La decrescita felice del rap inizia da Bologna

Raphiki e Jumbo sono due ragazzi di 20 anni e vengono dalla scena underground emiliana. Con la produzione di due amici di quartiere, pubblicano “Alla ricerca di Meno”: un ep che parla di riscoperta delle piccole cose ed empatia verso gli altri per provare a riavvolgere la matassa del casino là fuori

Raphiki durante un concerto insieme a Jumbo - foto di Shulamit
Raphiki durante un concerto insieme a Jumbo - foto di Shulamit

"La nostra generazione ha paura che sia troppo tardi": comincio così a conversare sui massimi sistemi con Jumbo e Raphiki, rispettivamente Davide Giorgis e Riccardo Abagnato, 21 e 22 anni. Li contatto dopo essere incappata a caso tra i miei giri di ascolti nel loro EP, Alla ricerca di Meno, e capisco subito che si tratta di quel "famoso" sottobosco musicale di giovani che fanno musica più per loro, che per gli altri.

Il titolo del loro lavoro, nato in pandemia, già spiega tutto: 5 tracce dall’anima rap di due amici che nella musica hanno trovato un modo per esprimere le proprie preoccupazioni riguardo il presente (e il futuro), parlando a nome di una generazione

Rispondono direttamente dalla periferia ovest della "città più bella d’Italia" – sì, je piacerebbe –­­, ossia Bologna. "Un condominio", la definiscono, "e questo tutti i bolognesi (anche acquisiti) lo sanno", dice Jumbo: "È più o meno come uscire in famiglia: raramente trovi per strada qualcuno che non abbia qualche tipo di connessione con te. Le periferie sono tutte collegate da un’invisibile ragnatela di conoscenze, avvenute per caso, ma che tornano utili quando si cerca un po’ d’aria fresca".

"I ragazzi del centro non li frequentiamo, non sappiamo come siano", sorride Jumbo, che all’anagrafe si chiama Davide Giorgis e nel tempo libero è un operaio specializzato di una grossa multinazionale. Raphiki, invece, è Riccardo Abagnato e studia scienze politiche all'Alma Mater di Bologna, lavora come maschera nel Teatro di Casalecchio e insegna basket ai bambini delle elementari.

Raphiki e Jumbo durante il loro ultimo concerto bolognese - foto di Shulamit
Raphiki e Jumbo durante il loro ultimo concerto bolognese - foto di Shulamit

Influenzati dall’incredibile scrittura di Dargen, dalle atmosfere ultraterrene dei PNL, da Kanye West, Caparezza, De André, Bob Marley, Manu Chao, i Club Dogo e mille altri, entrambi portano avanti parallelamente il loro progetto solista. Ma ci tengono a dire che non sono musicisti, anche se "Raphiki è un manico con i tamburelli e le percussioni", scherza Jumbo a proposito della professionalità strumentale dell’amico.

Lui ha preso innumerevoli lezioni di teoria (armonia e melodia), sound design, produzione musicale e mix. "Ma nulla di riconosciuto, solo studi che mi stanno permettendo di esprimermi come vorrei", dice, e quanta modestia. Mentre Raphiki ha studiato flauto traverso per quattro anni per poi dedicarsi solo al divertimento con le percussioni, che sono il suo habitat naturale.


Prima di entrare nel mondo di Alla ricerca di Meno, mi diverte conoscerli: "La mia famiglia mi chiamava Giumbolo prima ancora che io nascessi. È stato mio fratello maggiore a ridarmi questo nome, quando scrissi il mio primo pezzo. Mi disse: 'Eri Giumbolo, ma ora sei grande, quindi ti chiamerai Jumbo'. E così è stato. Ora sto sperimentando: do libero sfogo alla miriade di suoni che albergano nella mia testa. Potrei dire che faccio hyperpop se solo non mi stessero così strette le etichette. Ho bisogno di esprimermi, e lo faccio attraverso i suoni, le parole, le immagini, la voce e la sua distruzione. Senza punti di riferimento se non quelli che porto in spalla".

