Viva il pop rinascimentale di Angelo Branduardi

Pochi come lui hanno messo assieme sacro e profano, musica aulica e di consumo. Violinista, compositore, cantautore anomalo e fuori dal tempo, forse la sua grandezza non è stata capita del tutto. Ora la restituisce l’autobiografia “Confessioni di un malandrino”

La storica casa editrice Baldini+Castoldi ha pubblicato, lo scorso 31 marzo, la prima autobiografia di Angelo Branduardi che, ben lungi dall'essere la proclamazione e/o l'esaltazione di una rockstar, racconta in modo autentico la sua vita e la sua carriera non omettendo le contraddizioni, i travagli e l'analisi del contesto storico-sociale che sono alla base di una indubbia affermazione artistica qui in Italia e all'estero.

Scritto insieme al critico musicale Fabio Zuffanti, con un'introduzione di Stefano Bollani (“Ecco forse perché esistono gli artisti - si può leggere tra i pensieri -  Sono nati per sedersi su una nuvola e raccontarci le intime connessioni fra le cose che noi quaggiù ci ostiniamo a vedere separate”), Confessioni Di Un Malandrino - Autobiografia di un Cantore del Mondo (B+C, 192 pp) è un testo di notevole interesse.

L'opera traccia la storia del cantante, violinista e polistrumentista milanese, dall’infanzia a Genova alla scoperta della passione per la musica, dagli input che stanno dietro la creazione di un genere unico che unisce il pop alla musica antica ai tour per mezza Europa, e poi: la famiglia, gli incontri, i successi, le scelte giuste e quelle sbagliate, l'uomo e l'artista. Il tutto affrontato in modo confidenziale, a tratti colloquiale; mettendo inconsciamente in risalto quello che Branduardi ha rappresentato per molte persone, artisti e non, della mia generazione, ovvero il totale azzardo di mischiare le carte e “fregarsene” (virgolette, pochi artisti come Branduardi hanno sempre portato rispetto per la musica in ogni sua forma) dei generi per come vengono imposti o percepiti e faccia da sberle quanto basta per realizzare la propria visione.

Così la musica pop è diventata aulica e la musica medioevale e rinascimentale è diventata popular. Che poi, se ci pensate, è la stessa cosa che tentano di fare con altri generi, altri mezzi e altri risultati i tre quarti degli artisti che ascoltate, da Achille Lauro ad Arca. Tra le righe di Confessioni Di Un Malandrino si evince senza mai porvi smaccatamente l'accento come Angelo Branduardi, soprattutto nella prima e nell'ultima fase della sua carriera, troppo capellone per essere un punk e troppo sobrio per essere un alternativo, abbia in realtà colto meglio di moltissimi altri punk e alternativi lo spirito per un modus vivendi lontano dal mainstream nonostante quello cercasse in più di ingabbiarlo.

 

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“Mi hanno sempre definito anomalo" - dice a proposito - "Io lo rivendico con fierezza: dopo dischi di grande successo ho fatto album che hanno venduto molto meno perché ho sempre seguito l'idea, l’istinto, il mio piacere. Anzi, quando hanno voluto fare di me un idolo rock ho proprio voluto cambiare aria”. Non a caso colui che nel 1979 venne invitato dalla Cramps Records per l'Omaggio a Demetrio Stratos degli Area, con tutto quello che rappresenta, fu lo stesso che negli anni '90 si affidò per i testi a Eugenio Finardi, Roberto Vecchioni e Pasquale Panella e, quando tutto sembrava nuovamente già compreso e prevedibile, se ne uscì con L'Infinitamente Piccolo: un disco interamente dedicato a San Francesco che si avvaleva della partecipazione di altri geni come Battiato e Morricone.

“Nessuno ci credeva" - ricorda lo stesso Angelo - "Me lo fecero fare perché in precedenza avevo portato molte vendite e così lo accettarono come si accetta una follia, ma alla fine fu un altro successo”. Leggendo questa autobiografia la mia mente è tornata agli anni del liceo, quando ero solito sentirlo nel walkman fino canticchiarne, specie sul far della sera, i testi a memoria, con particolare affetto per Il Dono Del Cervo e La Sposa Rubata. Alla faccia dei miei capelli lunghi, manco fossi Bill Steer e avessi suonato nei Carcass, l'orgoglio e il trasporto emotivo apparivano di più quando lo spirito era assorto nel riccioluto menestrello.

