Volevo comprare i biglietti dei Radiohead ma non mi sono mai interessati

Benvenuti nella nostalgic era, dove reunion di band generano emozioni e senso di comunità. I social amplificano il fenomeno rendendo i ricordi virali, mentre l’idealizzazione del passato trasforma la nostalgia in un motore emotivo, sociale ed economico della cultura contemporanea.

Quando penso ai miei ricordi più belli, mi viene quasi sempre in mente l’infanzia. Penso alle figurine Panini che attaccavo sull’album o a quanto fosse bello stare al parco a giocare tutto il pomeriggio, sentendoci instancabili. Poi, crescendo un po’, arrivano altre emozioni: toccare la musica con mano, scoprire i primi dischi, quei momenti in cui impari ad apprezzare la lettura di un libro, o l’odore delle lasagne la domenica quando la nonna te le portava a casa. Insomma, c’è sempre qualcosa di speciale che abbiamo vissuto: le serie TV adolescenziali che ci emozionavano, i gadget che oggi, riscoperti, sembrano incredibilmente cool.

Negli ultimi anni, con l’avvento dei social network e la possibilità di vivere emozioni a portata di click, questo fenomeno ha assunto i contorni di una vera e propria nostalgic era. TikTok, ad esempio, ha reso virali canzoni che ascoltavamo quindici anni fa, e ogni reunion di band o progetto musicale genera un sentimento quasi ossessivo: basta l’annuncio di un tour o di un’edizione limitata di un disco perché milioni di persone si riversino in fila, online o fisicamente, con la paura di perdere l’occasione. Anche chi non ha mai seguito davvero quella band, quel programma o quel brand sente un impulso irrefrenabile: “devo esserci”.

La nostalgic era è un periodo in cui la nostalgia smette di essere un sentimento privato e diventa un fenomeno sociale e commerciale. Non è solo il desiderio di rivivere un momento felice del passato: è un mix di emozione, identità e marketing, che trasforma l’atto di comprare un biglietto o di accaparrarsi un gadget in una sorta di rito collettivo.

Per capire questo fenomeno, dobbiamo esplorare tre dimensioni: la storia e il ruolo della nostalgia nella cultura, i meccanismi psicologici che la alimentano—tra cui la famosa FOMO, la paura di restare esclusi—e il modo in cui le industrie musicali, televisive e del merchandising sfruttano tutto questo per creare eventi e prodotti irresistibili. L’obiettivo non è solo capire perché tutti vogliono esserci, ma perché la nostalgia è diventata una vera e propria nevrosi collettiva, in cui il passato sembra più attraente del presente.

 

La nostalgia non è certo una parola recente: le sue radici risalgono già al XVII secolo, grazie al medico svizzero Johannes Hofer, che coniò il termine “nostalgia” per descrivere la malinconia dei soldati lontani da casa. All’epoca, era vista come una vera e propria malattia fisica e mentale: chi provava nostalgia soffriva di ansia, insonnia e tristezza profonda. Solo col tempo il concetto si è spostato dall’essere una condizione patologica a un sentimento più universale, legato al ricordo di luoghi, persone e momenti del passato.

Nel corso del XIX e XX secolo, la nostalgia ha cominciato a farsi sentire anche nella cultura popolare: dai romanzi che evocavano tempi antichi, alle canzoni che raccontavano amori giovanili, fino ai film che idealizzavano un’epoca perduta. In particolare, la nascita della televisione e dei media di massa ha permesso di diffondere esperienze condivise: la cultura pop stessa comincia a costruire una memoria collettiva.

Chi racconta bene questo fenomeno è George Lipsitz, soprattutto nel suo libro Time Passages: Collective Memory and American Popular Culture. Lipsitz mostra come la cultura popolare americana—tramite musica, televisione e cinema—abbia modellato e continui a influenzare la memoria collettiva della società. Raccontando e reinterpretando eventi storici e sociali, questi media contribuiscono a costruire un senso condiviso del passato, creando legami emotivi e culturali che vanno ben oltre l’esperienza individuale.

Anche chi non ha vissuto certi momenti direttamente può sentirsi parte di un passato condiviso, grazie ai simboli e alle storie che ci vengono trasmesse. Oggi, questa dinamica è amplificata dai social network. Instagram, TikTok e YouTube permettono di rivivere, in pochi secondi, frammenti di decenni passati. Video di canzoni anni ’90, scene di vecchie serie TV o clip di concerti vintage diventano virali e raggiungono milioni di persone. La nostalgia diventa così un fenomeno di massa: non riguarda più solo i ricordi personali, ma anche quelli “presi in prestito”, condivisi e celebrati da intere generazioni.

Un elemento centrale di questo fenomeno è l’idealizzazione del passato. Ricordiamo i momenti belli con più intensità di quelli brutti, dimentichiamo le frustrazioni e i problemi quotidiani, e tendiamo a percepire il passato come più semplice e autentico del presente. Questo bias cognitivo, noto come rosy retrospection, è alla base della fascinazione per reunion e revival: il passato ci appare sempre migliore di quanto fosse realmente, e ogni occasione di riviverlo diventa irresistibile.