Raphiki e Jumbo durante il loro ultimo concerto bolognese - foto di Shulamit
Raphiki e Jumbo durante il loro ultimo concerto bolognese - foto di Shulamit

"Raphiki è nato da una somma di tante cose", spiega l’amico rastaman: "Intanto, Il re Leone, che è il mio cartone preferito da quando sono piccolo. In particolare, mi rivedevo nel babbuino mio omonimo, e poi mi è sempre piaciuta l'idea di costruirmi attorno un immaginario abbastanza primitivo, che mi rendesse artisticamente un anello di congiunzione tra l'uomo di oggi e le sue radici".


Il suo interesse nella musica riguarda le parole, l'intensità e la spontaneità: "I miei testi parlano sempre di cose molto diverse, e con stili diversi, perché è bello suscitare una reazione su persone di qualsiasi tipo. Lo faccio per empatizzare con chi ho attorno, che è una delle poche cose che contano davvero nella vita, secondo me. Un aspetto che oggi è molto, troppo sottovalutato", dice.

L’idea di un EP insieme nasce circa un anno fa, più o meno quando Raphiki sul suo profilo IG (in piena pandemia) pubblicava una foto con scritto "I can’t breathe" (e non faccio in tempo a chiedergli perché, ma sappiamo immaginarcelo): "Abbiamo trovato subito una sintonia incredibile, come mai c’era capitato", racconta Jumbo.

Ne è uscito fuori Alla ricerca di Meno, cinque tracce che contaminano il rap con un po’ di R&B, un po’ di soul, un po’ di jazz. "Penso il tratto distintivo di questo lavoro sia una grande semplicità e la presenza di pochi strumenti. Eravamo alla ricerca di meno anche da quel punto di vista", chiarisce Jumbo, e Raphiki aggiunge, per completezza da parte sua: "C’è anche un sottofondo reggae e di cantautorato italiano".

 
 
 
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L'EP è l’invito a fermarsi in un mondo che corre, e a pensare a cosa ci manchi davvero. Cioè, la felicità: "O forse l’amore, parola che è volutamente tra parentesi nel titolo di ogni traccia", dicono. E da qui voglio approfondire il punto di vista sul mondo di due giovani post-millennials. Che appena maggiorenni sono stati chiusi in casa della pandemia e hanno riversato in musica le paure, le riflessioni, le urgenze di un’intera generazione.

"Noi giovani d'oggi desideriamo semplicemente vivere serenamente quello che il mondo ha ancora da offrirci. L'aspetto climatico è una paura costante, ci siamo nati e il nostro presente e futuro devono scendere a compromessi con questa catastrofe", dice Raphiki. "In ambito sociale, invece, desideriamo eliminare quei paletti che rallentano il passo coi tempi. La mia generazione ha voglia di solidarietà, vuole rompere le barriere e creare degli Stati Uniti del mondo", conclude.

"Va tutto così veloce che siamo sopraffatti, siamo in balia delle correnti come una busta di plastica a 20 metri sott’acqua. Almeno finché non incontriamo una tartaruga marina a cui rovinare la vita", sorride amaramente Jumbo. "Come generazione abbiamo paura di prenderci sul serio, e al contempo riusciamo difficilmente ad uscire dal nostro punto di vista per capire dove siamo, quale sia e quale sarà la nostra posizione nel mondo", e lo capisco.

Raphiki e Jumbo durante il loro ultimo concerto bolognese - foto di Shulamit
Raphiki e Jumbo durante il loro ultimo concerto bolognese - foto di Shulamit

Perché anche noi nati nel ’95 condividiamo lo stesso caos di chi oggi è appena maggiorenne. Che, poi, è il caos di tutti, si sa: progettare il proprio mondo quando si è giovani, in qualsiasi epoca, costa una fatica immane. La pandemia, poi, è stata una bella botta. Ma Jumbo e Raphiki hanno cercato di prendere il meglio da quella parentesi che ha immobilizzato la Terra intera per mesi: "La reclusione in casa mi ha fatto bene", dice il secondo. "Mi fermo poco a riflettere (come credo la maggior parte dei miei coetanei) e ho riscontrato che a livello di crescita personale il lockdown abbia fatto giovato a molti", dice.

