Ascoltare i Gomma per imparare di nuovo a vivere

Insoddisfatti, arrabbiati, sempre schierati, mai domati: “Zombie Cowboys” è il travolgente ritorno della band campana, capace come pochi altri di raccontare un presente atroce. E all’apocalisse si risponde con l’umanità, e con le chitarre. La nostra intervista

I Gomma - foto stampa
I Gomma - foto stampa

I Gomma tornano alla carica dopo una sfilza di singoli, ben cinque, usciti come un tempo in doppia coppia stile 7” a partire da maggio scorso: prima le sveglie Guancia a guancia e Mamma Roma, con Iena e Louis Armstrong come b-sides, poi la più intima Sentenze. Tornano con Zombie Cowboys, terzo album di inediti – quarto se si conta l'EP del 2017 (Vacanza, sempre per la granitica V4V) –, col preciso compito di infiammare quest'inverno freddo e austero. Tornano con la forza di una valanga, di un fiume in piena che tutto travolge, uno di quelli che spazza via ogni persona, cosa o animale incontri sul suo cammino. Torna con la voglia di gridare alla vita, al rinnovato vivo interesse di urlare la propria visione del mondo e la propria idea sullo stato delle cose.

I Gomma rinascono con alle spalle il proprio passato, con un presente florido che prende a morsi tre quarti della scena rock attualmente in giro a fingersi “dura e pura” e un futuro rassicurante e incerto (per noi e per chi come noi fatica a starci dentro) allo stesso tempo. Parlare con i Gomma, nonostante la differente età, è come trovare amici di vecchia data che si incrociano solo quando le reciproche strade coincidono, ma con i quali ci si trova all'istante sulla stessa lunghezza d'onda. Ed è bello chiacchierarci, perché avverti che le loro parole, da sempre restie allo sproloquio e ben ancorate per terra, non sono mai spese per riempire spazi vuoti e non temono il silenzio. Sono dialoghi, opinioni, di volta in volta argomentate o dettate dallo stomaco, dalle passioni, dal vissuto, dalle convinzioni che sono radicate dopo una storia oramai pluriennale e due anni di fermo forzato che li ha resi ancora più arguti e interessanti.

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I Gomma probabilmente non sono (e mai lo saranno) banali, non sono politicanti e non sono musicanti. Sono, semmai, lo specchio fedele di chi ama cambiarsi, rinnovarsi, gridare la propria rabbia, le proprie incazzature, senza vergognarsi delle proprie intime riflessioni, sapendo che dall'altra parte ci sarà qualcuno pronto ad ascoltare e recepire. Per comodità e brevità li si potrebbe chiamare semplicemente artisti e di artisti vi possiamo garantire che ne abbiamo ancora un dannato bisogno. I Gomma sono tornati. Sentiamo cosa hanno da dirci.

Zombie Cowboys è un titolo piuttosto strano, che mi evoca sia Tarantino o Leone ma anche i Pantera di Cowboys From Hell, da dove nasce?

Ilaria: Giovanni ed io tendiamo ad elettrizzarci per certe idee, a lui è venuta questa ed io non ho fatto che tuffarmici. E poi a nuotare me la cavo piuttosto bene.

Giovanni: Ho sempre amato il modo in alcuni registi si siano appropriati del cinema di genere per affermare un discorso critico e ideologico sulla propria cultura di appartenenza. Penso ad esempio a Romero con gli zombie-movie o a Sergio Corbucci con film come Vamos a Matar Compañeros. Ho pensato che sarebbe stato interessante provare a riproporre questo modus operandi in musica e, ragionando sulla figura del cowboy per come si è affermata nella cultura di massa, è difficile non accorgersi delle connessioni tra quel mondo e il sistema di valori del capitalismo moderno. Dopodiché, l’accostamento tra cowboy e zombie serviva a sublimare il fallimento di questo sistema.

All'uscita di Toska (2017, V4V), il vostro debutto, diceste che più che fare musica bene per voi era importante cercare di fare capire chi siete voi e lanciare così un messaggio che potesse essere compreso e raccolto da spiriti simili. Il messaggio di Toska era l'insoddisfazione generazionale, quello di Sacrosanto (2019, V4V) la crescita personale come individui, qual è quello di Zombie Cowboys?

G: Quella insoddisfazione di cui parli non solo si è acuita ma, ti dirò, si è trasformata in rabbia. Questo disco, fin dalla copertina, è un modo per rimarcare un'idea, per fare capire quanto sia importante prendere una posizione e come ogni forma d’arte debba essere visceralmente intesa come un gesto politico.  Mi ha sempre fatto schifo il concetto “art for art’s sake” e, per quanto mi riguarda, anche chi dice di non essere interessato alla politica ma di volere solo fare musica ha inconsapevolmente adottato una scelta politica… una di quelle che ci rende diversi.

