiche “battiatesche” impreziosito da una vocalità cristallina e capace di rendere con il canto ancora più presente il testo. La sensazione in tutta l’opera di Giuni Russo prodotta da Battiato è quella dei vecchi libri pop up, la storia riesce a diventare tridimensionale pagina dopo pagina, castelli, torri, personaggi si possono quasi toccare, racconti con un chiaroscuro e una prospettiva che un solo disegno non può mostrare, le immagini si fanno vive. L’autore, come un demiurgo, usa la straordinaria tessitura vocale dell’interprete come materiale duttile e mutevole, adatto a creare mondi, se unito a testi e musica. Battiato e Giusto Pio produrranno un album della grandissima artista siciliana, Energie (1981), alcuni brani di Vox (1983) dei quali hanno curato anche testi e musiche insieme ad Alberto Radius e Maria Antonietta Sisini  e A casa di Ida Rubinstein (1988), decisamente più sperimentale.  Legati da un’amicizia personale oltre che dalla conterraneità fu una sensibilità artistica comune a renderli complementari.

L’album Energie contiene dei capolavori quali Lettera al governatore della Libia, in cui a partire da un’ouverture lirica si passa a un più prosaico synth, anche se i vocalizzi di Giuni Russo invocano un’altezza che si contrappone a un tema come quello delle fallimentari spedizioni coloniali italiane pre belliche. La bellissima e intimista L’addio e la già citata Una vipera sarò, decisamente più mossa della precedente, si incastonano come perle in un lavoro che sa di Barocco siciliano e acciaio nel quale i suoni sintetici e un certo post punk si fondono con la musica classica e lirica.

È nell’estate del 1982 che il sodalizio artistico raggiunge un successo commerciale enorme con Un’estate al mare, vincitrice del Festivalbar e resa, diremmo oggi, virale da continui passaggi radiofonici, nata come parentesi pop ma che arriva ad imprigionare la cantante negli anni a venire. Un’estate al mare è un brano digerito e metabolizzato dalla cultura popolare come già successo con La voce del padrone, la struttura della canzone è evidentemente nello stile di Battiato ma la voce di Giuni Russo la colora con delle sfumature incredibili (si pensi per esempio al garrito dei gabbiani creata dagli acuti della cantante). “Per regalo voglio un harmonizer con quel trucco che mi sdoppia la voce” è diventato ben presto un desiderio condiviso, nonostante ben pochi magari ne capissero il senso.

Dopo la scomparsa della grande artista nel 2004, Battiato, insieme alla compagna e coautrice di Giuni, Maria Antonietta Sisini, cura un docufilm sulla sua vita artistica dal titolo: La sua figura. Il titolo riprende quello di una canzone, con un testo tratto dagli scritti di San Giovanni della Croce, che la cantante amava molto e sulla quale avevano duettato insieme.

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La voglia di cantare insieme non è mai andata via. 

Alice, TG2 (2012)

 


La stagione delle grandi interpreti di Battiato non può prescindere da Alice. Nonostante la breve durata al tempo, il duo è rimasto nell’immaginario collettivo come inscindibile. Il loro incontro anche in questo caso è mediato da un amico comune, il produttore di entrambi Angelo Carrara che, tra l’altro, nello stesso periodo presenta alla cantante anche il suo compagno per la vita. Battiato e Alice iniziano immediatamente una collaborazione ricca e un’amicizia profonda che si è riproposta in un nuovo tour insieme nel 2016.

Nella scrittura per Alice, Battiato può proseguire la sua ricerca del pop d’autore contando su una timbrica e un’energia rare. La cantante interpreta le canzoni scritte per lei sentendole e accompagnandole con un’intensità che ne avrebbe decretato l’immediato successo. L’album Capo Nord (1980), che contiene il brano Il vento caldo dell’estate è il primo segno tangibile della collaborazione, affiancati dall’onnipresente Giusto Pio. Alice non è solo interprete di Battiato, ma è lei stessa autrice e musicista, sono suoi alcuni sintetizzatori nel disco.

