Venezia Hardcore: 10 anni di gomitate in laguna

Il più importante festival italiano di musica punk, nel senso più ampio e rumoroso del termine, arriva a cifra tonda, portando straight edge, goth, metallari e quant'altro tutti uniti in un unico entusiasmo al Rivolta di Marghera. Il nostro racconto di un devasto sonoro da tenersi stretti

Delirio al live dei Quercia - foto di Helio Gomes
Delirio al live dei Quercia - foto di Helio Gomes

Il Rivolta, proprio arrivando a Mestre, è senza dubbio uno dei più interessanti e meglio gestiti locali occupati dell'underground italiano, che negli anni è riuscito a dribblare, con la faccia da schiaffi di George Best, ogni fondato rischio di sgombero. Un concentrato di vita, eccellenti pizze, concerti di tutto rispetto e acustica sopra la media. Anche quando il genere non è di quelli più gestibili, ovvero il punk in tutte le sue sfaccettature del Venezia Hardcore.

Basta fare un rapido raffronto con i mille problemi tecnici in kermesse di simile o inferiore mole per rendersi conto dell'ottimo lavoro tecnico fatto dalla ciurma del VEHC, messa su da Samall che, non a caso, viene da un posticino di duemila anime chiamato Malcontenta (seems legit...) e immagino l'abbia forgiato a far le cose fatte bene o non farle. Come organizzatore, cantante, ospite o quel che sia. Ha piovuto come fosse l'Inghilterra in questo periodo, anche in Veneto, neanche l'avessero richiesto i londinesi attesissimi High Vis, e non pochi rischiano i femori all'entrata di un bagnato e rischiosissimo parcheggio.

Øjne - foto di Helio Gomes
Øjne - foto di Helio Gomes

Varcata la soglia dell'ingresso però, tra i capannoni, due adibiti ai live e uno al merch e allo skate, murales e una area verde che proprio mi ero scordato, tutto è così incredibilmente ben oliato che alle 22:45 del sabato, dopo 2 giorni di festival e 20 band già esibitesi, i bagni chimici non sono immacolati ma quasi – se non è un mezzo miracolo. Sebbene abbiano visto avvicendarsi ogni sorta di indiani metropolitani, inclusi i soliti scappati di casa e innocui psicolabili, attirati probabilmente dagli onesti prezzi degli alcolici. Capiamoci: parto dai bagni perché la cronaca del Venezia Hardcore è una di quelle cose che semplicemente non esistono. UNA cronaca del Venezia Hardcore comincia a esser una formula già più accettabile. Per questo è cosa buona e giusta sottolineare in primis lo stato dei capisaldi d'ogni festival che si rispetti, dal Primavera alla sagra del liscio: cibo, alcol e bagni.

Per il resto è la natura non ubiqua dell'uomo a rendere impossibile l'oggettivazione qualsiasi resoconto. È il limite di avere due orecchie e due occhi ma nessuna capacità di teletrasporto. È l'ostacolo di non riuscire a vedere nelle quindici ore di concerti, anche sottraendo le evoluzioni sportive (nell'hangar si fa skate a ciclo continuo) e la vita di decine di persone (che immagino esser tanta roba pure quella), all'unisono da sottopalco e dal fondo, dall'alto dei gradini dell'Open Space o da dietro il palco del Nite Park. Anche se la maggior parte delle azioni si svolgono in una manciata di metri, vi basterà vedere i filmati per rendervi conto di questa cosa: ogni concerto visto da ogni singolo è un concerto a sé.

Acrobata del pogo - Foto di Mirko Ostuni
Acrobata del pogo - Foto di Mirko Ostuni

Non riesco a partecipare alla giornata del venerdì e la cosa mi dispiace non poco, perché le voci che mi danno il benvenuto mi parlano di una buona affluenza, di un concerto degli Implore fantastico e di una  presa bene generale data da una tregua del brutto tempo. Cosa che, meteorologicamente, non succede in mia presenza manco per sbaglio. Mi accoglie un freddino e malinconico sabato di maggio a Venezia. È primavera, ma solo perché ce lo dice il calendario. Pioviggina senza sosta e la mia shirt de È Un Brutto Posto Dove Vivere sembra azzeccatissima.

Entro e l'età media del pubblico è bassa, per non dire bassissima. Mi sembra giusto, e non solo per il ricambio generazionale di cui parliamo con Nicola Manzan in nottata. I Jorelia sono la prima sorpresa del  VEHC 23 e, a proposito d'età, la somma degli anni sopra il palco sembra essere pari alla mia di sotto. Eppure. Freschi di uno split coi Blair, sembrano essere una vera promessa. Non tutto è ancora a posto ma la riuscita commistione tra “nu” alla Korn e hardcore macina perfettamente. Il tiro e la carica fanno il resto, tanto che neanche sono le quattro e alzano a comando wall of death manco fossero i SOIA a mezzanotte. E se non si fa... e se è irrispettoso... e se tra ragazzini è facile... francamente, ma chi se ne frega.

