La moda del lento

Dicembre a Bologna, freddo decisamente fuori dalla portata di un siciliano come me. Risultato: febbre alta e voce così bassa che potrei cantare “Il Corvo Joe” tre tonalità più in basso di Francesco Bianconi.
Squilla il telefono. “Nicolò, scriveresti un articolo sulla ristampa de La Moda del Lento dei Baustelle?”
Ecco, appunto.
Tra uno starnuto e l'altro inizio a fantasticare su come starei nelle vesti di un giornalista appassionato, e mi cimento nella stesura del mio primo articolo. Complici le dosi di antibiotici, le minestrine al brodo Coop e le allucinazioni febbrili, mi ritrovo ad intraprendere un viaggio nel tempo sentimentale e confusionario, in cui passato e futuro si intrecciano e si inseguono in un infinito ballo lento (eh!) che sorvola un presente sempre più annebbiato ed irreale.

Col fiuto da “grande giornalista” noto subito che sono passati esattamente dieci anni da quando “La Moda del Lento” fu pubblicato. Dieci anni sono quelli in cui puoi parlare per la prima volta del passato sentendoti un figo. Torno nei corridoi del mio liceo: nerd un po' depresso, cantante fra le nuvole. Di quelli che però in fondo gli piace. Alla fine ci brindano su. Alla solitudine come stile di vita. Alle sigarette, e alla meraviglia della solita vita maledetta. Al mio paesino di tremila anime che anche se non ruberò mai in un autogrill sulla strada per la libertà, mi manca poco per essere Alain Delon. Appoggiato al muro osservo passare il mondo in chiave estetica e mi chiedo la bellezza che cos'è? Osservo il mio presente slegato e decadente, quei dandy infelici e la loro velocità senza meta. Spengo la sigaretta e concludo che potrei tranquillamente essere uno dei personaggi di un nostalgico album elettropop italiano. Tipo quello che è uscito il 12 maggio di quei dieci anni fa, il secondo disco dei Baustelle, “La Moda del Lento”.

Mi domando se davvero i Baustelle si sentissero come quel sedicenne un po' disperso in quel tempo decadente e dal futuro incerto. Lo chiedo a Francesco Bianconi.
“In realtà ci pensavo molto di meno che adesso, alla decadenza del tempo, alla nostalgia di un qualche passato, all'incertezza del futuro. Le canzoni del disco hanno dentro tutte queste cose, ma me ne sono accorto più a posteriori che all'epoca in cui sono state scritte. Evidentemente però era come mi sentivo allora.
Ricordo anche che quel periodo coincide più o meno con la mia lettura de “Le particelle elementari” di Houellebecq e alcune canzoni sono permeate di questo tipo di filosofia cinica e pessimista.”


Di colpo ti accorgi di tutte quelle cose che avevi nascosto, chiuse in una scatola subito dopo averle vissute. Vengono fuori all'improvviso e ti fanno rendere conto di quanto altro c'era, dieci anni fa. Oltre alle sigarette e ai sogni di fuga. Di quanto altro ti sei portato fuori da quei corridoi.
“Un'altra cosa che ho notato a distanza è che ci sono molte canzoni d'amore: La Moda del Lento è anche un disco d'amore. Ci sono canzoni di astio nei confronti di persone che evidentemente mi avevano ferito. C'è l'amore quasi stilnovista di “EN”, quindi felice: è difficile scrivere canzoni di quel genere, devo dire che “EN” è una canzone che canto ancora molto volentieri. Poi ce ne sono alcune di amore un po' impossibile come “Cin cin”: c'è un pessimismo dentro che già sai che quella storia non finirà molto bene. Ci sono canzoni di astio tipo “La canzone di Alain Delon” che alla fine è una specie di “Like a Rolling Stone” di Dylan (dico: magari!): queste canzoni di odio verso qualcuno che si è amato, che ogni tanto hai bisogno di scrivere, come se avessi bisogno di insultare quella persona che ti ha fatto del male.
A volte ne escono canzoni interessanti, sicuramente come “Like a Rolling Stone”, magari “La Canzone di Alain Delon un po' meno...”
(ride NdA).

Mi viene da aggiungere che “EN” è una canzone che si riascolta anche molto volentieri. Magari seduti sulla roccia millenaria del Teatro Antico di Taormina sotto ad un cielo stellato e col mare che fa da sfondo ai musicisti. L'apoteosi dell'esserci...

