L'impresa “suicida” della Beltempo Records: un'etichetta indie di musica classica

“Se noi siamo così pazzi da stampare dischi è perché sappiamo che ci sono dei pazzi che ancora sono disposti a comprarli, se sono ben fatti!”

beltempo records, etichetta diy di musica classica
beltempo records, etichetta diy di musica classica
10/02/2017 - 09:41 Scritto da Pietro Raimondi

La musica classica non è per tutti. Non è vero, però è la convinzione più diffusa quando si parla di questo genere: sembra quasi che per ascoltarla ci sia bisogno di studiare, quando non è assolutamente così. "Per amare la montagna non bisogna essere geologi", ci racconta Stefano Cristi (fondatore della label insieme a Eloi Fuguet), "lo sforzo di attenzione che richiede la classica non è superiore a quello che richiede l’ascolto di un disco dei Radiohead".
Quindi, se si può aprire un'etichetta totalmente indie e DIY per produrre musica rock o pop, si può fare altrettanto con la musica classica, e rivolgersi ad un pubblico che normalmente non si avvicinerebbe a questo genere di musica.

L'idea è senza dubbio interessante, e la modalità in cui la Beltempo Records ha deciso di operare è più unica che rara: un solo disco all'anno, per permettere ai musicisti l'assoluta libertà espressiva senza che debbano preoccuparsi delle spese, della comunicazione, del booking e di tutto il resto. Un prodotto fatto a mano e curato fino ai minimi dettagli. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Cristi per farci raccontare meglio la filosofia di questa particolarissima etichetta.

 

Come vi siete avvicinati alla musica classica?
Sia io che Eloi, il mio amico e socio in questa avventura discografica, lavoriamo a Barcellona nel mondo della classica da dieci anni. I nostri gusti e la nostra formazione non potrebbero essere più diversi: lui è uno specialista di musica antica e insegna flauto al conservatorio, io ho un’agenzia di interpreti di classica ma suono anche il sax con i Wolther Goes Stranger, gruppo elettro-pop dell’appenino modenese; eppure, nonostante l’apparente distanza di vedute, abbiamo una grande considerazione l’uno dei gusti dell’altro e avevamo voglia di collaborare in un progetto interamente nostro. Ovviamente, come tutte le cose buone, questa idea è nata davanti ad abbondanti calici di vino...

C’è qualcosa di molto punk nel vostro modo di vedere e proporre la classica. Nell’ambiente, è facile trovare gente che la pensa così o sono più gli addetti ai lavori che storcono il naso?
Effettivamente questo ambiente è bloccato su una mentalità e un mondo che non esistono più, quello della discografia da grandi numeri. Ora tutti hanno la possibilità di produrre dischi ma nessuno li compra più. Per questo le grandi etichette giocano sul sicuro e i dischi di classica hanno tutti lo stesso tipo di suono, anche lo stesso aspetto. Sono prodotti tecnicamente perfetti e un po’ impersonali. Noi vogliamo far sentire la brutalità del suono reale, la fisica del suono, lo sfregare delle corde, il respiro dei musicisti, il legno che scricchiola.
Abbiamo scritto un manifesto che si può leggere sul CD, nel quale ci impegnamo a registrare fuori dagli studi di registrazione, a carpire l’acustica reale della sala dove registriamo (in questo caso la sala centrale del Museo Europeo di Arte Moderno di Barcellona, un luogo magnifico!). Non ci sono effetti digitali, né tagli o correzioni. Per “The museum is closed” abbiamo registrato tutto in un’unica sessione fiume di un giorno, il 26 di settembre, e sul disco è indicata per ogni traccia la take che abbiamo scelto. Questa è una cosa che non ho mai visto fare nella classica! E significa anche che si possono mantenere delle piccole imperfezioni, se la versione è quella buona. Il giorno che abbiamo registrato, per esempio, c’era un cantiere aperto nell’edificio davanti al museo e in effetti alla fine di uno dei movimenti, si sente una betoniera in lontananza. Non ci sta neanche male. Se questo è punk, che sia benvenuto!

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C’è anche un tentativo didattico in Beltempo Records: introdurre alla classica persone che potrebbero dimostrare interesse ma che non si sono ancora avvicinate. Possiamo parlare di "The museum is closed" (il primo disco di Beltempo Records) come di una specie di “Musica classica for dummies”?
Ahaha, non male questa definizione! In realtà non vogliamo essere didattici, non proponiamo spiegazioni né testi critici. Per chi volesse approfondire le vite degli compositori, Wikipedia è un buon inizio e vi assicuro che quella gente era davvero punk! Noi vogliamo solo far arrivare questa musica a chi sa ascoltare. La classica spaventa, molta gente crede di non poterla capire senza anni di studi. In realtà questa musica è bella in sé e lo sforzo di attenzione che richiede non è superiore a quello che richiede l’ascolto di un disco dei Radiohead, per fare un esempio, o uno di Coltrane. Per amare la montagna non occorre essere geologi. Poi se ti appassioni e vuoi approfondire, puoi solo godere di piú.