Il primo brano di vero successo della triade è l’immortale Per Elisa contenuta nell’album Alice (1981) vincitrice del Festival di Sanremo 1981. Diversamente da quanto sostenuto nella vulgata comune il brano non è scritto pensando all’eroina, ma parla esattamente di quello che sembra: Elisa è solo una donna che ha portato via l’uomo alla protagonista della canzone. Il sound del pezzo è smaccatamente Battiato/Giusto Pio virato a una forma canzone più pop-rock con un testo lontano dalle criptiche metafore a cui il nostro ci ha abituato nelle produzioni del periodo.

Segue qualche singolo di successo fino ad arrivare alla magnifica Chan Son Egocentrique (1983) sempre della stessa triade di autori. Questo brano è interpretato insieme da Alice e Battiato e ha un’impronta decisamente più canonica rispetto alla composizione dell’autore in quel periodo. Il tema è la ricerca di sé, il testo è in quattro lingue, la presenza dell’elettronica è notevole e la canzone, oltre a mixare perfettamente le voci dei due interpreti, si produce in cambi di tempo e melodia frequenti, nonostante tutto rimane un pezzo ballabile e con un gusto spiccatamente anni ottanta, nel senso che è uno dei brani che ne detta lo stile.

È del 1984 l’esibizione all’Eurofestival dei due con I Treni di Tozeur, canzone rimasta praticamente sempre nel repertorio live di entrambi, con la quale si classificarono al quarto posto. Annunciati da un siparietto dal gusto decisamente anni ottanta, i due salgono sul palco elegantissimi vestiti in bianco e nero complementari, una sorta di yin e yang che si bilancia perfettamente con le loro voci e la semplicissima coreografia, alla direzione dell’orchestra Giusto Pio. Il pezzo è ancora una volta spiccatamente tipico sia nel testo che nel suono, le atmosfere di Tozeur, ultimo baluardo di oasi prima di affrontare il deserto dove si produce il fenomeno ottico della Fata Morgana, più prosaicamente dei miraggi,  è un pezzo tra sogno e realtà. Nel 1985 Alice dà alle stampe un intero album dove interpreta brani di Battiato, Gioielli Rubati e negli anni i due si esibiscono insieme varie volte in occasione di eventi live o apparizioni televisive. La loro collaborazione segna un'epoca intensissima riscrivendo la storia della canzone pop italiana e mostrando che ci possono essere altre vie da percorrere restando in una sfera altamente vendibile, fare la propria musica bene e senza compromessi ottenendo grandi risultati, il pubblico era pronto.

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Considero Franco il più grande musicista e poeta.

Milva, Alta Classe (programma TV) 1992

 


Franco Battiato e Milva formano un sodalizio molto particolare. In quegli anni la “pantera di Goro” era un’attrice di successo, musa di Giorgio Strehler e specializzata nel teatro di Brecht. Non aveva abbandonato la musica ma, all’interno di essa, “viveva vite parallele”, una più smaccatamente popolare fatta di festival e televisione e una più complessa e di ricerca (come per esempio i dischi dedicati a Brecht curati da Strehler). Tra i due filoni si inserì di diritto Battiato. Milva e Dintorni (1982) è un album elegante e complesso, ricco di citazioni anche musicali (gli inserti dall’aria pucciniana in Non sono Butterfly) aperto da Alexander Platz che tanta parte avrebbe avuto poi nella storia di entrambi.

Alexander Platz, la piazza, è enorme, attraversata da un snodo di metropolitane inevitabile, sebbene molto ricostruita dopo la caduta del Muro, mantiene il suo fascino sovietico nonostante sia un simbolo della Germania riunita. Appena arrivi ad Alexander Platz non puoi fare a meno di pensare alla giovane, probabilmente trasferitasi da poco, che abitava nella zona orientale della città, al freddo, al muro e alla frontiera. Affrontare quella che fu Berlino Est con Alexander Platz nelle orecchie è, nonostante tutti i cambiamenti, un’esperienza ancora molto forte.