 

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Così, per farmi compagnia nei minuti che mi occorrevano da casa per raggiungere il centro e viceversa, sintetizzai una discografia, che già allora comprendeva le versioni in inglese de Alla Fiera Dell'Est e in francese di Cogli La Prima Mela, in una raccolta su cassetta TDK con una sua foto riottosamente strappata dalle pagine di Allegro Vivo (un libro di musica per le medie) come copertina homemade. Sebbene non così organizzato, anche Caparezza qualche estate fa mi confessò di avere una raccolta fatta in casa in un periodo decisamente insospettabile e aggiunse: “Mi ricorderò sempre Branduardi. Campionai un suo intero estratto nel brano La Fitta Sassaiola Dell’Ingiuria, e lui mi diede l'ok per utilizzarlo nonostante allora fossi un perfettissimo sconosciuto”.

Ma Capa non è certamente il solo, l'istituzione Dj Gruff ha usato Il Violinista di Dooney in un brano su Karasau Kid a nome Gruffetti e, rimanendo sempre in Italia, qualcuno ricorderà Alla Fiera dell'Est rifatta qualche anno fa dal Clan con Shandon, Folkstone, Modena City Ramblers. Olly ricorda divertito: “Gli dissi suoniamo tutti in kilt, potremmo fare il classico dei classici ma in versione folk ska punk! Accettarono all'istante per via della stima che avevamo in comune per Branduardi. Il 7” di quel pezzo è stato forse il primo disco che mi ha comprato mio padre da bambino: è un ricordo indelebile!”.

Insomma, Confessioni Di Un Malandrino sintetizza la bellezza di quasi 50 anni di musica, scoperte, rimbrotti e amarcord per creare quella che in fondo è una dichiarazione d'amore alla vita, ancora più che alla (propria) musica e che forse, come tutti gli amori, un po' è cieco ma i brufoli li vede bene. “A volte sono credente e altre no - disse in un'intervista - Non è un’autostrada dritta ma una traiettoria piena di curve. Però sono un uomo con un'anima, una spiritualità e credo che questo si veda dalla musica che faccio”.

 

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Si dice con un pizzico di ironia che Branduardi sia medioevaleggiante e, tutto sommato, è così. Ma non solo. In molti dei suoi brani, si riscontra più un romanticismo alla Scott Fitzgerald. Sapete, quelle cose come: “A volte è più difficile privarsi di un dolore che di un piacere” o giù di lì. Anche se potrei cercare di fare anch'io lo spiritoso, e magari mi riuscirebbe pure bene, tutto il testo del Manifesto Confessioni Di Un Malandrino da cui questo libro prende nome è impregnato del mio passato e presente.

Da “Ma sopravvive in lui la frenesia / di un vecchio mariuolo di campagna / e ad ogni insegna di macelleria / la vacca si inchina sua compagna” che rivivo ogni qual volta che per lavoro mi ritrovo in certi privé del quale rabbrividisco al solo pensiero, fino ad arrivare a: “Io non sono cambiato,/ il cuore ed i pensieri son gli stessi, / sul tappeto magnifico dei versi / voglio dirvi qualcosa che vi tocchi”. Passando per la mia mai dimenticata Yuma (“tu mio caro amico vecchio cane / fioco e cieco ti ha reso la vecchiaia”) e il senso stesso di qualsiasi cosa abbiate mai letto di mio (“Son malato di infanzia e di ricordi”).

Patetico? Forse. Come quando ci si guarda allo specchio a denti stretti. O quando si salta sul posto, convinti di poter rimanere sempre alla stessa età. Leggete questo libro perché se ogni appassionato di musica dovrebbe conoscere almeno un po' l'opera di Angelo Branduardi, farsela raccontare da lui stesso è un privilegio a cui non si può dir no.

 

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L'articolo Viva il pop rinascimentale di Angelo Branduardi di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2022-04-01 14:07:00

Tag: libro

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