Asia Argento è forte come la morte

Dopo anni allucinanti, l’attrice si rompe un ginocchio e dalla convalescenza scrive “Music from my bed”, un album estremo come lei, che tiene assieme Dj Gruff e la figlia Anna Lou. Un ritorno alla musica dopo 8 anni per chiudere col passato, come ci racconta

Asia Argento in una foto di Bart Kuyens
Asia Argento in una foto di Bart Kuyens

Dopo aver finito di leggere la sua autobiografia che s'intitola Anatomia di un cuore selvaggio, ho pensato a quanto debba essere potente la voglia di vivere in una donna come Asia Argento, che ne ha passate di tutti i tipi tra violenze psicologiche e fisiche, lutti, cacce alle streghe, rehab, haterismi terrificanti e disfunzionalità affettive varie. Ne è uscita fuori nell'unico modo, voltando pagina e andando avanti, senza portarsi dietro uno zaino di pesantezze inaudite. In questo senso la musica ha avuto una grande parte, ma ce lo racconta lei stessa qui sotto.

Quando ho avuto modo di intervistarla in seguito all'uscita dei suoi nuovi pezzi, i singoli I'm Broken e Venerdì che aprono la pista all'album Music From My Bed in uscita il 12 novembre dopo 8 anni dal precedente Total Entropy, non ho ritenuto opportuno chiederle niente degli affari suoi che spesso finiscono nei titoli dei giornali. Semplicemente perché tutto quello che vorreste sapere a quel livello l'ha scritto a chiare lettere con una spietatezza e una lucidità disarmanti nel libro di cui sopra. 

Ho preferito parlare con lei di crescita personale e musica, che a lungo termine sono più interessanti. Il disco è prodotto da Holly e vede la partecipazione di Eugenia Di Napoli per i testi, DJ Gruff ai piatti, Vera Gemma a voce e scrittura, Luca D'Aversa che canta in Venerdì e Young Signorino in Forte come la morte. Al suo interno c'è anche spazio per la figlia Anna Lou e per una cover di Gabriella Ferri, in un melting pot di romanesco e inglese che sembra un po' la vita di Asia. È un disco per molti versi sorprendente, niente a che vedere con il tipico disco vezzo dell'attrice che si mette a far musica per sfizio: c'è sperimentazione, ricerca, è molto urbano e al contempo tradizionale. È stato composto e registrato durante la degenza da un infortunio in cui Asia Argento è stata costretta per settimane a letto dopo la rottura di un ginocchio. La chiamo e da buona vergine maniaca della precisione, risponde al primo squillo.

 

Foto di Piergiorgio Pirrone
Foto di Piergiorgio Pirrone

Con che stato d'animo sei arrivata a questo disco?

Con l'urgenza di una persona che era inferma a letto. Mi sono aggrappata all'arte, alla creatività per non piangermi addosso e cadere nell'autocompatimento. Non volevo dire "Povera me, perché tutte a me", allora ho usato questo tempo per fare una musica che probabilmente non avrei mai fatto se non mi fosse capitato di rompermi il ginocchio. In realtà tante volte arrivano nella vostra vita degli ostacoli che sembrano insormontabili, tipo quando il dottore ti dice che devi stare sei settimane senza muoverti a letto, e invece possono risultare delle occasioni di crescita personale, artistica e anche spirituale in varie forme.

Come ti è venuto in mente di fare un album cantato in inglese e romano?

