Ci dev'essere un "cazzo di motivo": l'intervista ritrovata a Ernesto Assante

Abbiamo ritrovato una chiacchierata fatta tre anni fa al Medimex con il giornalista musicale, scomparso negli scorsi giorni. Abbiamo deciso di pubblicarla perché dice delle cose meravigliose sulla musica e il giornalismo, sulle cose che cambiano e quelle che non cambieranno mai

Tutte le foto di Ernesto Assante sono per cortesia di Ufficio Stampa Medimex
Tutte le foto di Ernesto Assante sono per cortesia di Ufficio Stampa Medimex

Ernesto Assante, una delle penne e delle menti più luminose del giornalismo musicale (e non solo) italiano, non c'è più. È stato un gigante, uno che per intere generazioni di cronisti e aspiranti tali ha rappresentato un modello, un'ambizione. E per tantissimi artisti ha rappresentato tantissime cose, amico e pungolo, un riferimento.

Assante ci ha lasciato una marea di interviste e commenti su Repubblica, libri, podcast, progetti editoriali online e offline, le "lezioni di rock" nei teatri. Ma anche il collezionismo: Ernesto collezionava giornali musicali di ogni genere ed epoca, tenendoli come una reliquia. Da questa collezione privata è nata la mostra Musica Di Carta, presentata al Medimex di Taranto nel 2021. Con Medimex e Puglia Sounds Assante aveva una consuetudine, in questi anni ha seguito tantissimi progetti per queste due bellissime realtà, di cui rappresentava un valore aggiunto.

Al Medimex del 2021 ero inviato per Rockit, e ebbi l'onore di una visita guidata per pochissimi in questo archivio di meraviglie musicali e giornalistiche. «Io suono la chitarra, si, ma per divertimento, fin da piccolo non volevo suonare, io volevo soltanto scrivere di musica» mi aveva raccontato in quell'occasione Assante, alla faccia dello stereotipo dei critici musicali che volevano fare i musicisti e hanno fallito. Il giorno prima aveva curato un incontro con gli Psicologi, e quel pomeriggio avrebbe intervistato Speranza.

Finito il giro degli stand, sono tornato da lui per una chiacchiera informale sulle rispettive collezioni – mi fece pesare che del primo Rolling Stone italiano del 1980 lui aveva solo il numero 2, mentre io il numero 1 – e provai a trasformarla in un'intervista: «Maestro, posso registrare e farle un'intervista?». «Ma che Maestro, oh, io so' Ernesto, scherzi? Sediamoci».

Quell'intervista non uscì, semplicemente perchè persi il file, il Mac si ruppe, varie altre cose che poi allungarono i tempi e il Medimex era passato da un po', e non la editai in tempo. Al momento della notizia della sua scomparsa, l'ho ricercata meglio, e grazie ad iCloud, l'ho trovata. La mia intervista smarrita (da me) a Ernesto Assante, il 16 Settembre 2021, un piccolo omaggio a un grande di questa professione. 

Con Gino Castaldo
Con Gino Castaldo

La mia generazione purtroppo e per fortuna ha vissuto la sparizione della persona di cui fidarsi, perchè con internet siamo diventati tutti media. Come si può costruire una credibilità, nella scrittura musicale?

È la domanda più complicata in assoluto perchè il vero motivo per cui oggi la critica musicale è morta o comunque è in forte declino è in parte un problema politico. Che il paragone non ti sembri esagerato, ma era la logica dei cinque stelle: gli esperti non servono, “uno vale uno” quindi "chi se ne frega di Assante". La rivoluzione tecnologica ha cambiato totalmente tutto: io prima era un filtro naturale perché sentivo molta più musica di chiunque altro, spendevo i miei soldi solo in dischi, libri, film musicali, quindi sapevo per forza di cose di più. Allora quando uno dovevo comprare un disco si trovava davanti 150 dischi e diceva: non li posso sentire tutti e 150, leggo il giornale, capisco il critico nel quale vado più d’accordo – Assante, Castaldo, Bonelli, Bertoncelli, chi ti pare – e seguo il giudizio per poter comprare i dischi che potrebbero interessarmi e piacermi. Il mio ruolo era essenziale, perché io sentivo 100 dischi a settimana, gli altri no. La piattaforma permette a chiunque di sentire tutto sempre, quindi io da quel punto di vista non servo. La gente si fa la sua idea.

La gente si consiglia il disco da sola, o al massimo lo fa l’algoritmo?