Il brano in realtà è un adattamento di una canzone che Battiato e Giusto Pio hanno scritto insieme ad Alfredo Cohen e da quest’ultimo interpretata nel 1979. Il brano si chiamava Valery e raccontava fuor di metafora la storia di Valérie Taccarelli, una transessuale impegnata per i diritti LGBTQ+. Curioso è il fatto che alcuni versi rimangano simili e altri siano proprio gli stessi tra le due versioni, “sai che d’inverno si vive bene come di primavera”, “spolverare, fare i letti, poi startene in disparte come vecchia principessa prigioniera del suo film, che aspetta all’angolo come Marlene, hai le borse sotto gli occhi”. Evidentemente le storie sono diverse così come il contesto di queste due solitudini, la Marlene Dietrich di Valery ha una valenza immaginificamente totalmente diversa da quella dell’anonima protagonista di Alexander Platz, quello che è subito evidente, però, è che entrambe sono “come Marlene” donne che vogliono essere libere e liberate.

La canzone parte quasi recitata, piano, sommessa, Milva sfoggia le sue doti interpretative per accompagnarci nella vita di questa ragazza, per poi deflagrare in un urlo liberatorio: "Alexander Platz auf wiedersehen, c'era la neve, faccio quattro passi a piedi fino alla frontiera, vengo con te". Musicalmente, come nel resto dell’album, sono i sintetizzatori a farla da padrone con inserti di citazioni classiche, nel caso specifico Schubert, mentre la voce di Milva fa parte della trama del brano e diventa un altro strumento dando profondità e intensità alla storia.

La collaborazione tra Battiato e Milva continua in modo saltuario per tutta la vita artistica della cantante così come nel 1989 in Svegliando l'amante che dorme, nella quale insieme agli inediti possiamo trovare una reinterpretazione di Centro di gravità permanente e Atmosfera già cantata da Giuni Russo in Energie.

Nel 2010 esce l’ultimo album della pantera prima del ritiro dalle scene, si intitola Non conosco nessun Patrizio e deve il titolo proprio a un qui pro quo come raccontato dallo stesso Battiato: ”È un titolo nato quasi per scherzo: un giorno l'assistente editor di Milva ha telefonato in studio e ha risposto Patrizio, uno dei tecnici quando lui si è presentato lei gli ha risposto `Non conosco nessun Patrizio´. In quel momento, dopo essermi fatto una risata, ho capito che era il titolo perfetto.” (presentazione alla stampa dell’album nel 2010). Nel disco ci sono nove cover del Battiato di quegli anni e un inedito omonimo scritto dal nostro in coppia con Sgalambro, quale segno per sancire un’amicizia e una collaborazione artistica profonda e durevole. Milva si è spenta il 23 aprile 2021, meno di un mese prima del suo amico Franco Battiato.

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Battiato ha dichiarato che ha amato lavorare con tutte e tre le artiste e che la loro affinità, oltre che votata alle Muse, aveva radici nel rapporto personale che aveva con ognuna di loro. La parentesi da producer, nonostante sia una fucina per dei capolavori indiscussi e una grossissima produzione si esaurisce nel corso di qualche anno. Si era avventurato in quest’impresa non perché in cerca di un nuovo mestiere ma per amicizia.

 


Battiato, la filosofia e l’anima: il rapporto con Manlio Sgalambro

Dopo la fine della collaborazione con Giusto Pio, Battiato dà alle stampe Fisiognomica (1988), meno commerciale dei precedenti, spinto nella sua creazione dalla voglia di cambiamento così come dalla spiritualità, come nella celeberrima E ti vengo a cercare, canzone letta in vari modi e una delle più reinterpretate dell’autore. Unico autore oltre a Battiato in questo album è Juri Camisasca con la fortunatissima Nomadi. Amici fin dagli anni settanta i due artisti collaborano per tutta la vita nei più disparati modi: non c’è un periodo Camisasca perché, di fatto, in qualche modo, lui c’è stato sempre. Seguono Giubbe Rosse (1989) un album dal vivo con un unico inedito, la title track, Come un cammello in una grondaia (1991) nel quale dopo i primi 4 brani scritti e cantati da Battiato, troviamo il brano Povera patria, espressione allusiva che è entrata poi nel linguaggio politico comune in modo trasversale e Cafè de la Paix (1994), ricco di riferimenti musicali e culturali misti, da Occidente a Oriente nel quale troviamo inserti di tabla e sarod, due strumenti indiani, il primo a percussione, il secondo a corda.

