Baseball Gregg, un calendario digitale per superare le distanze

Luca vive a Bologna, Sam in California, eppure i due continuano a creare nuova musica e caricarla su Spotify. Da qui è nato il nuovo disco del duo, "Calendar", che già spopolare in Giappone

I Baseball Gregg in una foto stampa
I Baseball Gregg in una foto stampa

Baseball Gregg sono un duo nato a Bologna. Ma se Luca è di Sasso Marconi, Sam è di Stockton, California. Una storia a distanza che va avanti ormai da sei anni, fatta di estati spese tra studi di registrazione e date in giro per il modo. Dopo due album ufficiali, qualche EP, diverse date spese tra MI AMI, il SXSW e la California, il duo ha pubblicato a fine febbraio Calendar, una playlist costruita mese dopo mese che su Spotify ha già superato il mezzo milione di ascolti, rendendolo così uno dei progetti italiani indipendenti più noti all'estero. Come se non bastasse, dopo aver pubblicato un singolo al mese e aver poi riunito il tutto in un disco vero e proprio, il duo ha deciso di chiedere ai regaz, amici e persone incontrate durante l'ultimo anno, di scrivere un pensiero per ogni brano, e ne è nata una fanzine di cui si sta già preparando la seconda ristampa

Solitamente nei vostri dischi si respira sempre un certo senso di sospensione: sia in Vacation che nell'ultimo, Sleep, contraddistinto da una certa crepuscolarità. Questo disco l'avete costruito nel tempo e paradossalmente pare molto più "sul pezzo". Perché?

Luca: Come ci ha fatto notare il nostro amico Palla, della nostra etichetta italiana Barberia Records, sebbene spesso i temi di questo album siano tristi o malinconici, in generale è un disco molto solare e arioso, decisamente diverso dal nostro ultimo lavoro Sleep che era invece ambientato di notte. Credo che questa luce che si percepisce nell’album sia dovuta anche al fatto che tutti i brani nascano come singoli, li abbiamo pubblicati uno al mese, e quindi ognuno dovesse essere in qualche modo orecchiabile e catchy.
Sam: Per noi è stato divertente tentare questo nuovo approccio alla musica, cercando di essere più attenti al marketing, ma a questo punto penso che mi piacerebbe tornare a fare musica nel modo che facevamo prima. Non che sia cambiato molto in ciò che facevamo mentre facevamo musica, ma dopo un anno vorrei tornare a smettere di pensare a come rilasciare musica e concentrarmi solamente sul farla. 

I brani di Calendar erano tutti già scritti?


Luca: Alcuni erano già scritti, altri li abbiamo scritti durante l’anno. Ogni mese decidevamo che pezzo fare, di solito lo producevo e mixavo io, e attorno a metà mese lo mandavamo a Eli Wengrin, nostro amico da Sacramento che ha realizzato le 12 cover dei singoli e la copertina dell’album, e dopo qualche giorno eravamo già in grado di caricarlo su internet e iniziare con la promozione. L’ultimo giorno del mese usciva il brano, e già dal giorno dopo ricominciavamo a pensare a che brano fare, chi contattare. È stato fondamentale coinvolgere tanti artisti, sin da subito quello che avevamo in mente era più un mixtape che un album.
Sam: Collaborare con un sacco di gente è stata la cosa più bella. Mi piacerebbe proseguire su questa strada in futuro. Nell’approcciarci a questo progetto più come fosse un mixtape, il focalizzarsi su una canzone alla volta più che all’album intero abbia in qualche modo avuto un effetto su come le canzoni siano venute; penso che questo album sia più digeribile del nostro disco precedente, forse.

Ci tenevate molto a rendere chiari quali fossero i vostri riferimenti e le vostre ispirazioni, penso alle note lasciate da Sam per ogni singolo. Come mai questo bisogno?


Sam: Non è stata davvero una decisione conscia avere un approccio più narrativo, è semplicemente successo. I primi mesi le canzoni avevano dei background interessanti che volevamo legare alle canzoni, e prima che ce ne rendessimo conto eravamo già a metà anno e il ritmo dello scrivere una narrativa personale dietro ciascuna canzone aveva già preso piede. Alla fine dell’anno il progetto si è poi evoluto per diventare una sorta di diario multimediale, abbiamo cercato di documentare degli spaccati di vita quotidiana per raccontare la nostra vita del 2019.
Luca: Sam si è occupato di tutta la parte narrativa, tenendo il filo del discorso tra un brano e l’altro e creando una sorta di storytelling comune che fosse capace di tenere uniti brani anche molto distanti fra loro. Il progetto in un primo momento era nato come un album fatto di canzoni dedicate a nostri amici (di questo nucleo originario facevano parte brani come Powdered Sugar, Young, The Movies) e si è poi evoluto nel tempo in Calendar, cioè un racconto di come un viaggio di scoperta verso noi stessi abbia in realtà come destinazione la scoperta degli altri.
S: Quando parti con una progetto di narrazione autoreferenziale c’è sempre il rischio che si ripieghi su se stesso e diventi molto narcisistico. Abbiamo cercato di evitare ciò coinvolgendo più persone possibili. Inoltre, durante l’anno ho letto moltissimo Deleuze e Guattari: un capitolo in particolare che ho riletto spesso analizza come noi tutti esistiamo in un gruppo, prima ancora che come individui. Ho riflettuto molto su questo.

