Numero6 - Studio Report

Per descriverci l'album appena registrato ha deciso di regalarci uno dei tanti racconti scritti per il suo primo libro (previsto per Delvecchio editore a novembre). I dettagli sulle canzoni dovete cercarli tra le righe. In più c'è tutta una serie di filmati dove i vari componenti del gruppo si spiano a vicenda. Insomma, si sa ancora poco del nuovo disco dei Numero6, ma potete iniziare a farvi un'idea. Michele Bitossi in un'ispirata lettera alla madre.



Te la sei presa comoda mi ha detto due settimane fa mia madre di fronte al cinema Augustus, teatro del nostro ultimo e difficile incontro.
Avevamo appena visto l'ultimo film di Paolo Virzì, ossia il suo primo capolavoro.
Raramente un lungometraggio è riuscito a commuovermi sul serio. Mia madre invece piangerebbe anche di fronte a un monologo di Jack Black sul metodo migliore per scoreggiare. Ma questa è un'altra storia.
Fatto sta che mentre mi stavo asciugando furtivamente una mezza dozzina di lacrime sul marciapiede di un corso Buenos Aires stranamente molto trafficato vista l'ora, la mamma Silvia se n'è uscita con quella che considero a tutti gli effetti un'osservazione infelice.
Sì perchè in questi ultimi quattro anni non sono certo stato a grattarmi lo scroto al sole di Santo Domingo con un long drink in mano, qualche discreta lettura, parecchio fumo buono e altrettante poco di buono intorno.
A parte che, se vogliamo dirla tutta, l'ultima uscita discografica che mi riguarda direttamente risale a cinque mesi fa ed è quel "Pellegrino dalle braccia d'inchiostro" che ha visto i Numero6 spartirsi oneri e onori con l'amico Enrico Brizzi.
Aggiungo poi, cara mamma, che scrivo tutti i santi giorni. Sì, scrivo. Cristo di un dio. Tutti i cazzo di giorni apro la custodia di plastica dura, estraggo la Rickenbacker e mi sbatto con l'obiettivo di partorire qualcosa di sensato.
Un riff, un giro di accordi che potrà diventare una strofa, un ritornello, uno special, una coda.
Magari soltanto tre semplicissimi accordi che riescano a tenere in piedi un intera canzone.
Purtroppo succede di rado, vista la mia stronza tendenza a contorcere le canzoni, a non volerle quasi mai sputar fuori in maniera lineare e scorrevole.
C'è da dire che quando mi sono fatto corrompere dalla semplicità ho fatto i conti con le più importanti soddisfazioni della mia barcollante carriera di musichiere.
Non me la sono presa comoda mamma. Fidati.


Il fatto triste è che in sto paese di merda molti pensano che gli album di canzoni si materializzino sugli scaffali dei negozi di dischi per una sorta di magia.
Che fai, suoni? Ah ok. Ma di lavoro cosa fai?. Di lavoro suono, porcoiltuodio. Dietro ai miei dischi, belli o brutti che siano, ci sono mesi di lavoro. Voglio che sia chiaro. Sono parole di Beatrice Antolini dette nel corso di un'intervista rilasciata al Mucchio selvaggio qualche mese fa. Parole che ho già citato in una canzone che si intitola "Rocker carbonaro" e che farà parte del mio primo album solista.
Parole che hanno un peso. Che sposo con tutte le mie forze. Dovete smetterla, pigre teste di serpente, di diffondere una credenza profondamente fuorviante sul nostro conto.
Poi sai, mamma, starei anche scrivendo questo libro di racconti e deliri. Così, per dirne una. Ti ho anche regalato un nipotino, non ricordi? Sai che non è stata una passeggiata di salute. Comunque dai, adesso sono qui a Nuova York. Mi sono svegliato da un'oretta, ho fatto una colazione dignitosa, una doccia tiepida e sto scrivendo una delle prime mail che faranno capolino sul pc portatile, un tempo di papà adesso tuo.
Siamo sistemati tutti e cinque in un appartamento carino e piuttosto piccolo nel Queens. C'è un parco vicino a casa. Pensa, la sera ho pure iniziato a fare footing. Magari riesco a butter giù un po' di panza. Il Pikka, Nico e Tristan stanno ancora dormendo. Di brutto. Ieri sera, come direbbe Bruno Pizzul, hanno fatto festa grande. Come aggiungerebbe il tuo buonanima papà: "la sera leoni la mattina coglioni".
Da bambino me lo diceva con quel tono militaresco del cazzo e mi innervosivo non poco. C'è da dire che aveva ragione marcia.