Comunque, torniamo a noi.
Scopro che mentre io, nel pieno dei miei sedici anni, stavo a farmi le seghe mentali, i Baustelle scoprivano un'anima modaiola:
“La Moda del Lento è un disco che voleva essere un po' modaiolo all'epoca, nel senso che c'eravamo innamorati sia io che Fabrizio Massara (ex membro della band NdA) dell'elettronica e di molta musica che veniva da fuori Italia e che mescolava suoni acustici e suoni elettronici. Mi viene in mente, me lo ricordo come fosse ora, quando con Fabrizio ascoltammo a casa mia il primo disco dei Lali Puna, eravamo innamorati di quella cosa lì. In quel periodo c'era molta musica che veniva considerata di tendenza diciamo così, che mescolava un certo tipo di elettronica a sonorità più tradizionali. E volevamo che “La Moda del Lento” suonasse un po' più elettronico rispetto al “Sussidiario”. Solo che come spesso succede quando vuoi fare il modaiolo e come quando vuoi spararti delle pose... sì, puoi fare il colpo lì per lì ma poi il tempo inevitabilmente ti punisce. Quindi mai farsi troppo ubriacare dalle mode.
Io penso che da un punto di vista delle sonorità e dei suoni si sente ascoltando ancora oggi “La Moda del Lento” che era un disco fatto da dei ragazzi che volevano un po' scimmiottare qualcos'altro, invece dal punto di vista delle canzoni trovo che ci siano dentro delle cose molto belle e che continuiamo a suonare ancora adesso con molto piacere.”

Eccoci, dieci anni dopo. Com'è invecchiato “La Moda del Lento"?
“Quando uscì La Malavita (il loro terzo disco, NdA), dichiarai che La Moda del Lento sarebbe invecchiato peggio rispetto agli altri due dischi. Un po' ci credo ancora a questa cosa”.
Ci rifletto un attimo. “La Moda del Lento” è un disco che io oggi riascolto molto volentieri. Nella discografia dei Baustelle, il fatto che ci sia un disco che nei suoni si discosta totalmente da tutti gli altri può essere una peculiarità non un difetto. Mi viene in mente “Regeneration” dei Divine Comedy. Glielo faccio notare.
“Ecco, “Regeneration” dei Divine Comedy è un disco che invecchierà benissimo! (ride NdA) Dai, ne riparliamo tra dieci anni!”

E noi, come siamo invecchiati?
Nel pormi questa domanda mi tolgo la maschera da giornalista e rifletto sul viaggio che mi ha portato fuori dalla mia isola e dal mio isolamento (senza farmi mancare gli Autogrill!). Da giovane musicista al lavoro sul suo secondo disco, chiedo timidamente a Francesco cosa serve oggi per compiere questo viaggio senza perdersi per strada.
“Secondo me non bisogna pensare troppo al futuro, bisognerebbe avere una mentalità molto punk nel senso di sgobbare, darsi da fare e avere le idee chiare sul presente e su quello che si vuol fare subito. Scrivere tonnellate di canzoni. Il successo poi è un incidente, una cosa che ti può capitare. Invece trovo che molte band e giovani musicisti di oggi sono troppo concentrati sul successo. È anche un discorso legato alle nuove tecnologie e ai nuovi modi di fruizione della musica: l'offerta di musica è elevata all'ennesima potenza, tutti possono formare una band, che è una cosa bellissima e democratica, però il contraccolpo è che tutti hanno più bisogno di mettersi in mostra e questa cosa influenza la forma a discapito della sostanza. Andy Warhol pare che quando incontrò la prima volta il giovane Lou Reed disse, si, che le sue canzoni erano belle, ma doveva scriverne cinquanta. Questo dev'essere l'approccio. Credo molto poco al mito del successo e molto al lavoro”.
A proposito di nuove generazioni, inaspettatamente diventa lui per un attimo il mio intervistatore e mi chiede com'è nata la nostra scena musicale siciliana. Si parla un po' di come è cominciato tutto, delle nostre due provincie di origine, così diverse ma così simili nell'essere nido per le nostre canzoni. Mi viene in mente un mio conterraneo, Gesualdo Bufalino, che disse: “Le canzoni di allora avevano una certa udienza presso il mio orecchio, oggi c'è divorzio totale. Certo è che se io provo a canticchiare nel bagno mentre mi faccio la barba qualche motivo di oggi, inesorabilmente mi taglio”.
Ultimamente Bianconi porta la barba lunga. Mi sorge spontanea la domanda!
“Non sono un passatista a tutti i costi. Mi piacciono molte cose del presente. Le canto, magari non mentre mi faccio la barba perché tendo a non farla ultimamente. (ride NdA)” Ma quindi, la moda del lento, dieci anni dopo, è arrivata? Sembra di no.
“La Moda del lento per quello che intendevo e continuo a intendere io, tarda ad arrivare. Per me la moda del lento riferita alla musica è una maggiore importanza alla sostanza, alla verità, alla sincerità. Ripeto, vedo molta posa e molta poca sostanza.”

Ma non c'è solo pessimismo nelle sue parole. Come non c'è solo nostalgia nel riproporre un disco di dieci anni fa. Forse dovremmo solo capire che il presente dura più a lungo di un tweet, dovremmo rallentare un attimo per renderci conto di ciò che siamo e abbiamo ora. Concludiamo questo viaggio fra i ricordi in tono scherzoso. “Francesco ma, dieci anni dopo: Beethoven o Chopin?”.

“Decisamente Beethoven. Ma in fondo lo sapevo anche prima. Chopin è invecchiato molto di più. Beethoven va bene sempre, in ogni tempo.”
Per fortuna ci sono cose che vanno bene in ogni tempo. Come, nei suoi pregi e nei suoi difetti, “La Moda del Lento”.

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L'articolo La moda del lento di Redazione è apparso su Rockit.it il 2013-12-02 19:12:12

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