"Abbiamo imparato la privazione di qualcosa di cui prima d’ora, fortunatamente, non avevamo mai fatto esperienza. Qualcosa di fondamentale: la libertà", continua. E entrambi dicono che hanno approfittato per scrivere molto, compreso l'EP.

Un lavoro che, in fondo, è la ricerca delle soluzioni per esistere, risolvere l'ansia e le paure dei tormenti che dà la vita, per dare spazio alla serenità e alla gioia di esserci. Dunque, potremmo dire: Alla ricerca di Meno aka Alla ricerca della Felicità. Che significa, per i ragazzi: fermiamoci e andiamo Alla ricerca dell’Amore per ciò che luccica, per chi c’era, per chi c’è, per la musica, e per il silenzio.

Jumbo e Raphiki in sala prove, Garage 53
Jumbo e Raphiki in sala prove, Garage 53

Cinque tracce che inseguono la necessità di stare meglio, sentito dagli occhi di due ventenni, le cui parole sono state messe in musica e poi prodotte da Ugly e Boat (insieme a Jumbo). "Ugly è anche il grafico che ha partorito le incredibili copertine che abbelliscono i nostri brani", dice J. "Sono amici di quartiere, ragazzi con cui è nata un’armonia tale da decidere di intraprendere questo percorso insieme, condividendo anche il luogo in cui facciamo musica: il Garage53", che non è più un garage, hanno fatto il level up, e ridono, chissà perché. "Lello e Giando hanno giocato a basket con me molti anni, ma la vera amicizia è iniziata a 17 anni con la musica", aggiunge Raphiki.


L’ep si apre con Gazze Ladre (Amore per ciò che luccica) un pezzo da ascensore, lo chiamano: un invito a mettersi comodi e a godere di un po’ di sano polleggio, come si dice a Bologna. "Siamo tutti gazze ladre, ma noi dovremmo fare lo sforzo di distinguere ciò che luccica da ciò che brilla di luce propria", dice il giovane rastaman.



Come mai (Amore per chi c’era), traccia numero due su cinque, è il singolo di Jumbo. Un pezzo che cerca risposte per la fine di una storia, una sorta di inno malinconico all’amore che cambia forma, ma che non muore.

Poi, c’è Vedi baby (Amore per chi c’è) in cui si pone una domanda semplice, apparentemente ironica, ma in realtà molto seria: "Cosa vedi quando bevi troppo? E cosa bevi quando vedi troppo?". Per raccontare il loro modo di vedere l’amore, ma con la vista offuscata dai fumi dell’alcool.

"Vedy Baby è la voce di un ragazzo che si emoziona a pensare di essere incompleto", spiega Raphiki, che continua a proposito di New Orleans (Amore per la musica): "Sulle scale, sulle strade è dove ci troviamo quando ascoltiamo il brano, al tramonto. Lì. un artista fa la sua dichiarazione d'amore alla musica, come sua unica casa o scialuppa di salvataggio: rimarrà sul quel marciapiede giorno e notte per scoprirla con la propria voce, in modo che tutti possano vederla".



Chiude Alla ricerca di Meno il brano My God, My Love (Amore per il silenzio), con cui i due immaginano di essere in un’astronave, con un silenzio meravigliosamente assordante attorno. Un pezzo lo-fi che porta Raphiki e Jumbo a migliaia di km dalla Terra. Sospesi nel cielo, a cercare cosa manchi loro davvero. L’astronave, ovviamente, è la loro musica. Il mezzo attraverso il quale provano a trovare le loro risposte, che sono quelle di un’intera generazione.

Chiudiamo con le parole di Jumbo:

Continuerò ad andare nella mia direzione, finché qualcuno si imbatterà nelle mie tracce e scoprirà che siamo in tanti a vagare nel nulla. Spero che tutti coloro senza un posto in questo mondo, come me, seguiranno le stesse orme. Che, tuttavia, ci danno la possibilità di apprezzare questo viaggio.

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L'articolo La decrescita felice del rap inizia da Bologna di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2021-09-28 14:15:00

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