Il primo pezzo che ho scritto è stato in inglese, comunicavo col producer Holly (che è portoghese) in quella lingua per fargli capire cosa stessi facendo. Io registravo da casa, dal letto proprio. Mi sono fatta uno studio accanto al letto. Io non ho la voce del bel canto, di Laura Pausini, ho una voce particolare e in questo caso è una voce seduta, letteralmente. Le parole le cantavo in inglese per farmi capire da Holly, poi però mi è venuto in mente di cantare questo stornello di Gabriella Ferri che ho messo alla fine del disco, Te possino dà tante cortellate, era da anni che con la mia amica Vera Gemma lo cantavamo fra di noi e ci siamo decise a registrarlo, è una cosa che viene dalle trippe. Dopo di quello mi sono venuti altri brani in romano, ho trovato che in effetti la metrica e le rime vengono molto meglio, sono tutte parole troncate. Da scrivere e cantare è molto più semplice dell'italiano, è più simile all'inglese in un certo senso. Poi è la mia città, parlo delle mie radici, mi sono ispirata agli stornelli che adoro e trovo che come l'album, il romanaccio abbia una tinta melancomica. Questi stornelli venivano scritti da carcerati ubriachi nelle osterie che raccontavano della loro vita, episodi terribili, anche di grande disagio e di violenza, ma sempre con una sorta di piglio cinico e distaccato. Mi piaceva riportare un po' questa tradizione.

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Canzoni dal tuo letto, ma il tuo letto non sembra così comodo. La canzone I'm Broken sembra parlare anche di depressione, argomento sempre tabù qui in Italia...

Invece tutti abbiamo sofferto e soffriamo una sindrome post traumatica dopo lo shock del lockdown, una cosa con cui dovremmo fare i conti per lungo tempo. Di salute mentale ne ho parlato anche nel mio libro Anatomia di un cuore selvaggio, questo tabù è una cosa pericolosissima. Un tempo non se ne parlava per niente, oggi vedo persone accanto a me che si vergognano di ammettere che hanno un problema, che hanno bisogno di aiuto, questo è un grosso problema. Io perlomeno nella vita mi sono sempre resa conto di avere dei problemi e ho sempre cercato aiuto fin da piccola, ho fatto diversi percorsi di terapia. Ho finito la scorsa estate un percorso di analisi che è durato 16 anni. Sapevo di aver bisogno e oggi penso di essere arrivata alla tanto agognata serenità, che non vuol dire assenza di problemi, quelli ci sono tutti i giorni. Piuttosto la capacità di vivere nel momento e accontentarsi di quello che si ha, di non vivere proiettati nel passato o nel futuro. Vedo che questi sono i problemi più grandi che hanno le persone, questa sorta di pensieri parassiti che ci affollano la mente e che ci tengono prigionieri. Da qui sorgono l'ansia, l'angoscia, l'insonnia e sono sempre legate al passato o al futuro. Nel disco parlo molto dei miei problemi mentali e facendo questo li esorcizzo. Quando nascondiamo qualcosa e la teniamo solo per noi è come metterla sotto un tappeto, se la tiriamo fuori non è più l'elefante nella stanza, alla luce del giorno possiamo affrontarla e anche vincerla. 

Assolutamente d'accordo, sono reduce da una seduta di analisi che parla proprio di questo argomento. 

Bene, bisogna parlarne, togliere questo stigma dalla malattia mentale. Un mondo in cui tutti dobbiamo stare bene e funzionare è un'illusione e le illusioni sono la vera malattia dell'umanità

Il tuo secondo singolo Venerdì è una bella stilettata. A chi è dedicato?

Il testo l'ha scritto Eugenia Fernanda Di Napoli e si accorda allo spirito del disco. Mi ci sono riconosciuta molto perché soffro un po' di fobia sociale: non mi ritrovo mai alle feste, sono da sempre votata alla solitudine e ci sto bene, ho pochi amici che vedo uno per volta con cui ho uno scambio profondo che mi arricchisce. Poi capita a volte per lavoro di ritrovarsi in luoghi in cui ci sono tante persone sconosciute e di non ritrovarmi a mio agio, da cui scappo. Non voglio sentire le cazzate che dicono o che scrivono sui social, voglio al massimo trovare la pace dentro me stessa e sicuramente non la troverò in questi posti, non riuscirò mai a sentirmi bene in luoghi dove regna la finta leggerezza, i discorsi aerei, di poca sostanza. Non che io sia per forza pesante, mi piace anche la leggerezza, ma in questi luoghi non sento verità. Nella vita mi ritrovo meglio dove è possibile esprimersi veramente. 