Andreone è in bagno che caga e contemporanemente ripassa un giro di basso piuttosto complesso. A momenti passerà Carl, un meticoloso e simpatico aiuto fonico di diciannove anni, per caricarci sulla sua sminchiatissima Ford con cui ci trasporterà allo studio dove stiamo registrando il nuovo disco dei Numero6.
È praticamente certo che i tre cazzoni sognanti ci raggiungeranno grazie ad altrettante metroplitane. Non c'è problema dal momento che Nico ha registrato tutte le parti di batteria in un giorno e mezzo. Oggi finiremo i bassi di Andre (Kim Deal è sempre un suo discreto nume tutelare) e inizieremo a fare l'editing della sezione ritmica. Se mi metto a spiegarti cosa significa tutto ciò non finisco più. D'altra parte mi ricordo l'enorme punto interrogativo nel baloon accanto alla tua faccia quando un annetto fa ti parlavo del procedimento di registrazione multitraccia. Eviterò quindi di addentrarmi troppo in disquisizioni tecnico-tattiche verticalizzando e badando al sodo. Che ciarlatano, mi sono autocitato.
Negli ultimi due anni ho scritto qualcosa come ottanta canzoni e altrettanti spunti da sviluppare o da lasciar arrugginire sul disco fisso del computer.
Scegliere le cose su cui lavorare per l'album nuovo del gruppo è stato tutto tranne che semplice. Tra ripensamenti, improvvise illuminazioni, nuovi ripensamenti ci ho messo due mesi. Alla fine siamo arrivati qui con diciassette canzoni.


Ho le idee abbastanza chiare su come vorrei che suonasse l'album e come dovranno essere scritte le parti strumentali. Nonostante siamo nelle sapienti mani di Jeremy Carling, uno dei più quotati produttori americani, ho voluto portargli in dote una situazione il più possibile definita. E' ovvio che questo mostro della consolle avrà carta bianca sulla direzione artistica del disco. Ci tenevo tuttavia a fargli presente che il fatto nostro lo sappiamo abbastanza bene e che dietro alle nostre canzoni c'è sempre un certo lavoro.
Un lavoro che metti in discussione nel preciso momento in cui decidi di delegare a un terzo la produzione artistica. Un lavoro che il più delle volte comunque torna utile anche se per ogni brano si riparte dallo sviluppo di idee nuove rispetto alle originarie.
Mi sono informato e ho visto che lo studio in cui siamo al giorno costa veramente un botto. Finalmente però possiamo disporre di un budget decisamente adeguato per fare le cose a un livello adeguato. A sto giro non possiamo proprio lamentarci. L'etichetta evidentemente crede nel progetto e non ha badato a spese.
Starà a noi ritornare a casa con un disco della madonna in mano e giocarci tutte le carte possibili per combinare qualcosa di significativo.
Quanto a me non me la prenderò certo comoda.
Rieccomi. Ho controllato: la prima mail te l'ho spedita ormai dieci giorni fa. Domani abbiamo il volo. Partiamo la mattina presto e arriveremo quando arriveremo.
Posso dire che tutto è andato alla grande. Jeremy ha fatto un lavoro strepitoso e ho l'impressione che si sia appassionato almeno un po' alla nostra musica.
Abbiamo trascorso parecchio tempo con lui anche al di fuori dello studio.
L'altro ieri sera siamo andati al concerto di un gruppo fantastico, i The National. Jeremy li conosce molto bene perchè ha lavorato con loro un anno e mezzo fa. Ce li ha presentati e abbiamo passato tre divertentissime ore insieme nel backstage dopo il concerto. Jeremy ha due bambini. Il piccolo, Dylan, ha tre anni e mezzo. E' belllissimo. E autistico.
Non dev'essere per niente facile con lui. Credo ci voglia un coraggio fuori dalla norma. Emma ha sette anni, ha i capelli neri come il carbone ed è dolcissima.
Qualche giorno fa Jeremy ci ha invitati a casa sua per un dopocena, rivelatosi piacevolissimo. Con sua moglie Ines e i due piccoli vivono in una villa a Beverly Hills, elegante ma per niente cafona. Lei è argentina. Jeremy ci ha raccontato di avera conosciuta vent'anni fa durante un tour mondiale di Peter Gabriel. Lui era al seguito del carrozzone come assistente personale del fonico di palco, lei era alle prime armi in quello che sarebbe diventato il suo lavoro: la fotografa musicale. Fu colpo di fulmine. Devastante e irrimediabile.
Alla fine le nostre canzoni sono diventate diciotto. Mercoledì scorso, durante il mixaggio, ho raggiunto Tristan in una delle tre sale di ripresa dello studio. Stava armeggiando con uno splendido piano Rhodes degli anni sessanta. Mentre mi avvicinavo se n'è uscito all'improvvisio con un giro di accordi che mi ha ispirato una linea vocale semplice quanto contagiosa.
Ho buttato giù al volo un testo usando l'applicazione "note" del cellulare. Sempre col cellulare ho registrato quello che avevamo appena creato, che ci era parso da subito un'idea potenzialmente fortissima.
Jeremy ha ascoltato ed è stato dello stesso avviso. Quell'embrione nato per caso è diventato probabilmente il pezzo più bello del disco. Cose belle, cose che capitano di rado, cose che si concretizzano soltanto se si riesce a creare un'atmosfera rilassata, se esiste fiducia reciproca, se si materializza un'intesa pressochè perfetta dopo fasi di studio durate mesi.