Il 1994 è anche un anno chiave nella produzione di Battiato, quello del primo incontro con Manlio Sgalambro mentre l’artista catanese stava preparando la sua seconda opera lirica, Il cavaliere dell’intelletto sulla vita di Federico II. Lasciamo la descrizione dell’incontro alle parole del filosofo nell’ultima sua intervista:  “Per un certo verso direi che è stato uno di quegli incontri che ti portano fuori strada, ma questa è una percezione che ho avuto molto tardi. A volte trovo che è come se tutto quel tempo io lo abbia perduto: la questione starebbe nel vedere se sia possibile recuperarlo… Un giorno venne questo tipo spiritato, con gli occhi di fuori, e mi portò un assegno di 60 milioni per fargli un libretto d’opera: accettai. Dopo poco gli dissi che se avesse accettato lui, gli avrei scritto in venti giorni un album completo: così nacque L’ombrello e le macchina da cucire”.

Quest’ultimo è un album veramente molto ostico, i cui brani vengono raramente eseguiti dal vivo negli anni successivi. Il pubblico sgomento si interroga su cosa sia successo al cantautore siciliano che, certo, non era mai stato un cantore di canzonette, ma stavolta ha proprio passato il segno. I testi di Sgalambro richiedono un background culturale vasto e multiforme anche solo per essere vagamente contestualizzati

I due aggiustano il tiro trovando una sintesi in un album che riporta Battiato alla sua grandezza (quella delle copie vendute evidentemente), L’imboscata (1996). Il disco si apre con la voce di Sgalambro, ormai protagonista assoluto della produzione del nostro e spesso presente anche ai live, declamando un frammento di Eraclito. Battiato è tornato a parlare a tutti, con le sue musiche, ma, di nuovo, in modo diverso. Se Di passaggio ad esempio è, come già detto, aperta dalla voce di Sgalambro che legge Eraclito in lingua originale, tutto il brano è in realtà nient’altro che la spiegazione del “panta rei” (tutto scorre) eracliteo, la canzone si chiude con Callimaco sullo sgomento di fronte al mito della caverna platonico, sempre in greco antico cantato in coppia con Antonella Ruggiero.

È un disco che, nonostante le premesse e i testi ancora ricchi e stratificati, si presenta come più accessibile del precedente e poi c’è lei, la perla del repertorio di quegli anni, l’abusatissima La cura che, come ebbe a dichiarare lo stesso autore: “la usano per tutto e su tutto, matrimoni, battesimi e funerali”, canzone d’amore per eccellenza che in effetti quello è anche se, nelle intenzioni dell’autore, si tratta di un amore alto, filosofico. Oltre ai già citati Ruggiero e Sgalambro, in questo disco troviamo le voci di Giovanni Lindo Ferretti, Saturnino al basso, David Rhodes alla chitarra e Gavin Harrison (Procupine Tree) alla batteria. Il disco suona più rock dei precedenti, la chitarra è più presente e importante, abbandonando i suoni sintetici e gli strumenti esotici. I testi di Sgalambro sono impregnati di filosofia ed esoterismo ma, allo stesso tempo, risultano cantabili e stratificati, in modo da averne diverse chiavi di lettura a seconda delle conoscenze degli argomenti trattati e, in mancanza, non totalmente incomprensibili.

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Dopo Gommalacca (1998), del quale parleremo meglio più avanti, arriva Ferro Battuto (2001) un disco, di nuovo, fortemente sperimentale che alterna brani più pop con chitarre molto presenti, come in Running against the grain col duetto con Jim Kerr dei Simple Minds, ad altri come  Bist du bei mir, dove la melodia pop si scontra citazioni classiche, un’aria erroneamente attribuita a Bach che è invece del compositore tedesco Gottfried Heinrich Stölzel. Il resto del disco oscilla tra brani quasi di musica classica (Personalità empirica) e dissertazioni che riportano al Battiato sperimentale (gli oltre 11 minuti di cavalcata de Il potere del canto). I testi sono sempre più criptici ed ermetici, atti ad accompagnare la melodia, molto ricchi di citazioni e allo stesso tempo allusivi ad altri significati, rimandando ad mondo di letture variegate e  studi approfonditi. Spicca per esempio Sarcofagia, brano che riprende Plutarco e il suo Del mangiar carne, una sorta di ode al vegetarianesimo, col suo ritornello scandito e accompagnato da una batteria pulsante.