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"La solita storia, la donna è una troia", canti nel testo.

In tutti gli ambiti per la donna è difficile emergere, poi c'è anche la questione dell'età, dell'invecchiamento. Pensa nel mondo del cinema: a vent'anni è una cosa, a quarant'anni un'altra e molte vanno fuori di testa. Semplicemente è così, è l'evolversi delle cose, ci sono ruoli per le persone più giovani, contano la bellezza e la sensualità come prodotto di merchandising, come orpello. Io ne so qualcosa, da giovane soprattutto c'ho giocato perché mi avevano invitato a questo gioco e pensavo che bisognava farlo per fare questo mestiere. Mi stava anche bene perché per me che ero così timida, in realtà mi permetteva di tirare fuori il falso me (che era comunque una parte di me), questo supereroe sensuale che non ha paura di niente, aggressiva per non farsi aggredire. Mi proteggeva, era come uno scudo, però dopo pagavo sempre un biglietto troppo caro per assistere allo spettacolino di me stessa, che non è la verità. Con gli anni che passano diventa sempre più faticoso. Salta sempre all'occhio questa visione che uno proietta di sé, della sensualità che gli altri vedono in te, l'oggetto, perché non sei più neanche un essere umano, sei la troia. Quella che alle feste ti devi portare via, a letto, come un trofeo.

Reduci der core ingannatore la canti con tua figlia se non sbaglio. Anche la musica è una questione di cuore per te? 

Una questione di cuore accordato alla testa, al flusso del sangue, all'anima. L'energia più forte è quella che parte dal cuore, da cui vengono le opere più sincere. Non parlo solo di opere artistiche ma anche di vita. Anche preparare un caffè può essere un'opera sincera e ben fatta. Tenevo moltissimo a lavorare con mia figlia, al disco hanno partecipato le persone che venivano a trovarmi quando io stavo male a letto e Anna Lou sentiva ogni giorno le canzoni che preparavo. Ha scritto la strofa finale di quella canzone per dare un suo punto di vista sull'idea dei reduci, da una donna di 46 anni a una ragazza di 20. Lei scrive molto bene e in cinque minuti ha scritto questa strofa bellissima e l'ha cantata. Dj Gruff, che ha preso parte a Reduci, Exterminating Angel e I'm Broken l'ha un po' diretta. Come madre ero un po' intimidita, non volevo dirle "fai così", volevo che partecipasse e che avesse piacere di fare, che fosse una cosa gratificante per lei. Spostando tutto nelle mani di Sandro (Gruff) siamo riusciti a portare a casa una storia che a me commuove molto e vedo che mia figlia ne è fiera, questa è la cosa più importante.

Foto di Bart Kuyens
Foto di Bart Kuyens

Com'è stato lavorare con Gruff?

Beh, calcola che ci conosciamo da tantissimi anni, dai tempi dei Sangue Misto, abbiamo collaborato quando stava coi Casino Royale e siamo rimasti amici per tutti questi anni, che non è una cosa semplice per persone come me e come lui. Abbiamo un filo che ci lega che non è necessariamente il bisogno di vederci, condividiamo le nostre cose. Lui fa un mix o una canzone e me la manda in anteprima, io gli dico le mie impressioni e lui ha fatto lo stesso col disco quando lo stavo registrando con Holly, volevo semplicemente un suo parere come artista che stimo profondamente. Io non avrei mai osato di chiedergli di fare degli scratch sui pezzi ma si è offerto sui pezzi che gli piacevano di più e sono andata in un brodo di giuggiole. 

Come hai scelto collaboratori e produzione per il disco?