I Gomma - foto stampa
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Il che mi ricorda molto Ian MacKaye (Minor Threat/Fugazi) quando disse che negli ultimi 10 anni almeno il partito dominante è stato quello degli Apatici. Mentre in giro si moltiplicavano articoli in cui si rimarcava come il nostro fosse un Paese di musichette incapaci di inquadrare il presente, usciva un singolo come Guancia a guancia che sembrava dire: “Ehi! Cazzo dite? Guardate qua! Non è vero!”.

I: Quando ho scritto Iena stavo leggendo Il capitale è morto - Il peggio deve ancora venire della studiosa marxista eretica McKenzie Wark. Mi sembra che per molti la diffusione del virus coincida con l’inizio dell’apocalisse e la cosa mi confondeva e mi confonde tuttora; a me sembra così chiaro che ci siamo nel mezzo da un bel po’. Mi verrebbe quindi da dirti che, per quanto possa apparire un tantino categorica come considerazione, non credo esista nulla che non parli del presente. Anche se si sceglie di non parlarne è una rappresentazione dello stato delle cose nella nostra società. Parlarne è una grossa arma, peccato che molti pare non lo sappiano affatto o magari non gliene frega un cazzo. 

G: Amen.

Siete sempre stati molto orgogliosi del vostro sound dissonante, creato in modo da non risultare troppo catchy, eppure questa volta ci sono momenti decisamente più comprensibili, penso ad esempio a Sentenze o Sceriffo. È un modo per raggiungere più persone oppure è una vostra evoluzione su quel pensiero?

Matteo: Da Sacrosanto è ormai passato un po’ di tempo. Prima di Zombie stavamo scrivendo un ep in studio, completamente differente da tutto ciò che poi abbiamo pubblicato. Per dire, eravamo nel bel mezzo della preparazione di un live con violino e pianoforte. Per come sono cambiate le cose, ma anche per volontà nostra, abbiamo necessariamente dovuto metterlo da parte. Si può dire che sia stato il primo passo verso qualcosa di davvero insolito, almeno per quanto mi riguarda.

G: E' una domanda che mi diverte e stupisce allo stesso tempo. Te lo dico perché, per la verità, i due pezzi che hai citato sono nati proprio dalla necessità di sperimentare qualcosa di insolito. Nel primo caso, per Sentenze, si trattava di scrivere un tema suonato interamente con la leva, quindi senza una intonazione precisa, mentre per Sceriffo volevo provare a rendere intellegibile una progressione piena di clusters, dissonanze, suoni cacofonici. Sono fermamente convinto che tutto il sound dei Gomma fino ad oggi sia stato plasmato da quattro, massimo cinque forme di accordi, soluzioni ben precise insomma ma, sotto questo aspetto, Zombie Cowboys osa sicuramente di più.

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Non è un mistero che i vostri dischi siano disseminati di citazioni di libri, film e altra roba con cui avete a che fare nel vostro quotidiano: questa volta la cosa è ancora più esplicita, ossia fin dai titoli delle tracce. Come mai? Io mi sono fatto la mia pippa mentale, ossia: lockdown, ogni titolo nasce da quel qualcosa che avete letto o visto o sentito che ha dato ispirazione al pezzo.

I: Mi piace la tua interpretazione ma temo che tu sia sulla cattiva strada! Dare titoli ai brani non è mai facile e personalmente mi riduco spesso agli sgoccioli per riflettere su che nome dare alle cose che scrivo, insomma è sempre un lavoro che mi riserbo a scrittura ultimata. Però sul citazionismo non hai torto, anche qui abbiamo ficcato qua e là una serie di riferimenti assolutamente non casuali. Per me se c’è qualcuno che può capirli è già un grande traguardo, a prescindere dall’interpretazione del brano in sé: è condivisione.

G: Rielaborazione per rielaborazione, preferisco copiare Emanuel Carnevali, Ginsberg e Pavese; è solo questione di prospettive.

In passato vi hanno sempre molto associati alla scena emo-core o giù di lì, qualcuno anche ai Verdena e ai Massimo Volume. Questo disco a me sembra molto più alla Jesus Lizard, nella misura in cui la loro musica risultava cruda, singhiozzante, rumorosa, tesa a tutte le nevrosi dei giovani urbani in perenne tensione però, a suo modo, anche epidermica e morbosamente languida. È palese questa summa in un pezzo come 7.