In Dieci stratagemmi (2004) il duo Battiato/Sgalambro raggiunge l’apice del sincretismo culturale e musicale, cesellando sia i testi con citazioni dalle provenienze più diverse che le musiche contaminando tra i più vari generi. La poesia cinese del IV secolo a.C. (in Le aquile non volano a stormi) e la poesia del XVIII secolo inglese (I’m that in duetto con Cristina Scabbia dei Lacuna Coil) sono solo alcune delle citazioni che infarciscono l’album. Una vera chicca è il brano Apparenza e realtà, in cui Battiato duetta in tedesco con i Krisma, un’altra delle liason artistique del maestro. Se è l’elettronica a ritornare prepotente in questo lavoro, le sfumature delle chitarre sono di un giovanissimo Davide Ferrario da poco aggiuntosi al team dei collaboratori.

Il vuoto (2007), riporta Battiato in lidi più sicuri dal punto di vista musicale, ritornano le chitarre presenti a dettare la linea. I testi di Sgalambro sono sempre più introspettivi e criptici, passano dalla meditazione personale all’universalismo, si sonda l’umano come categoria dello spirito e non solo come individuo. Dal punto di vista musicale si passa dal rock della title track alla romanza di Tchaikovsky ne Era l’inizio della primavera, ma è  This game is over il più contaminato dei pezzi dell’album con le voci di Battiato che si mischiano con canti dal sapore orientale mentre la domanda incalza “Dove stiamo andando?” con l’electro-noise quasi techno del brano aumenta l’ansia della ricerca della risposta.

Nel 2009 esce Inneres Auge - Il tutto è più della somma delle sue parti, una compilation in cui gli unici inediti sono Inneres Auge e U’cuntu, brano con testo di Sgalambro completamente in siciliano.  Inneres Auge è uno degli ultimi giochi di Battiato e Sgalambro prima della dipartita del filosofo.Il testo si addentra nel presente contingente (di quegli anni) parlando di festini, politicanti, rimborsi, all’inizio della serie di scandali che decreteranno la (momentanea, pare) fine del periodo aureo di Silvio Berlusconi. Sgalambro è molto diretto, entra nello spirito dei “mala tempora (currunt)” per contrapporli alla ricerca spiritale, concetto ribadito con il riferimento all’ “inneres auge”, occhio interiore letteralmente di tradizione tibetana, che ha la doppia funzione di percepire il colore dell’aura di chi ti sta di fronte ma anche di esplorare il tuo interiore sollevandoti dalle questioni materiali. La canzone si conclude con la piena consapevolezza che la via dello studio e della meditazione siano quelle più giuste per abbandonare le miserie materiali ed elevarsi spiritualmente. “Basta una sonata di Corelli perché mi meravigli del creato”.

Attraverso Sgalambro, Battiato è riuscito a non preoccuparsi più di spiegare coi testi il suo mondo interiore, delegando al filosofo la scrittura delle parole ha potuto sperimentare totalmente il suo mondo strettamente musicale e avventurarsi contemporaneamente in collaborazioni particolari.

 

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Da Gommalacca al Vuoto: Battiato e i giovani

Da sempre talent scout e scopritore di band e cantautori, Battiato collabora negli anni con gruppi più o meno emergenti per una questione di attitudine e sensibilità artistica, lasciandosi permeare dalle avanguardie e dalle nuove tendenze. Il Battiato che collabora, insegna, fa da padre spirituale è quello più vicino a chi è stato giovane alla fine degli anni novanta, mediato da una scena musicale più vicina agli ascolti giovanili, abbiamo iniziato a percepirlo come un padre artistico. Anche per chi non aveva avuto la fortuna di approcciarlo direttamente o attraverso le generazioni precedenti ha spesso fatto un percorso inverso di riscoperta delle sue musiche ma anche delle letture e della musica che citava, quando parlava in televisione o in radio era sempre un arricchimento.