Con Young Signorino è il primo pezzo che ho fatto prima ancora di sapere di avere un album. Lo stimo, mi piacevano i suoi pezzi e questo era un po' di tempo fa, prima di rompermi il ginocchio. Chiedo al mio manager di farmelo conoscere e intanto conosco questo produttore giovane, 25enne ai tempi, portoghese, super prolifico, Holly appunto. Un artista capace di farti un brano in tre secondi. Ho ascoltato i suoi pezzi e lui conosceva Young Signorino, gli piaceva, quindi mi ha chiesto se mi andava di fare un pezzo con lui. Un giorno stavo con Paolo (YS) e sua moglie Jessica a casa mia, sono andata in bagno. Questa cosa sembra ridicola ma è vera, molto spesso quando faccio la pipì mi vengono le idee, forse perché è un momento in cui lascio andare il corpo e mi abbandono. Il mio bagno si vede nelle immagini del disco, è tutto disegnato, ci sono graffiti, da anni bambini amici del miei figli e amici miei facciamo scritte su questo bagno...

Foto di Piergiorgio Pirrone
Foto di Piergiorgio Pirrone

Pensavo fosse il bagno di un club!

No è il mio bagno vero (ride). Leggo "Forte come la morte" che avevo scritto anni prima dopo aver letto il romanzo di Guy De Maupassant e gli ho chiesto se gli piaceva come titolo, ha annuito e poi ha scritto la sua parte. Dalla sua ho scritto la mia e ho fatto venire Holly dal Portogallo e in una notte abbiamo registrato questo pezzo così pazzo. Un pezzo di trap satanica. Poi mi sono rotta il ginocchio e mi sono state diagnosticate sei settimane a letto. Ho telefonato a Holly un po' depressa e lui mi ha detto "Perché non usi questo tempo per fare un disco?". Io non ci avrei mai pensato, mi ha detto che gli era successa una cosa analoga anni prima, quando studiava all'Università, non so cosa si era rotto ma in quel momento la sua vita è cambiata perché lui è diventato musicista mentre era costretto a letto. Mi ha fatto scegliere le basi tra 40 pezzi, ho imparato Ableton e mi sono costruita lo studio accanto al letto. Questa cosa mi ha salvato.

Il disco è molto urban a tratti sperimentale che si sposa bene con la tradizione che metti in alcuni pezzi. Poi ci sono canzoni come Love Obscene...

Ha un po' di tropicalia, anche per le origini del produttore, insieme a dei momenti onirici, di rallentamenti. Parla di un amore a lunga distanza, di due persone che nemmeno si conoscono. Penso a una donna, a un Oceano in mezzo a noi, due lingue diverse, una sorta di pippa mentale sulle conoscenze via social, persone che non conosci che diventano le più importanti della tua vita, che sanno tutto di te a cui racconti tutti i tuoi cazzi sognando il grande amore e poi in realtà è un'illusione come tutte le altre.

Foto di Bart Kuyens
Foto di Bart Kuyens

Pensi sia vero che fai paura, come dici in uno dei tuoi testi?

