Tolomio Francesco, nulla è più barocco del country

Che ci fa un 33enne nella più importante casa di riposo per musicisti d'Italia? Perché il suo nome è al contrario? E a che ora è meglio ascoltare musica in compagnia di un mulo?

Francesco Tolomio armato di Fender
Francesco Tolomio armato di Fender

Mi sono chiesto di cosa dovremmo scrivere ora. Quale slancio laterale potrebbe rendere accettabile, prima di tutto a noi stessi, lo scrivere di altro che non sia l’attualità che stiamo vivendo. Ho pensato così di lavorare a una serie di interviste che potessero farmi approdare in altri luoghi e in altre epoche. In ogni puntata di “Musiche per altri tempi” chiederò ad un ospite di Casa Verdi, la casa di riposo per cantanti e musicisti istituita da Giuseppe Verdi nel 1899 a Milano, di raccontarmi un disco dei suoi tempi. E quei suoi tempi

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"Ho letto le scorse puntate della rubrica agli altri intervistati di Casa Verdi. Dalle loro storie viene fuori il racconto di un’epoca in cui tutto era più incerto, ma la cavalcavi quell’incertezza. Imparavi a domarla. Non sapere cosa succede può portare cose belle, e qui mi collego al tema dell’improvvisazione anche musicale, argomento centrale della nostra chiacchierata, che è il collegamento tra due generi che amo: la musica barocca e la musica country". Francesco Tolomio, 33 anni, il cui contatto in rubrica mi appare in ordine inverso (Tolomio Francesco), assumendo così un’aura antica, è uno degli ospiti più giovani di Casa Verdi, dove risiede dal 2015.

"Sono originario di Mogliano Veneto", racconta "e quell’anno mi trovavo a Milano senza più casa e senza più un lavoro. Mio padre era tornato in Veneto e intanto avevo litigato con il direttore della scuola di musica in cui insegnavo. In quei giorni arrivarono dei bagliori. Infatti, senza neanche mettermi a cercare una casa ricevetti una mail dalla Scuola Civica di Musica Claudio Abbado, che frequentavo, in cui mi si comunicava che era disponibile un posto letto in Casa Verdi. Scrissi dunque all’indirizzo di Casa Verdi. Intanto un mio cugino mi diede ospitalità. 'Ma quanto rimani?', mi chiese. Era l’1 di settembre e gli risposi, senza averne certezza, che sarei stato da lui un mese. Effettivamente l’1 ottobre entrai qui. Sempre in quel periodo, grazie a fortuiti eventi, venni a conoscenza di un’altra scuola musicale. Inizialmente mi dissero che non avevano bisogno di altri insegnanti. Io ci andai ugualmente per un incontro conoscitivo. Da allora, insegno lì chitarra moderna".

In una foto scattata con il cellulare da Francesco nella mensa di Casa Verdi, si vede un segnaposto di legno, che potrebbe ricordare il coperto di una trattoria di montagna. Sopra c’è inciso: Rigoletto. "Ogni tavolo porta il nome di un’opera verdiana", mi spiega Francesco. "Alle pareti c’è invece una galleria di ritratti, da Verdi a Puccini. La mensa è il luogo dove accadono le cose. Dove giovani e anziani si incontrano".

Scale minacciose (by Tolomio Francesco)
Scale minacciose (by Tolomio Francesco)

Tra le persone conosciute a tavola c’è una donna, un contralto ungherese arrivata da giovane in Italia: "Mi ha letteralmente salvato la vita. Nei periodo in cui mi trovavo senza soldi mi allungava trenta, cinquanta euro dicendomi: 'Questo non è un prestito'". Mi parla di Franco Fayenz, critico musicale, classe 1930. "All’inizio lo vedevo recitare delle piccole filastrocche, a cui poi mi sono accodato nel declamarle a voce alta, fra lo stupore degli altri commensali, come 'Ah, la mia casa nel bosco. Dove il bufalo sta e il cervo e l’antilope van'. Con il tempo ho capito che è una strategia che hanno molti ospiti, ripetono le cose a memoria per non farsele scappare".

Il tempo è un altro luogo che sembra avere una sua fisicità e materia in altre foto che mi invia Francesco: una porzione di scale a chiocciola in marmo nero, con una balaustra grigia in cui sono intagliate figure geometriche che rimandano al liberty, le stesse figure geometriche tornano nel motivo delle piastrelle che costruiscono un lungo pattern in uno dei corridoi, ad una parete – incorniciata da due finestre – una foto di scena di Falstaff, protagonista dell’ultima opera di Verdi, uno sguardo giullare che nell’atto V della prima parte del libretto scritto da Arrigo Boito dice: “L'onore è solo uno stemma usato ai funerali”.