Scrive veramente bene, con grande potenza: un tipo strano, un provocatore. […] ma vorrei approfondire con lui due o tre punti, sulle sue scelte degli ultimi tempi.

Battiato su Giovanni Lindo Ferretti, La Stampa (2010)

 

Nel 1996, Battiato partecipa all’album pietra miliare dei C.S.I. Linea Gotica inserendosi nella cover di E ti vengo a cercare. La spinta mistica di Battiato in questa versione permane in misura minore, i cori, seppur mantenuti dall’intervento vocale di Ginevra Di Marco e il contrappunto di basso dell’autore stesso, fanno sì che quest’ultima divenga una versione più disperata, in linea con la critica alla guerra in Jugoslavia che è il concept del disco, in un groviglio di chitarre distorte, presentando un attaccamento al sentimento più terreno, rivendicato anche dall’omissione dell’ultimo verso “perché ho bisogno delle tua presenza”. La collaborazione con il gruppo non finisce mai davvero, negli anni Battiato invita Ferretti a cantare con lui in una traccia nel disco L’imboscata, collabora a un brano di Gianni Maroccolo e chiede a Ginevra Di Marco di apparire in Gommalacca. Come la chiusura di un cerchio, nel 2010 riunisce i musicisti dell’evoluzione dei C.S.I., i P.G.R. per regalare loro nove canzoni del loro repertorio riarrangiate con il suo stile, un lavoro in cui i pezzi presero diversa e nuova vita, ConFusione (9 canzoni disidratate da Franco Battiato).

 


Maestri come Franco Battiato non ne ho più trovati. Il che è anche comprensibile e forse amaramente giusto: un maestro lo incontri una volta sola nella vita. E devi essere molto fortunato, tra l’altro 

Morgan, dal libro "Io, l'Amore, la Musica, gli Stronzi e Dio" (2014)

 


È con Gommalacca però che un Battiato, già in coppia con Sgalambro, si apre totalmente a suoni nuovi facendosi influenzare dall’alternative italiano di quegli anni, collaborando con tantissimi di loro, Moltheni, Mao, i Subsonica, ma è con i Bluvertigo e il suo frontman Morgan che avvia un rapporto più stabile e duraturo. Il rapporto tra i due, anche per questioni anagrafiche, si sviluppa in modo verticale, Battiato è il maestro e loro i suoi figli spirituali. I Bluvertigo non hanno mai nascosto la loro passione per l’artista siciliano, lo hanno omaggiato già nel 1998 (Prospettiva Nevsky era la b-side del singolo Cieli neri), il loro primo incontro lo racconta Morgan: “La prima volta che ho incontrato F. Battiato di persona, era il 1995, ero a Roma nel backstage di un grande concerto di piazza (era il tempo in cui Battiato ancora cantava nelle piazze). Lui arrivò in taxi, venne da noi Bluvertigo e ci disse: 'Ho sentito una canzone alla radio, mi hanno detto che è vostra, mi piace, belle sonorità'. Al che io risposi: 'Grazie'. Poi Battiato salì sul palco e mi emozionò molto sentire che cantava davanti a una platea di 500.000 persone Breve invito a rinviare il suicidio. Il discorso sulle sonorità lo continuammo il giorno dopo, a colazione. Battiato mi disse: 'Trovo però che nei tuoi testi ci sia un po' troppa critica'. Io risposi: 'Ho imparato bene da chi scriveva A Beethoven e Sinatra preferisco l'insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie'.

Battiato ha evidentemente notato qualcosa in quei ragazzi che avrebbe potuto usare per avvicinarsi a delle sonorità più attuali, un nuovo modo per approcciarsi agli ascoltatori più giovani senza perdere l’impegno dei testi di Sgalambro. Per quanto elettronico, fino ad allora, Battiato muove in un mondo prevalentemente analogico, non ha mai fatto un uso massivo dei computer né in fase di produzione né in studio di registrazione con effetti sulle voci per esempio, Gommalacca abbatte questa barriera e segna l’inizio di un nuovo percorso. La gommalacca è una specie di resina prodotta da degli insetti in uso come una sorta di plastica ante litteram per produrre cornici e piccoli oggetti nel XIX secolo, allo stesso tempo parola che suona nuova, post moderna e che già dall’uso nel titolo può permettere di cogliere lo spirito del lavoro.