Quello l'ho scritto insieme a Vera Gemma, con cui condivido un po' le idee sui rapporti. In questo momento non credo di fare paura soprattutto perché non sono alla ricerca di un compagno o di una storia, ma neanche di un rapporto sessuale, sono ascetica. Quando abbiamo scritto quel pezzo abbiamo fatto un po' un riassunto di anni e anni di questo genere di rapporti ripetitivi che alla fine ti lasciano il nulla. Dice "Faccio paura, non sono mai sincera" e anche questo non è vero. Allo stesso tempo sì, perché raccontiamo la storia di una che si fa bella per essere desiderata, ma c'è verità in questo, sono la vera me? Oppure mi dovrei far vedere come sono ora in questo momento in tuta, coi calzini di lana bianchi, il brufolo e i capelli zozzi. Sono la persona che sta ora al telefono e che tu non vedi o quella che vedi nelle foto tutta figa yeah? O quella che usciamo per un appuntamento e mi metto il tacco? C'è di nuovo questa discrepanza col falso te, l'immagine che una persona vuole dare per farsi amare e la sofferenza del vero te che si sente incompreso. Forse il vero te non ha fatto neanche lo sforzo di farsi capire per paura di non venire accettato. Triste serenata  racconta questo enorme senso di solitudine con cui conviviamo io e Vera, che è la mia migliore amica da cent'anni, che io stimo tantissimo come artista, sa scrivere benissimo e che spero riesca a tirare fuori più di queste macchiette televisive a cui, ahimè, dobbiamo prestarci a volte. È una grandissima scrittrice e con lei condivido una sorta di visione della vita, scrivere con lei è stato bellissimo.

Perché in questo momento stai tirando fuori così tanti pezzi di te? Il disco e l'autobiografia sono entrambi squarci di vita vera.

Il disco è stato l'inizio, l'ho scritto prima del libri. Avevo toccato il fondo in tante maniere ed è stato un modo di risalire ed è stato un ricontattate il sentimento sincero, puro che avevo da bambina, il mio ideale di cosa voleva dire l'arte per me, cosa volevo comunicare e come. Tornare a me stessa facendo una ricerca sulla mia vera essenza, spogliandomi di tutti gli orpelli e delle etichette che avevo aiutato ad alimentare: dark lady, queste cazzate qua che vanno bene a 22 anni ma a 46 è veramente triste sentirsi definire così, quando poi la vita non ti ha fatto quello, anzi probabilmente sei il contrario. Non è per dimostrare niente a nessuno, l'ho fatto per chiudere il libro intero della mia vita fino a quel momento, guardarlo, incorniciarlo e tirarlo fuori da me per poter andare avanti.

Quando uscì Scarlet Diva, il tuo primo film da regista, ne ero ossessionato, l'ho anche doppiato in VHS, questo forse non dovrei dirlo...

Ah, sono contenta! Quando uscì quel film non fu capito per niente ma siccome so che c'era purezza di intenti, so che è arrivato e che per tante persone, soprattutto ragazze, è stato importante per loro ventenni. Mi ripaga molto, ai tempi in Italia no furono gentili con me per quel film. 

Già in quel film la musica era molto importante, ricordo la scena finale con Wild is the Wind di Nina Simone. Quando hai iniziato a capire che la musica era qualcosa di necessario per te?

L'amore per la musica è iniziato da bambina, i miei primi ricordi sono questi vinili che giravano, quelli dei Beatles con la mela. I miei genitori, soprattutto mia madre, ascoltavano molta musica. Per i miei cinque anni mi sono fatta regalare il disco di Elvis, sono sempre stata una collezionista di musica, musicologa autodidatta. Avevo amici che ascoltavano vari stili e mi facevo dare dritte, ma ho sempre spaziato. Il mio bisononno era Alfredo Casella, un grande compositore del Futurismo, da parte di mia madre c'era mia zia che era una vera musicologa, insegnava all'Università, c'era questo enorme Steinway a casa mia che io non potevo toccare perché mi dicevano che non ero dotata e io mi ci sentivo, in più con questa voce strana non sentivo di poter fare musica.

Foto di Piergiorgio Pirrone
Foto di Piergiorgio Pirrone

Quando hai iniziato a fare musica attivamente?