Ma questo è per chi pensa che il ruolo di un giornalista musicale o critico – ma la parola critico mi sembra meno sensata di giornalista musicale – sia solo quello di consigliarti i dischi, che poi è una cosa che francamente mi ha sempre annoiato. È utile, ma non è quello lo scopo della mia vita è raccontarti cosa c’è dietro, oltre, davanti, di lato ad ogni cosa che tu senti e quello non lo posso fare tutti, lo fa solo chi ha sentito più dischi e visto più concerti di tutti gli altri, ma anche letto più libri, visto più film, è andato a più mostre, perchè da ogni cosa esce un mondo che ti permette permettono poi di raccontare la musica o fare domande agli artisti quando li intervisti, che non siano quello che tutti potrebbero chiedere agli Psicologi o a Speranza. In questo io penso che il nostro ruolo non sia morto come non è morto peraltro anche quello del consigliori, perché tu entri su Spotify c’hai 70, 80 milioni di brani da sentire, che sento? Prima o poi qualcuno tornerà a chiederlo ad Assante. All’inizio di diverti, ti godi tutto, senti tutto, poi dopo un po’ ti rompi i coglioni perché scopri che 50% della roba non ti piace e che hai perso un sacco di tempo e quindi tornerà prima o poi la gente a fidarsi dei critici, o ad andare su Rockit.

C'è qualcosa che è cambiato in meglio?

Diciamo che il cambiamento bello e positivo è la possibilità di verifica: se ho ragione tu lo senti un secondo dopo, se ho torto tu lo senti un secondo dopo. Questo dovrebbe portare alla lunga a far morire una buona serie di cialtroni e far rimanere soltanto quelli che scrivono delle cose che valgano la pena di essere lette.

Anni fa i critici puri avevano una specie di snobismo verso i ragazzi: “Si stava meglio quando si stava peggio”. Ora mi paiono tanti quelli che fingano che gli piacciano per sembrare più giovani...

È assolutamente vero, ma è sempre stato così: come quelli che sentivano i dischi punk ma gli faceva schifo, ma parlavano di punk perché era fico parlarne, come quelli che facevano finta di parlare bene dei Duran Duran ma gli facevano schifo. C’è sempre stato. Anche perché esiste una quota di lavoro, quindi te ne devi occupare: se me ne devo occupare, perché parlarne male? Non li critico più di tanto, perché c’è una parte di lavoro che devi fare. A me non piace Elettra Lamborghini: vado e la intervisto uguale, ma non la maltratto. Perché la devo maltrattare?

C’è stata qualche sorpresa in questa analisi delle cose che non ti piacevano?

Io credo che uno dei pezzi più belli che ho scritto in vita mia è stata una recensione di un concerto di Marco Masini. Era all’apice del suo successo con Malinconoia. Io vado al concerto, ed era l’ultima cosa che avrei fatto quella sera, ma rimango sbalordito dal rapporto della gente con Masini. Perchè Masini non era i Duran Duran, non andavano da Masini perché era bello o per avere il suo poster, ma perché credevano totalmente nelle cose che cantava. Fu un’esperienza totale, il concetto di Malinconoia, un’idea geniale per quel momento… se ci pensi XXXTENTACION quello è: malinconoia. Quindi mi esercito e ragiono, provo a scrivere un pezzo spiegando ai lettori di Repubblica perché la gente impazziva con le fiammelle e le lacrime per uno che cantava Bella Stronza e Vaffanculo e quanta verità c’era dentro.

Con Gino Castaldo
Con Gino Castaldo

Dare una chiave di lettura a chi leggeva?

Io trovo che questo sia il lavoro vero di un critico o un giornalista musicale: c’è Elettra Lamborghini? Ha successo? Cerca de capì perché. Ora dirò la frase più criticabile se mondo: per l’ascoltatore non esiste musica commerciale, esiste per chi la fa. Io posso fare un pezzo di cui non me ne frega un cazzo solo per arrivare primo in classifica, ma chi la compra spende dei soldi e decide. Se uno spende dei soldi e decide di sentire Elettra Lamborghini ci deve essere un "cazzo di motivo". Il mio lavoro è scoprire qual è il "cazzo di motivo".

E qual è 'sto "cazzo di motivo"?

È praticamente il testo di Musica Leggerissima: tutta la musica ha un motivo per chi l’ascolta. Poi se ti senti Emma e piagni e io dico “cazzo ma perché piagne sentendo Emma?” E invece no, c’è sicuramente un "cazzo di motivo" per cui tu senti la Pausini e ti commuovi. Per me critico è incomprensibile? È un problema mio. Cioè, so’ io che sbaglio. Se non capisco perché la Pausini vende i milioni di copie è un problema mio. Le cose che magari vendono tanto che mi fanno schifo musicalmente, non le ascolterei mai, che ce faccio? Non mi devono piacere, devo capirle.

Con Gino Castaldo e Simona Molinari al Medimex
Con Gino Castaldo e Simona Molinari al Medimex

Così vi siete ammorbiditi guardando allo scenario attuale, cercando di comprenderlo meglio?