Morgan al basso, Marco Pancaldi (già Bluvertigo) e Ru Catania (Africa Unite) alla chitarra, Ginevra i Marco alle voci, il solito Gavin Harrison alla batteria, Pinaxa ai sintetizzatori e Madaski (Africa Unite) in produzione, non ha di fatto scritto il disco ma ne hanno influenzato il suono in molti modi. Basti pensare al primo singolo, la bellissima e nuova per l’epoca Shock in my town con quel video dalle atmosfere cyberpunk e post apocalittiche dove un Battiato vestito da Samurai ci accompagna in un viaggio psichedelico alla ricerca di una coscienza di sé in un mondo bruciato dall’essere umano e dalle nuove droghe, il tappeto sonoro di musica elettronica serve a dare forza alla chitarra che poi si impone prepotentemente, interessante la distorsione vocale nella frase ripetuta quasi parossisticamente per tutto il brano “Shock in my town... Velvet Underground" per poi aprirsi di luce nel ritornello.

Sulla stessa falsa riga è il Ballo del potere, i suoni campionati, la chitarra molto presente e il video che ricorda le atmosfere del precedente è un altro ottimo esempio di sincretismo del maestro, alla linea ritmica le percussioni tipiche degli Aborigeni e dei Pigmei, le voci campionate, le chitarre distorte e il massiccio uso dell’elettronica sono uno degli esempi più compiuti di questa nuova fase. La voce femminile è quella di Ginevra Di Marco mentre la parte recitata in inglese è eseguita da Andrea Pezzi che spiega cosa significa il cerchio per il Thai Chi. Il testo di Sgalambro segue questa linea mostrando come in una situazione di precarietà e di incertezza politica il modo di vivere dei popoli meno civilizzati e quindi più “puri” sia da preferire da un punto di vista morale. Non mancano i momenti di musica colta come la citazione della Norma di Bellini in Casta Diva, canzone dedicata a Maria Callas o atmosfere di elettronica spinta, quasi ballabile come in Auto da Fe o il Battiato più “classico” (qualsiasi cosa voglia dire) di Vite parallele.

Nel 1999 poi i Bluvertigo ospitarono Battiato nell’album Zero: suoi i cori  e l’haiku finale in Sovrappensiero e le voci in Punto di non arrivo. Sintesi del percorso di affiliazione della band monzese a Battiato è il video di L’Assenzio nei quali ospitano l’artista che appare come una sorta di maestro alchimista, seduto in cattedra viene osservato dai quattro in religioso silenzio come se fossero davvero a lezione dal loro mentore musicale.

Anche la collaborazione con Pino Pinaxa Pischetola (il fonico dietro a Violator dei Depeche Mode), iniziata negli anni novanta e proseguita nei tour, ha un seguito importante: nel 2012 partecipa alla produzione di Apriti Sesamo insieme a Faso (Elio e le storie tese), Simon Tong (Verve) alla chitarra e Carlo Boccadoro all’organo Hammond. Sull’onda di questa sinergia esce nel 2014 Joe Patti's Experimental Group, un album dove il nostro ritorna alla sua antica passione, l’elettronica sperimentale degli anni ’70. Per la maggior parte, infatti, i brani nascevano in quel periodo della sua vita, nel nuovo lavoro li ha solo messi a punto.

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Subisco piacevolmente l’influenza di Battiato.

Carmen Consoli, Io Donna (2009)

 


A conti fatti Carmen Consoli e Battiato non hanno collaborato molto spesso se escludiamo i duetti live, specialmente nella bellissima Stranizza d’amuri, la percezione che se ne ha però, vuoi per la conterraenaità, vuoi per un certo modo di approcciarsi alla musica e all’arte, è che i due siano molto vicini. Artisticamente la loro collaborazione si è davvero concretizzata solo nel 2008 con l’unico inedito di Fleurs 2, il brano Tutto l’universo obbedisce all’amore, una sorta di ballata dove l’amore è quello tra due persone che diventa poi un sentimento universale. Nel 2009, insieme a Manlio Sgalambro scrive per l’album della cantantessa Elektra un brano dal titolo Marie ti amiamo, cantata insieme in italiano, arabo e francese il gioco dei voci tra i due, le percussioni che dettano la ritmica, l’introduzione di strumenti inusuali che danno una patina esotica ne fanno una perla dell’album.

