Aucan - Aucan: lo Zen l'arte di spaccare il culo, 27-02-2011

L'intervista con gli Aucan la faccio lo stesso giorno in cui parte il tour di "Black Rainbow", il nuovo album. Siamo a Milano, al momento l'unica data italiana prevista. Poi Svizzera, Slovenia, Austria, Germania, Polonia, Belgio, Olanda e finalmente la Francia dove pare che siano più apprezzati che da noi. Al mio arrivo trovo Giovanni Ferliga e Francesco D'Abbraccio che discutono parlando al telefono di concerti e chilometri. Parleremo per quasi un'ora filata, gli argomenti: dubstep e misticismo, boschi e stati di trance, Zen e hype, Bloody Beetroots, Pamela Anderson, Zu e James Blake. Per chi ancora non l'avesse capito: gli Aucan spaccano i culi. Uno dei migliori gruppi scoperti negli ultimi anni.



Ci sono problemi con il tour?
Giovanni Ferliga: No, tutto tranquillo.

Curate ancora voi tutti i dettagli dei concerti?
G: Cerchiamo di essere consapevoli di ogni dettaglio, poi, ovvio, non potendo fare tutto da soli ci appoggiamo anche ad altre persone.

Da quando siete passati sotto l'agenzia Virus Concerti?
G: Dal tour con gli One Dimensional man.

E' andato...
G: ...bomba! Purtroppo non siamo riusciti a farlo tutto perché in mezzo c'è stata una settimana, dove eravamo? In Francia?
Francesco D'Abbraccio: Si, in Francia.

Siete sempre in Francia.
G: Si, pensa che per "Black Rainbow" avremo anche la copertina di Noise Mag, che è un po' il Blow Up francese. E' una cosa mega importante.

Come si ottiene una copertina così?
F: Abbiamo fatto diversi tour lì, ci conoscono bene. Julien (Fernandez, il proprietario dell'African Tape, l'etichetta che ha pubblicato "Black Rainbow" insieme a La Tempesta International e la Tannen Records, NdR) lavora in Europa, ma, ovviamente, essendo lui francese, ha sempre avuto un occhio di riguardo per la Francia. Poi suona negli Chevreuil, che per chi ascolta math-rock sono importantissimi, e in Francia il math va alla grande, a volte ti capita di entrare in un bar normale e invece di sentire la solita musica di sottofondo senti i Don Caballero (ride, NdA).

Lui abita sempre a Pescara?
G: Si, sta a Pescara.

Mentre voi continuate a vivere tra Mestre e Padova?
G: No a Brescia (calca l'accento bresciano, ride, NdA). Siamo tornati tutti e tre a casa. Io, in particolare, da pochi mesi.

E' un po' che mi parlano di Brescia come il nuovo paradiso per la musica italiana, tanti concerti, tanta gente che riempie i locali, è vero?
G: E' vero, c'è tanta roba, io non lo sapevo. Ieri eravamo a fare le ultime prove dello show al Vinile 45 e mi dicevano che negli ultimi quattro anni è davvero cambiato tutto. Ci sono molti più concerti, anche perché sono nati tanti gruppi. Se vuoi puoi uscire ogni sera, che per una città di 180.000 abitanti non è poco.

E com'è il pubblico bresciano nei vostri confronti?
F: Adesso molti parlano di noi come se avessimo fatto chissà che cosa...
G: ...si, credo che spesso la gente esageri, siamo ancora un gruppo piccolo in realtà.

Che tipo di risposta vi aspettavate da questo disco?
F: In realtà l'aspettiamo ancora. Questa sera c'è la prima data, non l'abbiamo mai suonato dal vivo e non sappiamo che tipo di reazione avrà il pubblico.
G: Anche perché abbiamo deciso di fare una cosa nuova, diversa. Avevamo la tentazione a lasciare tutto com'era, in fondo avevamo un live che funzionava già bene, bastava inserire i brani nuovi, invece abbiamo deciso di resettare tutto e ripartire da capo.

Quella di stasera è l'unica data italiana, domani partirete per il tour europeo. Spiegate a chi vi legge cosa si sta perdendo.
G: C'è un'introduzione diversa, c'è un'atmosfera molto... diversa. Gli spettacoli dello scorso tour partivano più... (con un pugno si colpisce il palmo dell'altra mano, NdA). Ora siamo più psichedelici.