Il pubblico dei Jorelia - foto di Helio Gomes
Il pubblico dei Jorelia - foto di Helio Gomes

Gli Stegosauro sono una garanzia. Li avevo visti in un club davanti a una decina di persone e li trovo abilissimi nel gestire un pubblico ben più numeroso, confermando quanto la goliardia che li precede fin dal nome sia poi atta a sviare le intenzioni del gruppo, padrone di una tecnica non comune che va a sbattere più sugli spigoli dei fratelli Kinsella (quanto tapping tutto assieme) che sull'emo noto ai più. Con gli If I Die Today si palesa in toto la differenza tra vecchio e nuovo metalcore: il nuovo ha perso la melodia favorendo quell'errore storico secondo cui sia solo “pezza”. Così, se riprendiamo i Jorelia a li avviciniamo ai piemontesi, al netto di tutte le inflessioni post dei secondi, la differenza melodica è enorme. E per quelli come me, venuti su coi primordiali esperimenti dei Botch (a.D. 1997, per molti il Paleolitico) gruppi così vincono facilissimo.

Mi stacco da questa meditazione per andare a vedere gli Stiglitz. Da quando un amico me ne ha parlato come di una supposta “nuova scuola Oi!” nutro una certa curiosità. Nemmeno faccio in tempo a rendermi conto di quanto i genovesi macinino uno stranissimo incontro-scontro tra quel filone Oi emocore-midtempo alla Bull Brigade e l'Oi francese che marca un po' wave alla Syndrome 81 che la mia attenzione è di nuovo rivolta ai ragazzini che si divertono sottopalco, mentre io me ne sto a ragionare alla amatriciana su ciò che succede sopra. Ed è quanto mi occorre per smettere all'istante.

Stegosauro - foto di Helio Gomes
Stegosauro - foto di Helio Gomes

Pochi passi e raggiungo i Blair. Nonostante ricalchino lo stesso pubblico dei Jorelia, sono il mio primo fade-out. Giovani, prestanti, col cantante dall'eloquio romanesco a me familiare, sembrano cresciuti a pane ed MTV periodo Fred Durst, suono pompato e muscolare. Può piacere o meno ma non è il mio. Vado a vedere un po' di maglie prima dei Da4TH. A differenza di quel PVHC visto in giro che ha fatto sorridere non pochi, Caserta una scena HC ce l'ha sul serio e si chiama CBC. Ecco, i DA4TH danno vita a un signor concerto. Senza darsi tanta merda, filano per un'oretta di beatdown con sanguigne inflessioni thrashcore ben lontane dall'attuale estetica odierna. Trovano anche il tempo per infilarci un pensiero sull'attitudine e la fratellanza che, se fatto da tanti altri suonerebbe stonato, fatto da loro ci sta, commuove un po' e fa venire voglia di fare ancora chiù burdel.

I Regrowth non riesco ad affrontarli. Dicono facciano pure loro metalcore o giù di lì ma quattro gruppi metalcore con una maglia dell'etichetta dei Bruuno, Winter Dust e Co. anche no. Potrei diventare stronzo, mi conosco. Agli Straight Opposition mi rendo conto di due cose. La prima: ho visto dal vivo tutti i gruppi sulle magliette di chi sta suonando oggi e le loro non fanno eccezione - compresa quella temeraria dei Jane's Addiction. La seconda: se non avessero una grafica giustamente Boston e New York HC (che non ho mai amato) una loro shirt l'avrei presa. Al solito sul palco sono perfetti ed entusiasmanti, feroci ma comunque divertenti, da instant classic ma sul pezzo.

Lo stage diving a strati dei Regrowth - foto di Elio Gomes
Lo stage diving a strati dei Regrowth - foto di Elio Gomes

Si sono fatte quasi le sette ma gli Slug Gore sono ancora un (bel) po' goffi. Ci suonano due youtuber che conosco via-algoritmo nonostante i superati limiti di età ma, ringraziando il cielo, sono Danny Metal e Poldo e non Daniele Montesi o... bocca mia taci. Con il loro impasto di grind, sludge e abbondante cazzeggio mi ricordano quanto mi mancano i Grime ma anche che sono dodici ore che non mangio, quindi vado. Al volo.

Gli Speedway da Stoccolma, alla faccia dei connazionali Refused, sono l'ennesima dimostrazione di quell'ineluttabile assioma cartesiano per il quale “più so' brutti a vedesse, più so' fighi a sentisse”. Capelli lisci con temerarie righe al centro che manco in un film di Caligari, maglie calcistiche completamente fuori contesto, baffi da Ada Oda, un chitarrista storto come Greg Ginn nel '81 eppure la seconda mina di quest'anno. Tiro micidiale, contorsioni e la poesia da strada sono ai massimi livelli di interazione e me ne accorgo vedendo di nuovo chi mi sta davanti. Punk, goth, metallari, tutti uniti in un unico entusiasmo, c'è persino un tale che balla come se fosse a un rave ma chi siamo noi per giudicare. Il cantante mi dirà: “Le nostre influenze vengono da una varietà ampia di luoghi, sia all'interno che fuori della musica hardcore. Qualsiasi cosa arrivi alle mie orecchie ha una grande possibilità di essere implementata nel nostro suono”.