C’è stato nella prima fase un difetto da parte di molti che non hanno capito cosa stava succedendo, e quindi non puoi dire "mi fa schifo la Dark Polo Gang", non stai facendo il tuo mestiere, devi capire che cosa ha la Dark Polo Gang, perché piace. Non deve piacerti, a me non deve piacere tutto: ho i miei gusti, mi piace Brian Eno e arrivederci, via. Però quando scrivo i miei gusti non contano, nel senso che devo capire perché la Dark Polo Gang si e altri no. Perché se fosse vero che è tutto commerciale, io sarei miliardario, tutti farebbero quel mestiere, tutti scriverebbero hit di successo, perché vuol dire che c’è un modo, una regola, uno stile. E non è vero, perchè c'è un reggaeton che vende e uno no, quindi c’è un "cazzo di motivo" per cui quello ha venduto e quello no. E tu lo devi scoprire se no non sei bravo, non sai fare il mestiere tuo. Secondo me tutto è cambiato gli ultimi 4, 5 anni, dopo un’ondata di pura massa: tutti rapper, tutti trapper, tutti cantautori, tutti indie… ma vaffanculo. Adesso c’è un salto di qualità stratosferico: gli Psicologi non sono la Dark Polo Gang, sono molto di meglio e di più. Venerus ha fatto uno dei dischi più belli degli ultimi 10 anni. Ma come per lui mille altri, è vero che un sacco di roba ma ora c’è una qualità.

Ci stiamo stabilizzando e stanno rimanendo i migliori.

Com’è normale, com'è stato nel beat degli anni '60. Prima ondata: tutti a copià i Beatles e Dylan, poi sono arrivati 20 che erano i più bravi. Ora è finita la fase “faccio finta che mi piacciono perché dovrei essere giovanile” e c’è l’interesse per un sacco di roba vera. Che non è detto che duri, che superi un solo disco, non è detto niente. Ora è una rivoluzione. Chi non capisce che è una rivoluzione e che c’è una generazione nuova che sta dicendo roba completamente nuova in un modo completamente nuovo usando mezzi completamente nuovi… è un coglione: e ripeto, non mi deve piacere. Mi piace Beethoven, che cosa ci posso fa, posso fare un paragone tra Beethoven e gli Psicologi? Sei un coglione se lo fai. Sono cose diverse, tempi diversi e possono avere anche lo stesso impatto di Beethoven, perché il mondo per fortuna è così. Io credo che il complicatissimo mestiere di giornalista musicale sia questo. Scrivono in migliaia ma secondo me ce ne sono 10, quelli che fanno il mestiere così, che dovrebbe essere il modo giusto per farlo? E se lo dico io pare che mi sento Dio (ride). Io stamattina ho letto un pezzo bellissimo su Speranza su una webzine, un pezzo maiuscolo, e questa ragazza non so chi è, la cercherò: c’è gente che pensa, ragiona e scrive.

Alla mostra sui Queen al Medimex
Alla mostra sui Queen al Medimex

Qual è il parallelo, se c’è, tra quel giornalismo di carta e quello impalpabile che vivo io?

È cambiato completamente il modo di fare musica, venderla, distribuirla, pensarla? Deve cambiare radicalmente il modo di scrivere di musica. Io sono vecchio e scrivo alla maniera mia. È ovvio, mi aggiorno, il blog, la web-radio, i videolive con gli artisti, tutta la comunicazione contemporanea, però comunque lo faccio alla mia maniera naturalmente vecchia perchè io questo sono. Quello che non è ancora successo è la rivoluzione della critica musicale. Come posso adattare il mio linguaggio a una realtà diversa? Esattamente come i giornali di controcultura, che adattavano il medium giornale a una realtà completamente nuova. Non è ancora successo perchè i siti web c’erano già prima della rivoluzione musicale. Non è ancora successo con testate completamente nuove, che facciano onda, tendenza, peso, autorevolezza. Non parlo del modo di scrivere, ma della testata, qualcosa che faccia dire “io mi riconosco, mi identifico e lo compro”. Io andavo in giro facendo vedere che avevo comprato Ciao 2001, perchè faceva di me uno di quel tipo là, lo portavi in tasca e facevi vedere che giornale c’avevi.

Che poi il motivo per cui non ci sono più tante riviste.

Il giornale per leggere, approfondire, pensare attorno alla musica, no. Però tornerà, secondo me.

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L'articolo Ci dev'essere un "cazzo di motivo": l'intervista ritrovata a Ernesto Assante di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2024-03-07 13:01:00

COMMENTI (3)

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  • ClaudiaC49 giorni faRispondi

    Che bello…ci manca già moltissimo. Grazie per aver pubblicato queste sue parole.

  • joni7149 giorni faRispondi

    Grazie per questa intervista

  • contedrugula50 giorni faRispondi

    Ecco vabbè se vai in giro con Ciao 2001 e ti senti pure figo...capire perché piace la m o fare capire a chi gli piace che gli piace la m