Anni '90 e duetti: il futuro della musica è uguale al suo passato

Spotify, nostalgia, featuring e precedenti illustri rispetto a Microchip temporale dei Subsonica. Nel 2019 tutti fanno i conti con la dura legge dello streaming

Microchip temporale dei Subsonica ci ha fatto parlare tutti un bel po', quindi ha già raggiunto il primo grande obiettivo dell'era post moderna. La formula a livello chimico è perfetta: prendi un album epocale come Microchip emozionale del 1999, ci agganci un anniversario che male non fa, in questo caso il ventesimo, lo risuoni con un sound più moderno e in ogni canzone ci metti un feat. che potrebbe non resistere al tempo ma che, nell'immediato, fa entrare le canzoni nelle playlist di Spotify, che è quello che conta veramente nel (quasi) 2020.

Microchip temporale non è il primo esperimento del genere e non è neanche quello più brutto, di sicuro però subisce il cliché dell'operazione, che consiste nell'ascoltare a bomba i pezzi nuovi, vinti dalla curiosità del duetto che non ti aspetti e poi rifugiarti nell'originale che, se dopo 20 anni è sempre bello, un motivo ci sarà. Nel caso specifico, Microchip emozionale uscito nell'ultimo anno del Novecento segnava un punto di svolta tra il classico cantautorato sanremese da classifica e la nuova musica che proveniva da fuori, masticata e digerita grazie a una nuova sensibilità italiana. Quel modo di cantare tra Massive Attack, Bjork, ragamuffin e Casino Royale, le basi in levare con gli inserti jungle, i testi comprensibili sulla musica che eravamo soliti sentire in inglese, la commistione tra rock ed elettronica, le prime incursioni di una band del genere proprio sul palco di Sanremo, con successivo battesimo mainstream e successo a 360°. 

 

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Per apprezzare a pieno il rifacimento coi duetti devi spogliarti dei ricordi e dell'importanza che hanno avuto tali canzoni, perché se nel 1999 i Subsonica erano alternativi alla musica radiofonica, oggi collaborano con nomi che provengono dall'underground ma sono tutti sdoganati ampiamente in radio, quindi già pronti per fare visualizzazioni e like. Il pastiche risulta un lavoro bello a metà e se personalmente la versione acustica di Tutti i miei sbagli con Motta e quella techno di Discoteca Labirinto con Cosmo le reputo più a fuoco nel contesto, difficilmente darò all'album altri ascolti completi, ma poco male: come dicevamo più su, negli anni della playlist in streaming è già un miracolo trovare un modo per far ascoltare un album intero un paio di volte

Ricordate il 2014? Oggi i salti temporali di 5 anni in musica sembrano preistorici, in realtà era giusto l'altro ieri, Manuel Agnelli di lì a poco sarebeb stato giudice di X Factor proprio come Samuel quest'anno (ma tu guarda un po' le coincidenze) e gli Afterhours pubblicavano la riedizione di uno degli album più importanti della storia del rock italiano: Hai paura del buio (1996). Il primo cd (2014, i cd resistevano ancora) era l'album rimasterizzato e il secondo presentava gli stessi pezzi risuonato con feat. d'eccezione: Edoardo Bennato, Negramaro, Piero Pelù, Eugenio Finardi ma anche Mark Lanegan, John Parish, gli Afghan Whigs e poi ancora Il teatro degli orrori, i Ministri, i Bachi da Pietra e altri. In pratica, una playlist concettuale che, a differenza di quella dei Subsonica tutta improntata verso i fenomeni da classifica, andava in tre direzioni diverse: gli Afterhours che si confrontano con quelli del mainstream, con i loro grandi mentori stranieri, con quelli del nuovo rock. Risultato: qualcosa funziona davvero (Mark Lanegan, amici), altre cose sembrano appiccicate con lo sputo (Piero Pelù che usa tutte le vocali a disposizione pre creare un effetto sigla di Jeeg Robot dopo l'anestesia dal dentista e la conseguente perdita dell'ordinario utilizzo mandibolare), nel complesso è sempre bello ascoltare quelle canzoni lì. Un esperimento con una sua dignità, molto più interessante dei vari best of degli artisti fatto coi duetti.