Non sorprende quindi che le industrie culturali abbiano trasformato la nostalgia in un vero e proprio motore economico. Reunion di band storiche, revival televisivi, riedizioni di dischi e gadget vintage non sono solo prodotti: sono esperienze emozionali, capaci di farci sentire parte di qualcosa di più grande, anche se solo per poche ore. D’altronde, ho passato da poco i trent’anni, ma negli ultimi due ho cercato di recuperare tutte le action figure di Batman che avevo da bambino e, non contento, passo ore convulsivamente a completare le serie di collezioni a cui da piccolo non avevo mai fatto caso. E sì, alcune di queste action figure sono state trattate malissimo.

 

 

Ma quando parliamo di nostalgia, non ci riferiamo solo a un sentimento piacevole: stiamo parlando di un meccanismo che influenza i nostri comportamenti e ci spinge a cercare esperienze, oggetti o canzoni in grado di riattivare quelle emozioni che giudichiamo migliori rispetto a quelle del presente. Questo desiderio di partecipare a reunion, revival o eventi nostalgici non è altro che una forma di FOMO, la cosiddetta fear of missing out, ovvero la paura di restare esclusi. Nel contesto della cultura pop, la FOMO non riguarda solo la novità: riguarda la possibilità di sentirsi parte di un momento collettivo che promette connessione, appartenenza e riconoscimento sociale. Vedere un post su TikTok che mostra una fila lunghissima davanti a un concerto o l’apertura di un’edizione limitata scatena immediatamente questo meccanismo: anche chi non era un fan accanito sente l’impulso di non restare fuori. Succede con la musica quando qualcosa torna dopo anni di silenzio: aun certo punto sentiamo il bisogno di possedere il merchandise storico o di avere qualcosa appeso in casa se è appena uscito, fresco e nuovo.

La combinazione tra nostalgia e FOMO crea una vera e propria nevrosi collettiva. Le persone non partecipano solo per interesse reale verso un prodotto o un artista, ma per il senso di comunità che quell’evento rappresenta. È come se la semplice presenza conferisse valore: “esserci” diventa più importante del contenuto dell’esperienza. Questo spiega perché reunion di band degli anni ’90 o reboot di serie televisive scatenino un entusiasmo travolgente, anche tra chi non le seguiva attivamente all’epoca.

Inoltre, la nostalgia ha un effetto consolatorio: in un mondo frammentato e stressante, tornare con la mente a un’epoca percepita come più semplice o autentica offre conforto e stabilità emotiva. La combinazione di emozione positiva, appartenenza sociale e paura di perdere qualcosa di unico crea un cocktail potente che le industrie culturali hanno imparato a sfruttare magistralmente. Il consumatore non acquista solo per il piacere materiale, ma per partecipare a un rito collettivo: possedere un oggetto o essere presente a un evento diventa una prova tangibile della propria appartenenza a una comunità, di cui si vuole condividere l’esperienza. In questo modo, la nostalgia smette di essere un sentimento privato e si trasforma in un potente motore di engagement, creando legami emotivi tra persone, brand e cultura pop.

In sostanza, reunion, revival e marketing non sono separati: si alimentano a vicenda. È un ciclo virtuoso (o vizioso, a seconda dei punti di vista) che dimostra come il passato possa diventare un prodotto contemporaneo, desiderabile e condiviso.

Idealizzare il passato e sentirsi costantemente spinti a partecipare può generare ansia, consumismo e un senso di incompletezza rispetto al presente. Riconoscere questi meccanismi ci permette di vivere la nostalgia in modo più consapevole, sfruttando il suo potere emotivo senza esserne dominati.

Oggi mi sono reso conto di aver condiviso con entusiasmo la notizia del ritorno dei Radiohead a Bologna, pronto a chiedere a un amico se avesse modo di farmi entrare in qualche modo. Lui, subissato da richieste, mi ha detto subito che non c’era possibilità nemmeno per lui: tocca pagare. Ho aperto poi i vari link con la solita lentezza da elefante, fino a realizzare che il concerto dei Radiohead l’avevo già visto e che non sono stati la band che più ho ascoltato nella mia vita.

In un mondo sempre più veloce e digitale, il desiderio di “esserci” e di condividere emozioni collettive è diventato una delle dinamiche più affascinanti della cultura contemporanea. La nostalgic era è qui, e continuerà a modellare il nostro modo di sentire, consumare e connetterci, ricordandoci che il passato, anche idealizzato, ha un ruolo centrale nel presente.

 

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L'articolo Volevo comprare i biglietti dei Radiohead ma non mi sono mai interessati di Teo Filippo Cremonini è apparso su Rockit.it il 2025-09-03 18:05:00

COMMENTI (1)

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  • giack3 ore faRispondi

    Ho amato alcuni album dei Radiohead e non intendo rinnegare cose meravigliose che hanno fatto sonoramente... li ho visti live due volte... ma mi bastano le dichiarazioni sioniste qualche anno fa, ora nemmeno sioniste ma semplicemente stupide di Tom Yorke su Israele e Palestinaper non avere dubbi.. La voglia di andare a vederli passa in un nanosecondo senza nemmeno arrivare al prezzo, sicuramente assurdo, raggiunto dal biglietto...