Ho scritto testi più semplici questa volta. Ho provato a rinunciare agli orpelli un po' gratuiti e autocompiaciuti che popolavano parte di "Dovessi mai svegliarmi".
Volevo essere più diretto e incisivo per non autoghettizzarmi a priori cosa che capita quando non si è ancora pronti, per paura o per incapacità, a esporsi. A farlo fino in fondo.
Questa mattina ho ascoltato per la prima volta il disco tutto di un fiato nell'autoradio della macchina di Jeremy. Per la prima volta sono davvero orgoglioso di un mio album. È chiaro: fra una settimana ci sarà qualcosa che non mi convince e che avrei fatto diversamente. Adesso no. Adesso sembra tutto perfetto. Sono certo che anche a papà piacerebbe molto. D'altra parte lui mi ha sempre appoggiato Il fatto più interessante è che siamo riusciti a essere più chiari anche musicalmente. Ho da sempre la mania di aggiungere strati, di far "cantare" le chitarre e le tastiere insieme alle voci col risultato che troppe melodie tutte insieme rischiano di fare a botte annullandosi a vicenda. Grazie a Jeremy abbiamo invece sottratto, abbiamo alleggerito rendendo il tutto molto meno pesante che in passato.
Fra qualche giorno Jeremy porterà il disco in uno studio di mastering e ce lo spedirà finito davvero. A quel punto inizierà il conto alla rovescia. Mi sa, comunque, che prima di dicembre il disco non uscirà. Non vedo l'ora di tornare su un palco. La sagra della salamella o il club più figo del momento. E' uguale. L'importante è che succeda presto.
Ho riletto queste righe. Come temevo, cara mamma, mi sono fatto trasportare dalla foga e ti ho scritto un sacco di faccende tecniche che ti annoieranno a morte. Dai, poi ti spiego bene quando ci vediamo. Vengo a cena dopo domani sera. Mi prepari le lasagne al pesto? Un bacio, ti voglio bene.
Dai ma, scherzavo. Sono a Milano. Fa un caldo abomivevole. Ivan, un fonico straordinario nonché un ragazzo simpaticissimo, ha appena terminato i premix de nuovo disco dei Numero6 nel suo piccolo ma attrezzatissimo studio. Non abbiamo ancora deciso il titolo definitivo ma ci sono un po' di opzioni in ballo.
Abbiamo come sempre registrato al Greenfog studio di Genova con il fratello Mattia. Come sempre, manco a dirlo, lo abbiamo snervato con la nostra abnorme confusione.
Niente New York a sto giro. Niente grossi budget. Niente budget, se vogliamo dirla tutta. Non abbiamo ancora nemmeno trovato un'etichetta disposta a pubblicarci. Mi sa che non la cercheremo nemmeno, intanto non servono più a un beato cazzo le etichette.
Ho scherzato. Mi sono divertito e spero di aver fatto divertire anche un po' te.
Ti voglio bene.
Michele.



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L'articolo Numero6 - Studio Report di Redazione è apparso su Rockit.it il 2010-06-11 00:00:00

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