Com'è nata l'idea della fanzine?


Luca: Insieme a Barberia abbiamo pensato che sarebbe stato bello raccontare questo disco e questo anno attraverso gli scritti di Sam; l’idea partiva anche dal fatto che la musica oramai è liquida e spesso slegata da un supporto fisico, e un libro che avesse il formato quadrato di un 45 giri (misura 17 cm x 17 cm, ovvero un 7 pollici) era stata la prima intuizione avuta da Barberia. Abbiamo coinvolto gli amici che erano stati con noi durante l’anno e che ci avevano aiutato a realizzare l’album e abbiamo chiesto loro di realizzare dei contributi (foto, poesie, racconti, collage, disegni), che sono poi stati inseriti all’interno del libro.
Sam: Mentre facevamo questo disco abbiamo cercato - come detto - di coinvolgere più persone possibile: durante l’anno abbiamo conosciuto un sacco di persone che non avevano direttamente contribuito alle canzoni del disco ma hanno influenzato il nostro modo di vivere. Quindi volevamo includere anche la loro prospettiva nel progetto.

Ci fate qualche esempio di questo lavoro collettivo?

Quando abbiamo pubblicato il singolo di Febbraio, Waiting - una canzone che parla di un uomo che prima di morire vuole tornare a vedere uno scoglio per l’ultimo volta, un episodio che peraltro mi è realmente successo quando andavo all’università - e abbiamo condiviso la storia del brano su Internet, una persona che conoscevo a malapena, perché vive a Stockton, ci scrisse su Instagram dicendo che aveva avuto una storia molto simile nella sua famiglia e che ascoltare la nostra canzone le aveva tirato fuori alcune vecchie emozioni. Quando abbiamo deciso di fare la fanzine, le abbiamo chiesto di includere anche la sua storia nel capitolo dedicato a febbraio: penso che mostri bene come una canzone possa avere diversi significati per diverse persone, e la sua storia offre una narrativa diversa alla stessa storia.

Qual è la cosa più complicata di avere una band divisa tra due continenti? Si viaggia tanto?


Sam
: Sì.
Luca: Riusciamo a vederci tutte le estati anche grazie al fatto che Sam lavori ogni luglio a Hong Kong come insegnante alla Johns Hopkins, per cui riesce a fare scalo in Italia per un mesetto ogni anno durante il viaggio di ritorno. Ciò ha indubbiamente aiutato a far sì che la band sia andata avanti.

L'ultima volta che vi siete visti?


Sam: A novembre ci siamo incontrati in Islanda per suonare a un festival: ho preso un volo dalla California per rimanere in Islanda meno di 40 ore; il volo di ritorno è stato cancellato per il maltempo e ci sono voluti due giorni e mezzo per tornare a casa. Tutto questo per suonare un solo concerto. 
Luca: Però il concerto è stato bellissimo!
Sam: Sì, ne è valsa decisamente la pena.

Come ci si sente a essere più famosi all'estero che in Italia?


Sam: Penso che siamo più famosi in Italia, ma per me questo significa essere più famosi all’estero.
Luca: Nemo propheta in patria, d’altronde.
Sam: Scusa, non parlo francese.
Luca: (ride, ndr)

I vostri numeri su Spotify, però, sono davvero ottimi. 


Sam: I numeri di Internet che vedi in realtà sono diffusi ovunque, come della marmellata sul toast: non sono abbondanti da nessuna parte. Non c’è una vera concentrazione di ascoltatori in nessun paese. È difficile dire di essere più famosi da una parte o dall'altra, anche perché di fatto non siamo famosi affatto, grazie a internet sentiamo però l’affetto dei nostri ascoltatori che arriva da varie parti del mondo.
Luca: Questo è lo svantaggio e allo stesso tempo il vantaggio di vivere come band in quel non luogo che è Internet: non siamo né italiani né statunitensi, ma in Corea del Sud - per esempio - andiamo forte nei video tutorial makeup (ride, ndr). Una nostra fan vive in un luogo sperduto dell’Iran e parlando con Filip della nostra etichetta slovacca Z Tapes l’altro giorno ci raccontava che abbiamo venduto molte più cassette in Giappone che in Italia per il nostro ultimo album.

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L'articolo Baseball Gregg, un calendario digitale per superare le distanze di Raffaele Lauretti è apparso su Rockit.it il 2020-03-06 10:05:00

Tag: album

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