Un violento decrescendo: cosa c'è di vero, e cosa no, nel dibattito sui finti sold out nella musica live

Stadi vuoti, biglietti regalati, artisti prigionieri di contratti capestro: dal "caso Elodie" in poi, tutti parlano della musica live come di una bolla sul punto di esplodere. Tra tante forzature, memoria corta, ma anche il racconto di una distorsione eretta a sistema. Il nostro punto di vista

Elodie live a San Siro, foto di Starfooker per Rockit
Elodie live a San Siro, foto di Starfooker per Rockit

Ci si nota di più se ne scriviamo, o se ne scriviamo provando a dire qualcosa di inedito e originale? Ma soprattutto, ci rode più il culo a leggere i pezzi di tutti gli altri in silenzio o a intervenire nel dibattitto da buoni ultimi senza sapere bene come affrontare questo moloch di vicenda?

Senza saper rispondere a queste domande, alla fine abbiamo deciso di dire la nostra su una vicenda che ci sta a cuore – topic proposto: finti sold out nei concerti; topic reale: la musica fa tutta schifo, invece di noi ti puoi fidare – e di cui ci siamo occupati varie volte. Per quanto il dibattito sia saturo e a tratti velenoso, ci pare che questa faccenda, oltre che del sistema musica (qualunque cosa voglia dire), tocchi vari punti dirimenti sulla nostra società attuale. 

Lo "scandalo" è emerso dopo un'inchiesta in due puntate di Selvaggia Lucarelli sulla sua nuova newsletter, che parte dal caso del live a San Siro di Elodie, per cui, a pochi giorni dallo show, sarebbero apparsi online (facilmente reperibili) dei biglietti a 5 o 10 euro, contro quelli dai 50 a salire che sono stati pagati invece da chi aveva comprato il biglietto nei mesi precedenti. Questi ultimi erano troppo pochi e allora ecco i biglietti svenduti e quelli regalati, ad aziende, associazioni, più o meno chiunque pur di far apparire lo stadio pieno.

Il fatto che a intervenire sia stata Selvaggia Lucarelli (a cui va dato atto di fare il lavoro che molti di noi non vogliono più fare...) ha contribuito a rendere la circostanza una notizia, e far sì che nessuno potesse esimersi dal dire la sua, più o meno informata, e commentare. Nelle ultime ore ognuno ha citato casi diversi, e spesso incomparabili, di "sold out truccati". 

Come da premessa, nemmeno noi ci siamo sentiti esentati (che fatica questo participio...). Faremo dei capitoletti, per agevolare la lettura. Ma soprattutto la scrittura. 

COMPLETAMENTE SOLD OUT

Anche quest'anno a San Siro ci saranno 16 live, il massimo consentito dai regolamenti comunali dopo l'indigestione (19) del 2023, nella lunga stagione post pandemica che fece segnare il record di aperture estive dello stadio milanese (il top nel nostro Paese per ogni grande artista, se non per capienza per status). Prima del Covid, mediamente, si facevano meno live, e non era ancora a regime il "sistema degli Ippodromi", che ha aumentato di molto le presenze complessive nell'area tra maggio e agosto. Un tempo, per stabilire il numero di eventi a San Siro, bisognava aspettare di capire come gli girava a Vasco quell'estate, e quali tour internazionali erano in circolazione. Negli ultimi anni, con il ribaltone "autarchico" nelle classifiche degli ascolti, diversi artisti italiani, insospettabili fino a poco tempo prima, hanno osato San Siro (ora ci fanno pure le feste aziendali).

Se in alcuni casi il loro successo e la loro dote da ticket seller si è presto consolidata (un nome su tutti: i Pinguini Tattici Nucleari), per altri la possibilità di "centrare il bersaglio grosso" dipende molto da come sono andati i mesi e gli anni precedenti: un paio di hit estive, un Sanremo fatto bene, l'onda lunga di uno o due dischi trionfali. Di Vasco Rossi o Cremonini ce ne sono pochi, e la loro capacità di riempire ogni volta non c'entra solo con il repertorio ma anche e soprattutto con la comunità che hanno creato e con il riconosciuto talento nel creare uno show irripetibile. 

Questi ultimi sono, a ragione, citati da tutti gli articoli (e i post, e i reel, e i meme) usciti negli ultimi giorni, come esempi virtuosi, e contrapposti a uno stuolo di parvenu che si sarebbe scottato avvicinandosi al sole del Meazza. Non è esattamente così. Vero è che più di un artista quest'anno non ha fatto sold out, ma forse il problema sta proprio in questa espressione. Un tempo dire che un live era sold out era principalmente una questione "tecnica". Del tipo: "Ragazzi, abbiamo finito i biglietti in prevendita, non ce ne saranno in cassa". Ora è diventato un modo di sbattere il cazzo, o altro organo riproduttivo, sul tavolo. 