 

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L'ultimo in ordine temporale è quello di Federico Zampaglione aka Tiromancino che, tentando anch'egli un riposizionamento coatto nella top di Spotify, ha registrato i suoi successi con altri artisti nella raccolta Fino a qui. Jovanotti (sempre lui), Biagio Antonacci, Elisa (sempre lei), ma anche Thegiornalisti e Calcutta per ammodernare casa. Risultato telefonato: lo ascolti una volta per curiosità, rischi di non arrivare in fondo, spesso ti senti poco bene a causa della mattanza che ne è stata fatta dei pezzi originali, piangi con Tiziano Ferro (sai che novità), spacchi qualche piatto per calmarti quando entra la voce piuttosto fastidiosa di Alessandra Amoroso, skippi Mannarino e fatichi un sacco. 

 

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Anche Max Pezzali il pioniere, prima di partecipare al trio di rara brutteza con Nek e Renga aveva fatto un best of coi feat., che s'intitola Max 20 e ha tutte le carte in regola: anniversario, canzoni strafamose, versioni con gente tipo Giuliano Sangiorgi (presente in tutte le riedizioni, di chiunque), Jovanotti (chi l'avrebbe mai detto), Ramazzotti, Baglioni, Cremonini, Venditti, Bennato, FiorelloGrignani e altri (per non citare Nek e Renga). Pezzali in questo senso è autore di una combo di tutto rispetto, avendo anche riregistrato tutto l'album Hanno ucciso l'uomo ragno (1992, 600.000 copie vendute) con i rapper del 2012 per il ventennale: J-Ax, Ensi, Emis Killa, Club Dogo, Fedez, Baby K e altri dell'epoca pre trap, che sembra lontana un secolo. 

 

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Alla fine, è chiaro che per fare una riedizione con le ospitate ci vuole un motivo, che sembra sempre il bisogno di sdoganarsi da qualcosa: nel caso dei Subsonica quello di togliersi la polvere della vecchiaia di dosso grazie alla balotta fenomeni dello streaming, per gli Afterhours la necessità di essere incoronati re del rock fuori dalla nicchia dell'alternative, per i Tiromancino una prova un po' sconclusionata di dare modernità a pezzi che andavano bene così com'erano, per Max Pezzali la voglia di donare dignità cantautorale a canzoni trattate spesso come trash.

Per Cristina D'Avena allora cosa? Bella domanda, oltre al fatto di mostrare al mondo che i livelli d'imbarazzo non hanno limite, il suo Duets (2017) in cui la Bertè canta Occhi di gatto, J-Ax Pollon e Malika Ayane Pollyanna (tra i tantissimi altri che hanno partecipato a questa operazione) ci mostra la tenacia con cui la cantante bolognese si prenda il diritto di far uscire la sua milionaria discografia dalle serate coi cosplayer di 40 anni per regalarsi un po' di fama fuori dai soliti ambienti.

 

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Di esempi così ce ne potrebbero essere molti, ma qual è l'album che ha dato il via a questa apoteosi cripto trash? Paradossalmente, un disco del 1997 che di trash ha ben poco: Registrazioni moderne di Antonella Ruggiero, che decise di registrare i suoi pezzi storici dei Matia Bazar insieme a quelli che rappresentavano la scena alternativa del tempo: Subsonica, Timoria, Bluvertigo, Ritmo Tribale, Scisma e altri. Al tempo guadagnò il disco di platino, con più di 200.000 copie vendute e fece conoscere davvero la Ruggiero a un pubblico giovane, curioso e desideroso di novità, grazie ad arrangiamenti totalmente avanti per l'epoca.

 

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Dalla nostra, siamo contenti quando un disco capolavoro della nostra infanzia/giovinezza viene rilanciato in questi tempi strani e non siamo immuni dalla nostalgia nonostante la nostra proiezione continua in avanti. Ci fa solo un po' strano che anche i grandi debbano piegarsi alla dura legge dello streaming, ma d'altra parte è stato proprio Samuel durante X Factor ad ammettere una cosa tipo "Avercene di SIAE come Tommaso Paradiso", facendo capire come stanno davvero le cose quando si fanno i conti. 

 

 

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L'articolo Anni '90 e duetti: il futuro della musica è uguale al suo passato di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2019-11-25 12:57:00

Tag: opinione

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