Nel 2000 questo grande musicista, Hector Zazou che purtroppo ora non c'è più, che ha collaborato con Bjork, mi contattò perché voleva fare un pezzo con me, una versione di Le Mépris di Godard in cui Bardot e Piccoli si guardano allo specchio e lei gli dice "Ti piacciono i miei seni". L'idea era che io facessi le stesse domande a me stessa e quello fu il primo brano, poi hanno iniziato altre persone a chiedermi di fare canzoni con loro, come cover di Je t'aime, moi non plus con Brian Molko del Placebo e ho continuato. A 17 anni avevo un gruppo punk col regista Alex Infascelli, frequentavo musicisti e stavo spesso negli studi ma mi vergognavo infinitamente. La persona che mi ha liberata di più musicalmente e come scrittura è stato Anton Newcombe dei  Brian Jonestown Massacre. Abbiamo fatto cinque brani insieme e mi ha insegnato che potevo cantare e scrivere. Ho imparato tantissimo da Marco (Morgan) stando tanto anni con lui negli studi. Mi ricordo una volta mi disse: "Tu devi produrmi il nuovo album", ha sempre detto che ci capivo molto di musica e lo penso anche io. Ho sempre avuto l'umiltà dell'autodidatta che non sa suonare nessuno strumento, anche se a casa mia è piena di strumenti pazzeschi che suonano gli amici quando vengono, Fender Rhodes, Theremin, chitarre incredibili e via dicendo. 

Invidia! Che rapporto hai con la musica italiana?

Ho abbastanza un buon rapporto, ascolto delle cose rap, oggi trap che mi fanno ascoltare i miei figli, ci sono delle cose valide sia nei testi che nelle produzioni. Si dice che dai 35 anni in poi si riascolta la musica che già si conosceva. Quindi ogni anno ci sono due o tre album nuovi che posso dire di amare veramente perché li ho ascoltati tutti e li riascolto più volte. Di album italiani questo non succede spesso devo dire. Mi piace molto Rosa Chemical, mi fa ridere, mi piacciono le sue produzioni, sono fan. A livello storico tutti i grandi cantautori, gli imbattibili: Fabrizio De Andrè, Gino Paoli, pure Adriano Celentano per me è un mito, Fred Buscaglione. Mi piace la canzone napoletana, Murolo, Merola, poi ancora Gabriella Ferri, Loredana Bertè...

Ecco, ma hai mai pensato di scrivere un pezzo per la Bertè? Perché un testo come Triste Serenata sembra scritto apposta per lei...

Mi ha chiamata in questo show su RaiUno a cantare Amici non ne ho, purtroppo il pezzo era sbagliato perché doveva essere per una voce più alta della mia, però sarebbe un sogno. Sicuramente nel prossimo disco prenderò coraggio e glielo chiederò, lei è la mia mamma rock e adoro quello che fa. Figlia di spacca, mi ha messo pure in mezzo e sono super onorata di essere una sua figlia di.

A proposito del rock, ci credi davvero alla rinascita del genere a livello mondiale o stanno tornando solo i cliché del rock?

Eh, interessante questa domanda. Il rock non è andato mai via, ha preso varie forme. L'apparenza rock è facile, come mettersi un camice e dire "sono un dottore". L'anima rock o ce l'hai o devi studiare tutta la musica rock fatta finora per poter dire "faccio rock oggi". Ci sono delle band magari meno conosciute che fanno un rock psichedelico stile anni Sessanta che mi interessa ma non ricordo i nomi, mi passano brani qua e là. Se ti riferisci ai Måneskin sono un fenomeno, finalmente la musica italiana viene esportata, hanno aperto per i Rolling Stones ed è una cosa penso di cui andare fieri. Ricordo quando successe a me di avere grande successo in America, di avere il film americano primo in classifica, di essere in copertina su Rolling Stone USA e qua tutti rosicavano, non erano felici per me, dicevano solo "Succede perché è figlia di Dario Argento". Che piaccia o meno dovremmo gioire nell'avere un po' di orgoglio nazionalista nel miglior senso possibile del termine. I francesi ce ne hanno un sacco per i loro artisti e i loro prodotti, non vedo perché noi dobbiamo sempre sputare nel nostro piatto.

 

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L'articolo Asia Argento è forte come la morte di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-11-09 10:17:00

Tag: album

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