QUANDO C'ERA LÜ...

Ma non è che se non fai sold out sei uno sfigato (o sfigata). Vendere 45mila biglietti potrebbe comunque andare bene, a patto che chi ha prodotto lo show abbia fatto bene i calcoli e si sia riservato un po' di margine. E non risulta vero, come parrebbe da certe ricostruzioni, che i biglietti regalati o svenduti siano il 50% del totale, o pure di più. O meglio, in passato ci sono stati casi di flop clamorosi e downgrade dolorosissimi, alcuni dei quali sono stati menzionati dai soliti articoli e altri no. Ma sostenere, o per lo meno suggerire, che chiunque non faccia sold out abbia "floppato" è molto scorretto.

Le colpe del giornalismo (o del "creatorismo") in questo non possono essere taciute, e per alcuni aspetti sono speculari a ciò che si imputa agli artisti. Che prima si esaltano quando vanno bene e poi si prendono a calci appena ce n'è l'opportunità. Anche perché quello dei non sold out non è mica una novità della primavera-estate 25, ma un trend che va avanti da un pezzo. Qualcuno si ricordail live di Van de Sfroos nel 2017? No? Ecco, appunto. C'erano, pare, tra le 15 e le 20mila persone (quante a prezzo pieno?!). Poi lui tornò ridimensionato alle piazze di provincia, ma non risulta che nessuno se lo sia mangiato vivo come sta succedendo adesso con Elodie. 

LA FABBRICA DELL'HYPE 

Se lo state pensando, non crediamo che sia una questione di patriarcato. Magari il suo essere donna non aiuta, per alcuni, ma non è questo il tema. Questo fuoco concentrico nei confronti di chi "floppa" San Siro appare come unfallo di reazione – legittimo, forse inevitabile – verso un sistema che ha mostrato troppo a lungo i muscoli. Insomma: chi di sold out ferisce, di sold out perisce. 

Se da un lato la retorica dei numeri, del successo, dei dischi d'oro e dei San Siro sold out, della scalata all'Olimpo che pare non doversi arrendere mai esalta i fan – in un'epoca in cui inspiegabilmente omologarsi è visto come un valore e non come il suo contrario –, dall'altro genera frustrazione e fa sì che molti si accampino in riva al fiume. Ora qualche cadavere sta passando e non sono in pochi a lanciare la pietra (non parliamo di chi fa giornalismo "serio", quello va celebrato con entusiasmo).

Va detto che gli artisti – e chi lavora con loro – da questa retorica magniloquente hanno tratto vantaggio in questi anni, o per lo meno così riteneva. Tanto che sono in molti a sapere di lavorare in perdita sin dalla partenza: "flexare" lo stadio, a certi livelli, è fondamentale a un certo punto della carriera. Ma non ha alcun senso, dite voi... Già, ma oggi avere numeri da sbandierare vuol dire strappare contratti migliori con discografiche e brand, e alimentare quel meccanismo della FOMO, si pensava, traduceva "l'impossibilità di non esserci" in biglietti venduti.

Due anni fa, nel delirio di onnipotenza post pandemico di molti operatori culturali, non solo era diventato fondamentale dichiarare il sold out, ma farlo "in tot minuti". Bella per chi ci riesce. A morte chi non ci riesce: "non hai ancora venduto tutti i biglietti, fallito". Forse abbiamo superato questa fase: ce ne faremo una ragione...

LUNGA VITA AGLI ANTICIPI

Articoli e content di questi giorni hanno un indubbio merito. Quello di raccontare a un grande pubblico, che di norma di queste cose nulla sa, come funziona "la macchina dei live". Qui la parola fondamentale è "anticipi". Lucarelli, e con lei tanti altri (tra cui un "diretto interessato" come Federico Zampaglione dei Tiromancino), hanno raccontato come funziona il sistema. Ci sono grandi agenzie che organizzano i live, molte delle quali sono legate tra loro e gestite da multinazionali. Queste offrono un anticipo agli artisti per organizzare il loro prossimo tour: cifre che negli ultimi tempi sono schizzati alle stelle, con una sorta di "calciomercato" tra le agenzie per portare via i presunti artisti del momento alle dirette concorrenti con offerte irrinunciabili. 

Con in mano quei soldi l'artista e il suo staff, di accordo con l'agenzia di booking, organizza lo show, pianifica le date, sceglie a quanto mettere i biglietti. Dietro ci sono business plan complicatissimi che spesso, come inevitabile, naufragano abbastanza presto. Il lancio è fondamentale e con le piattaforme a disposizione si riesce presto a proiettare le vendite alla data dello show. Da qui partirebbe la ridda per cercare di "salvare l'apparenza" e riempire comunque lo stadio.