Nella scorsa intervista, un anno fa, dicevate che il vostro concerto voleva quasi avvicinarsi ad un rito mistico.
G: E' ancora così, ce l'abbiamo sempre con il misticismo.

Si ma gli ultimi concerti che ho visto erano veri calci sui denti, qual è l'aspetto trascendentale di tutta questa violenza?
(Ridono, NdA).

Anche nel disco volevate mantenere questo tipo di aurea mistica ed evocativa?
G: Non saprei risponderti, è una domanda un po' troppo ampia...

Allora vi chiedo: volevate fare una una musica meno cerebrale, vero?
G: Questo è sicuro.

Beh, non vi è uscito un dischetto facile facile: ogni canzone ha mille dettagli nascosti, il suono sembra fatto a strati, campione su campione, non c'è mai un ritmo lineare...
G: Adesso vediamo se la gente sta ancora così (spalanca gli occhi e raddrizza la schiena, NdA) o se inizia a fare un po' così (ondeggia con la testa, NdA).
F: (ride, NdA).

Siete mai riusciti a far ballare qualcuno?
F: Sì, ad Eurosonic, in Olanda, tutta la gente ballava. Incredibile.
G: Esistono, se ci pensi, delle situazioni che combinano quelli che tu chiami "elementi evocativi" (flette le dita per sottolineare le virgolette attorno alla parola, NdA), con il ballo. Ad esempio i rave: è un fenomeno che ha sempre unito queste cose, sai, la musica elettronica, il bosco... Il ballo può aver a che fare con la trance, le dimensioni "altre" (flette nuovamente le dita, NdA).

video frame placeholder Bello il teaser che annunciava l'uscita del disco, di chi è stata l'idea?
G: Sua (indica Dario, NdA). Avevamo deciso di fare dieci giorni di pre-produzione in una casa in mezzo ai boschi a Massimeno, un paese del Trentino, giusto 70 abitanti, eravamo completamente isolati. Un giorno abbiamo deciso di andare a suonare nel bosco, siam saliti sul furgone e ci siamo spostati più su in montagna. Abbiamo iniziato a suonare e abbiamo registrato circa tre ore di improvvisazione con la chitarra acustica, ad un certo punto Dario ha preso dei bastoni e ha incominciato a muoversi come la scimmia di "2001 Odissea nello spazio". Da lì, il filmato. Erano giorni un po' particolari (ride, NdA).

Il bosco è un elemento che torna spesso nelle vostre foto, così come i cappucci delle felpe che quasi vi coprono il viso. Questo tipo di immaginario non inizia a starvi stretto?
G: Forse. Non penso sarà così in eterno. Come la musica che ha continuato a cambiare. Come dice sempre lui che è un grafico (indica Dario, NdA)...
Dario Darsenno: (ride, NdA).
G: ...noi seguiamo il paradigma del disorientamento. Non abbiamo loghi né un'estetica precisa, siamo noi.
F: Soprattutto a livello musicale. Una delle critiche che riceviamo più frequentemente, soprattutto in Francia, è che la nostra musica ha avuto un cambiamento evidente. Spesso ci chiedono se i nostri fan - come se fossero miliardi poi - hanno storto il naso per questo cambiamento. Per noi non è altro che un'evoluzione rispetto a quello che facevamo prima.

E come saranno gli Aucan del futuro?
G: E' un'evoluzione naturale. Non so quanto tu ne sappia di Zen: il punto, in sintesi, è non forzare nulla. Le cose di fanno da sole.

Sì, ma siete anche tre tecnici del suono. Immagino che in studio ogni frequenza venga calibrata al millimetro.
G: Ah, i suoni, quelli sì.
F: Sì, certo, quello è evidente. Ma, ad esempio, quando abbiamo fatto "DNA ep" non avevamo un'idea chiara di cosa sarebbe venuto fuori, e lo stesso è per "Black Rainbow".
G: Appunto, non sapevamo come sarebbe stato il finale di "Black Rainbow". Quando siamo partiti lo immaginavamo molto più scuro e più cattivo, più Black. Alla fine è diventato più Rainbow. Ma è stata la musica a portare noi a quel risultato, non il contrario.

Leggi la seconda parte

Si continua parlando dei Bloody Beetroots, di Pamela Anderson, degli Zu, di James Blake, di canzoni, di dubstep a 140 bpm, di film e di psichedelia.

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L'articolo Aucan - Aucan: lo Zen l'arte di spaccare il culo, 27-02-2011 di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2011-02-27 00:00:00

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