I: Io ho ascoltato allo sfinimento Dry Cleaning, Protomartyr, Amyl and the Sniffers, Black Midi, Black Country New Road… non sto a dirteli tutti dai ma questo, be', è un complimentone!

M: Io per lo più ho ripreso vecchi ascolti. E sì, ho apprezzato anche io tutto il nuovo filone post-punk UK di cui parla Ilaria. Resta comunque un gran bel paragone.

G: Mi accodo. Anche se devo ammettere che spesso, specialmente in fase di scrittura preferisco ascoltare artisti lontani dal genere che suoniamo. Ultimamente mi interessa molto una scena che pare si stia formando a Salford o comunque nel nord dell'Inghilterra con artisti come Blackhaine, Rainy Miller, Space Africa…

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Mamma Roma e Gigante di ferro sembrano trattare l'argomento dell'ambiente attraverso le opere pubbliche e pianificazioni urbane sempre meno sostenibili. La prima mi ha subito ricordato Le mani sulla città, con un punto di vista adulto e reale, la seconda invece ha quello di un bambino, fantastico, dando però un'ulteriore idea che le cose non siano cambiate. Bambini che vedono mostri di ferro diventano adulti/classe operaia che sente una pioggia acida di macchine. È giusta questa visione?

G: 10 e lode.

I: Speravo che scrivendo Gigante di ferro si capisse la reale chiave di lettura ma non ne sono mai stata del tutto certa – come potrei, d'altronde? – date le parole piuttosto dure che ho deciso di usare per confidarmi. Perché sì, in effetti quel che dici sulla decisione di utilizzare un punto di vista fantastico e fanciullesco per raccontare i cambiamenti che la mia terra ha subito nel periodo liminale tra la mia infanzia e l'adolescenza sono una scelta totalmente ad hoc. Erano i primi 2000 quando mi sono trasferita nella provincia di Caserta e dal casello autostradale si intravedeva un castello di rottami abbandonati, la mia mamma mi diceva che era lì che viveva il gigante di ferro che dà il nome al cartone animato omonimo tratto dal libro di Ted Hughes. Io ci ho creduto per molto tempo, le automobili dopo dieci anni sono tutte sparite.

Ora mi tocca passare alle dolenti note (scherzo).  Però io non amo particolarmente né Marcello Mastroianni né Federico Fellini, quindi mi sa occorre che mi spieghiate bene Mastroianni.

I: Eh! In realtà è molto semplice. Io sono una fan affezionata del mitico Elio Petri, quando ti ho parlato del citazionismo direi che con assoluta certezza Mastroianni è il contenitore più evidente, agli occhi di chi sa spulciare la filmografia dia Mastroianni è evidentemente una lettera d’addio: parla di una storia d’amore tragica e destinata a una fine violenta, come in quel film di Petri ispirato a Robert Sheckley, La decima vittima, che oscilla tra la sci-fi e il western.

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C'è voluto veramente coraggio per ritagliarvi in Italia quegli spazi che faticano a essere riconosciuti anche all'estero. L'azzardo è stato premiato, i vostri dischi hanno ottenuto feedback importanti e il nome beneficia di non poca stima e considerazione, sia per il pubblico che per la critica. Avete mai pensato di fare il salto del fosso, che per molti viene considerato anche “prova di coraggio”, come una capatina a Sanremo, o un X Factor?

I: No.

M: Non è una cosa che mi interessa particolarmente. Credo che la nostra dimensione e lo spazio che ci siamo creati siano diametralmente opposti a quelli che citi. Continueremo a fare concerti, a fare album e a fare concerti.

G: A me non me ne frega un cazzo... Annamo a piglià er gelato?

Avete presentato alcune canzoni del nuovo disco con un'unica data quest'estate, dove si è percepita una grande urgenza di riprendere a suonare dal vivo, ma allo stesso tempo il forte disagio per il doversi esibire davanti a un pubblico monco, in quanto statico. Disagio provato anche dallo stesso pubblico che appare sempre più impacciato. Si sta disimparando come si assiste a un concerto?

M: Di certo le persone sono confuse, ed è una cosa a cui è difficile abituarsi. Per il nostro concerto è davvero difficile immaginare qualcosa di diverso da quello che è sempre stato, e quello di Bologna è stato il mio unico concerto dal 2019 ad oggi, fai conto.

G: Probabilmente il pubblico e tutti noi messi insieme stiamo disimparando a vivere. In questi anni ho cercato di salvare il salvabile della mia vita. Ho scritto canzoni e finito l’università. Io ora vorrei solo tornare sul palco.

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L'articolo Ascoltare i Gomma per imparare di nuovo a vivere di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2022-01-24 12:00:00

Tag: album

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