Come detto questo non vale per tutti i live negli stadi, buona parte dei quali sbiglietti ancora bene (il settore live è in crescita!). In ogni caso parliamo solo di una piccola parte del mondo degli show dal vivo, e anzi forse sarebbe il caso di occuparsi di più di chi non solo non fa gli stadi, ma nemmeno i palazzetti o i grandi club (i pochi rimasti): la salute di un sistema si misura dalle fondamentale, e le nostre scricchiolano da un bel pezzo.

Certo, il rischio di impresa di chi prova a riempire gli stadi (ma pure per i palazzetti la questione è simile, e lavorare in perdita è quasi la norma) è incommensabilmente più alto. Chi non ce la fa, o magari aveva ecceduto con i costi di produzione, non sarà nelle condizioni di restituire l'anticipo, per farlo booking e management dell'artista concorderanno un nuovo tour autunnale, in location minori, in cui "restituire" i soldi. E si riparte...

AND THE WINNER IS...

Il sistema degli anticipi non è una peculiarità solo della musica live – e della discografia –, ma una delle caratteristiche di questi tempi. Grandi player che sono tra i pochi a possedere i capitali e che hanno tutti i vantaggi a metterli in circolo, garantendosi così il controllo della partita. Tra mille differenze, ricorda il sistema (altrettanto deleterio) che vige nell'editoria libraria, con i nuovi titoli che vengono prenotati sulla base di una "scommessa" sull'interesse dei lettori. Se questa viene persa, ci sono i resi, cioè i libri ti tornano indietro. Un enorme problema, perché su quegli anticipi tu avevi fatto affidamento. Ma niente paura: basta far prenotare un nuovo libro e il flusso riprende. 

Gli articoli di questi giorni sembrano sottintendere che in questa vicenda ci siano vittime e carnefici. I booker che non perdono mai, visto che quegli anticipi gli torneranno indietro con aggiunta la propria parte, prima oppure dopo. I manager che spesso mal consigliano gli artisti, sobillano i loro ego e fanno danni irreparabili. E i poveri artisti, da alcuni creator dipinti come specie di esseri non senzienti alle cui spalle è stata ordita questa macchinazione che li porterà sulla soglia di una crisi psicologica (qualcuno ha detto Blanco?).

Sarebbe bello, ma non è così. E se da molti punti è inevitabile che gli agenti facciano il loro lavoro, massimizzare i profitti, sono gli artisti (non tutti, lo ricordiamo!) che hanno reso quasi "inevitabile" questo pericoloso gioco al rialzo, chiedendo cachet enormi. Che hanno fatto lievitare i costi della data, che hanno imposto di alzare i prezzi del biglietto, che hanno fatto sì che lo stadio non si riempisse. 

CRYING AT THE DISCOGRAFIA

Le pretese degli artisti spesso arrivano a fronte della convinzione di essere "nel proprio prime". Sic transit gloria streaming. E sicpoco monetizzabile. Articoli e reel delle ultime ore, in alcuni casi, finivano per mettere assieme discografia e live music, che però, per quanto chiaramente imparentati, non sono affatto la stessa cosa. Hanno regole diverse, coinvolgono aziende diverse, impiegano figure diverse. 

È invece vero che per come funzionano le cose oggi buona parte dei proventi di un artista (che poi vanno divisi tra tante persone, ricordiamo) arrivano dal live. Uno squilibro troppo grande. Le cose si erano messe talmente male a inizio millennio che il digitale ha salvato la discografia, certo, e i numeri crescono anno su anno (spinti dagli abbonamenti crescenti di Spotify e altre piattaforme), ma dire che il sistema sia sostenibile, be' è un altro paio di maniche. Anche e soprattutto perché se il live soffre di tutte le problematiche di cui abbiamo parlato fin qui, be' è un bel guaio... 

Rkomi, cui si deve la quote "unviolento decrescendo", è stato tirato in ballo più volte negli ultimi tempi. Discograficamente e a livello di immagine avrebbe subito più danni che benefici dalla partecipazione a due Festival di Sanremo, e questo avrebbe avuto ripercussioni dal punto di vista dei live, con il clamoroso caso di un tour da club e palazzetti riprogrammato a teatro contro la volontà della booking (e gli anticipi!?).

Ripensare al modello, mettersi in discussione, affrontare la questione da un punto di vista "politico", fare ragionamenti di sistema. È quello che servirebbe (non solo qui, anche nell'editoria, nello sport, un po' ovunque), ed è quel che non si farà. Mentre la giostra va a mille e tutti urlano, chi si prenderà la briga di rallentare? Forse alla fine è più facile infilare un bastone tra gli ingranaggi, e vedere quel che succede. 

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L'articolo Un violento decrescendo: cosa c'è di vero, e cosa no, nel dibattito sui finti sold out nella musica live di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2025-06-20 09:42:00

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