Ricordiamo tra le altre scoperte di Franco Battiato le MAB, poi Lilies on Mars, che collaborano con l’artista nell’album Il vuoto, il singolo omonimo è pop elettronico con l’inserto  ex abrupto di un baritono, cantata in italiano e in inglese è accompagnato da un video nel quale vediamo un inedito Sgalambro nelle vesti di talent scout. È doveroso citare anche Fabio Cinti, che nel 2018 gli ha di recente dedicato un rifacimento totale de La voce del padrone, ha aperto molti concerti del tour di Apriti sesamo e per il quale Battiato ha scritto anche una canzone Devo, contenuta nell’album Madame Ugo (2013). Grazie anche alle influenze del nostro sul percorso musicale di Cinti, il pezzo suona immediatamente “battiatesco”, è molto carino il gioco di autocitazioni nel ritornello “devo abbandonare la mia personalità/empirica", riferimento all’omonimo brano e di, fatto, ne segna il superamento.

Ultimo in ordine di tempo è Giovanni Caccamo, giovane cantautore di Modica che racconta così l’incontro col maestro e di come la sua vita sia cambiata: “Ero a Donnalucata, un borgo del litorale ragusano noto soprattutto per le riprese televisive del Commissario Montalbano e ho saputo da un'amica che qualcuno aveva visto in spiaggia Franco Battiato che prendeva il sole. Ho pensato che quella fosse l'occasione che passa una sola volta nella vita. Ho perlustrato tutta la costa fino a trovare il Maestro, l'ho praticamente pedinato, e sono andato a parlargli, armato di coraggio e di una busta: conteneva il cd con le mie canzoni e una lettera, che poi ho pubblicato sul mio sito. Pochi mesi dopo lavoravamo insieme: un singolo, un disco, un contratto con la Sony, un tour”. Battiato insieme a Pinaxa produce il suo primo singolo, L’indifferenza e successivamente il brano Satelliti contenuto nel suo primo album.

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Sarebbero ancora tante le collaborazioni da citare: Francesco De Gregori, Fiorella Mannoia, Nicola Piovani, Luca Madonia, Mario Venuti, Marta sui Tubi, quella postuma con Fabrizio De Andrè, il tour con Antony and the Johnsons, le cover di Colapesce e Dimartino e molti altri ancora, forse non saremo stati esaustivi fino in fondo ma del resto la carriera di Battiato è stata così lunga e piena che sarebbe impossibile riassumerla tutta, abbiamo scelto qualcosa per ogni periodo, qualcosa che ce lo raccontasse ancora almeno un po’, fino all'ultimo concerto tenutosi il 17 settembre 2017 al Teatro romano di Catania, al conseguente ritiro dalle scene per motivi di salute, all'ultimo inedito scritto con Juri Camisasca dal titolo profetico Torneremo ancora, pubblicato dalla Sony nel 2019. Fino alla sua scomparsa, a 76 anni, nella sua casa di Milo in provincia di Catania.

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Battiato ha cambiato la vita di molti, musicisti e non: la spinta mistica, la possibilità di fare musica colta parlando ai contemporanei, il suo essere diventato il Maestro, soprattutto Battiato è stato un uomo intelligente. Ha avuto l’intelligenza di capire il suo tempo e anticiparlo un po’ ogni volta, ha avuto l’intelligenza di parlare a tutti con le sue parole e i suoi termini, senza compromessi e facilitazioni, da sempre sostenitore dell’ascesa ha fatto in modo che per essere compreso anche noi dovessimo un po’ ascendere, ogni volta un gradino in più.

La vita non finisce
È come il sogno
La nascita è come il risveglio
Finché non saremo liberi
Torneremo ancora.

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L'articolo Torneremo ancora: la storia straordinaria di Franco Battiato di Luisa Paola Bassu è apparso su Rockit.it il 2021-05-18 09:57:00

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