Anche il ruolo degli interpreti sembra diverso dal solito, il modo che avete di presentare la sensibilità di ciascun musicista su dei brani classici ricorda più i jazzisti che hanno a che fare con gli standard, forse perché la “gente comune” in genere dice “sto ascoltando Schubert” e non “sto ascoltando X che suona Schubert”. La classica, invece che cercare inediti, deve ricordarsi di essere già stata scritta?
Proprio così, la classica è musica di interpretazione. Nella maggior parte dei casi è stata scritta per essere suonata da altri e si rinnova continuamente: è la sua forza, è sempre contemporanea e non c’è mai una versione definitiva. In questo la musica classica è molto vicina al teatro. Per questo in “The museum is closed” non sentiamo Schumann o Brahms, ma le unterBlumen che li interpretano. Devo dire che Anna e Nora sono state davvero fantastiche: non tutti i musicisti accetterebbero di registrare un disco sapendo che non potranno fare tagli e correzioni. È come togliere la rete da sotto al funambolo: la tensione si moltiplica per mille e la partecipazione del pubblico è molto più viva. Questa tensione si nota in tutto il disco.

Detto ciò la domanda più materialista: ma voi cosa ci guadagnate a scommettere così massicciamente su musica che, per sua natura, non potrà sfondare? Nelle indipendenti di musica rock è difficile trovare qualcuno che paghi tutte le spese di un disco...
Sì, dubito che diventeremo ricchi grazie a questa iniziativa... Il punto è che volevamo fare le cose a modo nostro e cioè nella migliore maniera possibile. Ci piace andare da un musicista e dire: “amiamo quello che fai e vogliamo investire su di te. Tu devi solo suonare e noi facciamo tutto il resto”. Detto così sembra il gatto e la volpe di Bennato, ma in realtà sappiamo tutti che questa dovrebbe essere la normalità. Sia Eloi che io siamo musicisti e conosciamo il valore di chi si dedica alla musica. Oltretutto ci sono dei giovani musicisti classici, come Anna e Nora, che meritano questo e anche di più e non hanno un mondo discografico a cui riferirsi. A meno che non vogliano pagare tutto di tasca loro...
Ti dirò di più: noi facciamo anche in modo che i nostri musicisti guadagnino denaro dalla nostra collaborazione: gli organizziamo il tour di presentazione del disco, gli curiamo la comunicazione e gli riconosciamo una parte delle vendite dei dischi. Per questo per il momento ci possiamo permettere di produrre un disco all’anno. Però è un buon formato, come per le serie TV: se ti è piaciuto il primo disco, fra un anno ti sorprenderemo con il secondo!

Cosa ne pensate delle varie sotto-etichette neoclassiche che stanno nascendo e del loro modo di proporre l’immaginario classico in opere definitivamente diverse? (Penso a INRI Classica, con DiMaio o a !7K (sub-label di !K7 che sta pubblicando Luca D’Alberto)
Quelle che citi sono appunto etichette di neoclassica, è un genere diverso da quello che facciamo noi: la nostra è classica pura e dura. Solo che è prodotta come si producevano i dischi di jazz della Impulse! negli anni ’60... non vorrei peccare di presunzione scomodando questi mostri sacri, ma nell’attualità non è facile trovare altri esempi simili alla nostra esperienza.

Su che canali avete intenzione di promuovere le produzioni di Beltempo? In ambienti specializzati nella musica classica, o anche su webzine che si occupano più generalmente di musica?
Siamo su tutte le piattaforme digitali, ma non abbiamo una vera distribuzione fisica: vendiamo sulla nostra pagina web beltemporecords.com (COMPRATELO!), in qualche libreria specializzata di Barcellona e di Madrid e soprattutto durante i concerti: in questo siamo davvero indie... Vogliamo raccontare la nostra idea di produzione, vogliamo far capire che chi compra il nostro disco ci permette di lavorare al prossimo. Per fare questo stiamo cercando di farci conoscere su ogni mezzo, dalle riviste specializzate in musica classica a quelle più alternative. A dire il vero, essere su Rockit con un disco di classica per me è già un’enorme soddisfazione.
Credo che il nostro pubblico di riferimento sia il pubblico dei festival rock, o chi si fa 100 km per andare a sentire un gruppo semisconosciuto in un locale di provincia che ce la mette tutta per fare una programmazione di qualità. Se noi siamo così pazzi da stampare dischi è perché sappiamo che ci sono dei pazzi che ancora sono disposti a comprarli, se sono ben fatti!

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L'articolo L'impresa “suicida” della Beltempo Records: un'etichetta indie di musica classica di Pietro Raimondi è apparso su Rockit.it il 2017-02-10 09:41:00

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