Menagramo con washboard - foto di Elio Gomes
Menagramo con washboard - foto di Elio Gomes

Per vedere il set dei Menagramo, che mi ha confermato l'importanza di esserci dei due folk-punk nel contesto, anzichenò, mi perdo gli Overcharge ma li immagino come sempre con il piede sull’acceleratore e via andare di Motorhead e Discharge. Sta arrivando il momento di cedere al mio umore di una vita e fiondarmi verso i Quercia. Siamo tutti galvanizzati e nemmeno il mashup groove-metal-qualcosa veramente incomprensibile 3ND7R + Silver riesce ad affievolirci il fomento. Quello che provo è l'emozione di vedere a distanza di quasi cinque anni gli autori di uno dei più bei dischi della scorsa decade: Di tutte le cose che abbiamo perso e perderemo. Il pubblico in una mezz'ora si triplica. Sottopalco si salta e si balla ma sopra ancora di più: loro quasi fanno fatica a suonare e cantare già dalla prima strofa, per il delirio di cori, cellulari, braccia tese, gente che sale e scende dal palco. Un tipo fa appena in tempo a fare un video di Torri dal palco per poi sparire nella calca. Sangue, sudore e lacrime. Ed è tutto come me lo ricordavo.

Da questo momento mi rendo conto forse dell'unica pecca del Venezia Hardcore: qualsiasi stage diventerà un girone infernale in pochi secondi. Così le esibizioni di Ed, Øjne, dei invocatissimi Raein, The Secret e High Vis nonché dei redivivi Bongzilla, tutte risulteranno in eguale misura enormi dal punto di vista performativo ma ingestibili da quello logistico. Le due venue pomeridiane sono troppo piccole e in alcuni set (chi ha detto Raein?) non mi sarei poi stupito se qualcuno mi avesse chiesto un certificato di sana e robusta costituzione per poterli affrontare.

Forza Napoli anche a VEHC - foto di Helio Gomes
Forza Napoli anche a VEHC - foto di Helio Gomes

Parliamoci chiaro: nessuno degli show ha risentito della cosa o tanto meno è stata interrotto, e di sicuro ne sentirete parlare a profusione per le settimane e i mesi a venire, così come con un po' di spirito di sacrificio si riesce ad affrontare tutto in qualche modo (sì, ma quale?), anche se l'ambiente si trasforma in un un'apoteosi di salti, di stratificazioni umane, di tuffi e di capriole, con ragazzi che sanno i testi a memoria e, ovviamente, vogliono farlo sapere a chiunque da qui al Minnesota, con buona pace per te che vorresti sentire Graham Sayle e non loro, tanto più se già la visuale non è ottimale, ma, la domanda sorge spontanea: con decine di kids fuori, perché non usare l'hangar per questi concerti?

C'è una scena in Heat - La sfida in cui Robert De Niro dice: “C'è chi fa parte del problema, chi della soluzione e chi del paesaggio”. Se il problema è far vivere o sopravvivere l'hardcore nel difficile contesto-Italia, la soluzione sono i ragazzi del VEHC (e tutti quelli come loro) con le nuove generazioni e il paesaggio sono molti miei coetanei (ma anche molti trentenni) con una “verve” tale per cui la scena sarebbe già morta, non mi sembra neanche una botta di genio favorire l'assenteismo e i discorsi come “Io vengo solo per gli amici” (realmente sentiti in giro) se lo spazio per fare le cose, e farle (anche) comode, c'è. Senza scomodare tutte quelle persone con limitazioni fisiche e/o psicologiche, che magari vorrebbero ugualmente partecipare. In sede di promo il buon Samall ha spiegato che non ci sono “previsioni di ingrandire il festival” e che, quindi, per adesso, la soluzione attuale risulta essere la più pratica, funzionale e sostenibile. Se però durante gli ultimi gruppi ¼ del pubblico resta fuori mi sa che il festival è già diventato una cosa GRANDE.

E il naufragar m'è dolce in questo pogo - foto di Helio Gomes
E il naufragar m'è dolce in questo pogo - foto di Helio Gomes

Mentre mi avvio verso la macchina una ragazza scompare nel buio davanti a me, scivolando di anca in una striscia di fango nel parcheggio al entrata del CS Rivolta. Sudatissimo e disidratato, esco dal Venezia Hardcore 23 sperando che anche questa volta il cuore mi regga. Penso a possibili soluzioni. Aumentare il costo per evitare eventuali intrusi? Calmierare l'hype degli headliner per contenere le masse? Trovare un altro posto? Se stonano nella mia testa che sono un Mr. Nessuno che ha passato dieci ore di ottimo devasto sonoro, figurati in quella del bravo Samall che offre comunque la rara e a volte unica possibilità per godersi concerti come questi in Italia.

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L'articolo Venezia Hardcore: 10 anni di gomitate in laguna di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2023-05-22 10:32:00

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