Scale tenebrose (by Tolomio Francesco)
Scale tenebrose (by Tolomio Francesco)

Qui si trova la cripta di Giuseppe Verdi, trasportata nel trigesimo della sua morte nel febbraio del 1901. E qui si trova anche la Sala Turca, una sala proveniente dalla casa di Genova del compositore, ispirata alla moda orientale di fine ‘800. Memorabilia e atmosfere sembrano essere trasportate qui per ricreare una vita. C’è la collezione di opere d’arte di Verdi, come Gli Ossessi di Domenico Morelli, che così scrisse del suo lavoro: “Io sento di rappresentare figure e cose non viste, ma immaginate e vere ad un tempo”. Camminando, ci si imbatte nei busti di Verdi e della moglie, Giuseppina Strepponi, realizzati da Vincenzo Gemito, scultore napoletano fuggito dal nosocomio nel 1887 e di cui Alberto Savinio descrisse il funerale: "Dal Parco Grifeo il corteo scese lentamente tra gli eucaliptus. Il mare brillava sotto il sole, i negozi avevano chiuse le porte e accesi i lumi. Arrivati davanti alla marina, i becchini d’un tratto sentirono la bara più leggera sulle spalle. Corse un po’ di scompiglio tra i personaggi ufficiali. Un signore in tuba levò la mano a indicare il golfo: scortato da due delfini, Gemito navigava verso i mari della Grecia".

Francesco Tolomeo conclude questa visita guidata e immaginaria, in questo periodo di porte chiuse dalla quarantena, dicendo: "Qui si crea una vita che corre parallela alla realtà esterna. Ti ritrovi in un palazzo storico che racchiude un piccolo universo: hai la mensa, hai la sala per la pratica musicale, dopo cena ti ritrovi a cantare, si organizzano concerti, a volte quasi non ci sono motivi per uscire".

Corridoi luminosi, a Casa Verdi (by Tolomio Francesco)
Corridoi luminosi, a Casa Verdi (by Tolomio Francesco)

In una delle giornate trascorse in casa, Francesco si ritrova a cantare melodie barocche in chiave country e nasce così l’idea di fondere i due generi musicali per un concerto. "Suonavo musica country e al contempo mi ero avvicinato alla musica barocca, perché provenivo dal jazz. Il jazz del periodo be-bop riprende i fraseggi di Bach, ispirandosi quindi alle sue melodie". Mi indica un brano country messo in scaletta in quel concerto, Hard Times di Gillian Welch. "Racconta la durezza della vita di campagna in Pennsylvania, parla di un contadino che vive in simbiosi con il suo animale, fino a quando l’animale muore".

I versi finali della canzone recitano: But the camp town man, he doesn't plow no more/ I seen him walking down to the cigarette store/ Guess he lost that knack and he forgot that song. "Canzoni come queste si cantavano nelle birrerie dell’America del Sud, con lo stesso intento di quando nel ‘700 si suonava la musica barocca: per sollevare gli animi dalle sofferenze quotidiane, e all’epoca ce ne erano molte. La musica barocca, prima di divenire una forma di arte assoluta, nasceva dall’artigianato. Era la vecchia musica folk. Basta pensare a La Follia, proveniente da una melodia nata a fine ‘400 per far ballare pastori e contadini e poi diventata una suite con Bach e Vivaldi. Il country improvvisa su giri di accordi così come il barocco improvvisava sui bassi".

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Francesco cita poi la gavotta, una danza popolare dei montanari delle alpi francesi, a cui fu rallentato il ritmo trasformandola in musica colta. Così al quarantunesimo giorno di quarantena ascolto La Follia di Antonio Salieri, la follia di Sergej Rachmaninov, quelle di Arcangelo Corelli e di Alessandro Scarlatti. E poi, seguendo il flusso di Tolomio Francesco, ascolto tutti i Blue Yodel di Jimmie Rodgers, pioniere del country, primo musicista folk a suonare con un’orchestra e il primo a farsi accompagnare da jazzisti, come Luis Armstrong. Nel video tratto dal film The Singing Brakeman del 1929 lo vediamo seduto sotto il pergolato in legno di un’osteria ferroviaria.

Accompagnandosi con una chitarra imita lo sbuffare di una locomotiva, sembra trovare quasi le note e ricreare il suono di un’armonica a bocca. Accanto a lui, su di una sedia a dondolo, c’è una donna anziana che lavora a maglia. Lui canta: I've had more pretty women than a passenger train can haul/ I’m gonna buy myself a shotgun, one with a long shiny barrel. Mi trascrivo il testo del Blue Yodel numero 9, che mi riporta ad un’atmosfera da noir leggero, da noir in cui nessuno poi muore.

Standing on the corner
I didn't mean no harm
Along come a police
He took me by the arm
It was down in Memphis
Corner of Beale and Main
He says "Big boy,
You'll have to tell me your name"
I said "You'll find my name
On the tail of my shirt
I'm a Tennessee hustler
And I don't have to work"

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Francesco Tolomio, alla domanda “in questi giorni a che ora consigli di ascoltare musica country e a che ora invece della musica barocca?”, risponde: "Un pezzo come Hard Times consiglio di ascoltarlo al tramonto, il momento più contemplativo della giornata, quando l’uomo di Camptown cantava sempre al suo mulo. La musica barocca invece consiglio di ascoltarla alla domenica, quando possiamo sperimentare un’altra concezione del tempo e viaggiare con la mente in altre epoche". Cose che al momento – penso – potrei fare sempre, dato che vivo un tempo rarefatto, dove la notte e il giorno spesso si danno il cambio sfuggendo alla catalogazione delle cose da fare in un momento e delle cose da fare in un altro.

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L'articolo Tolomio Francesco, nulla è più barocco del country di Valerio Millefoglie è apparso su Rockit.it il 2020-04-24 15:19:00

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