Live report: Franco Battiato a Villa Reale, Monza

Se le mette tutta in fila, tutte le più importanti, si finisce col sentirsi disarmati. Questo sessantaseienne è ancora capace di imporre lezioni su come vanno trattate le canzoni: con leggerezza. E allora ecco monumenti della nostra musica susseguirsi uno dietro l'altro, lo spettatore non può che rimanerne incantato, con un senso di liberazione finale, quasi fosse un momento di psicoterapia collettiva. Franco Battiato ha suonato nella splendida cornice di Villa Reale a Monza. Marco Villa racconta. Foto di Roberto Finizio.




Si arriva che c'è ancora luce. La location è splendida, appuntamento fisso da anni dei concerti estivi brianzoli e milanesi. Dietro al palco c'è la Villa Reale di Monza, ben illuminata e dall'aspetto perfetto. Sul tetto il tricolore, e vien da ridere a pensare a quella buffonata dei ministeri spostati al Nord. Spostati in una Villa che è stata abbandonata dai Savoia perché ritenuta quasi maledetta, visto che, a cento metri da qui, un secolo e undici anni fa un re è stato ucciso da un anarchico. Da allora, basta. I Savoia hanno chiuso le porte della residenza di campagna per non riaprirle più. Così, in quella che un tempo era la fontana, ora ci sono le sedie per il concerto di Franco Battiato. E provate a dire che non ci abbiamo guadagnato tutti.

Aprono Il compleanno di Mary, raffinati e cerebrali. Poi la scena è tutta di Battiato, che organizza il live come un unico, interminabile climax. Parte alto con "Up patriots to arms" e poi decide un avvio morbido, senza picchi improvvisi nella prima mezzora. Il concerto decolla nella parte centrale, quando chitarrista e bassista abbandonano il palco lasciando la scena al quartetto d'archi. È da lì che parte una tripletta che unisce in una decina di minuti ogni possibile sentimento di ogni singola persona seduta sulle sedie rosse della platea. C'è tutto quello che vorrai dire tra trent'anni alla tua donna ne "La canzone dei vecchi amanti", c'è il dolore collettivo, contenuto e così poco italico, di "Povera Patria" (con la testa, oggi, 20 luglio 2011, che corre istantanea a QUEL "corpo in terra senza più calore") e c'è la liberatoria "Prospettiva Nevskij", che rialza spirito e bpm nei ritornelli. Da lì, fatti salvi intervalli minuscoli per riprendere fiato, è una corsa ininterrotta che mette in fila tutti i pezzi che vorresti sentire in un concerto di Battiato, alternando con abilità ritmo e sospensione. La sensazione dell'infilata è resa ancora più forte dai ritmi serratissimi dello show. Le canzoni sono corte e l'impressione è quella di tante piccole frecce scagliate dal palco, con il pubblico che, invece di scansarsi, fa a gare a prenderle.

L'ovvia conclusione è la decisione di massa di abbandonare le sedie numerate alle prime note de "L'era del cinghiale bianco". Seguono "Voglio vederti danzare", "Summer on a solitary beach", "Cuccurucucu" e poi, nei due bis, "E ti vengo a cercare", "Stranizza d'amuri" e la finale "Centro di gravità permanente". Una scaletta che accontenta tutto il pubblico, diverte i musicisti sul palco ed esalta lo stesso Battiato, che, nell'allegria con cui canta e ballicchia, sembra piantare un serafico dito medio in faccia a chi, con decenni in meno sulle spalle e un'incidenza infinitesimale rispetto alla sua sulla storia della musica italiana, al terzo disco o giù di lì già si rifiuta di fare i pezzi che l'hanno reso famoso.

La lezione è qui, è tutta qui, nel concerto di questo sessantaseienne che riesce a fare un pop elettronico più attuale e fresco di tanti - troppi - ventenni. E la lezione è una sola: leggerezza. Quella che permette di passare da un pezzo all'altro nel giro di pochi secondi senza dare mai l'impressione di andare di fretta, trattando tutti i pezzi, monumenti compresi, per quello che sono, semplici canzoni. Canzoni sedimentate e importanti, che non hanno bisogno di presentazioni o enfasi per rendere al meglio. Perché tutto è già lì, dentro quei tre minuti scarsi. Nonostante testi che per antonomasia sono ritenuti pesanti e intellettualoidi, i brani ti scorrono addosso con una facilità che quasi ti imbarazza. Perché - a conti fatti - quando al termine dei cento minuti di concerto ti rimetti a pensare a come sono andate le cose, ti rendi conto che Battiato ha preso la tua testa e le tue sensazioni e ha fatto fare loro quello che voleva. Le ha corteggiate con nonchalance all'inizio, ha piazzato l'affondo a metà e poi le ha tenute legate senza possibilità di fuga, fino all'esaltazione finale. A dirla così sembra una cosa da santoni e seguaci, ma il senso di liberazione e allegria diffusa percepito nel finale, con tutto il pubblico raccolto vicino a cantare, ricorda la definizione del concerto data da Giovanni Lindo Ferretti, ovvero di un momento di psicoterapia collettiva.

E allora, dopo cento minuti e cinquanta, settanta, cento canzoni perfette, cosa puoi dire? Niente, se non che Battiato, alla Villa Reale di Monza, ha eclissato i ministeri. E anche il re.



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L'articolo Live report: Franco Battiato a Villa Reale, Monza di Marco Villa è apparso su Rockit.it il 2011-07-20 00:00:00

COMMENTI (3)

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  • popmuzic 13 anni fa Rispondi

    "...sembra piantare un serafico dito medio in faccia a chi, con decenni in meno sulle spalle e un'incidenza infinitesimale rispetto alla sua sulla storia della musica italiana, al terzo disco o giù di lì già si rifiuta di fare i pezzi che l'hanno reso famoso."

    ...tipo Caparezza.

  • ricocoast 13 anni fa Rispondi

    bellissima recensione, complimenti

  • 66komm 13 anni fa Rispondi

    lotta impari.....i valori vincono sempre