È stata la mano di Dani

C’è un pezzo che rappresenta questa stagione incredibile (per musica, cinema e calcio) di Napoli. È “Primmavera” dei Bravodemian, band alt rock del cantante Dani Rienzo. Lui e l’attore del video del brano, Filippo Scotti, il Fabietto di "È stata la mano di Dio", ci raccontano questa joint venture

Dani Rienzo dei Bravodemian
Dani Rienzo dei Bravodemian
22/03/2023 - 10:30 Scritto da Marco Mm Mennillo

Da un po’ Napoli viene raccontata sotto una nuova luce, con un nuovo splendore e un immaginario più urbano, moderno, ma che mantiene dentro sé tutta la tradizione popolare. Questa nuova Partenope trova il suo riflesso culturale nella musica, al cinema e anche nello sport (incrociando le dita, visto che la scaramanzia non si può abbandonare manco con 19 punti di vantaggio sulla seconda in classifica). Tra i film che hanno segnato questa ritrovata immagine della città, c’è senza dubbio È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, con una Napoli degli anni ’80 bellissima, scintillante, colma di arte e di speranza verso il futuro e tutta la pacifica malinconia a cui Sorrentino ci ha abituati. C’è lo sport, con l’imminente arrivo di Maradona, c’è la musica, con Pino Daniele sul finale, e c’è il cinema, con Antonio Capuano ad ispirare il mini-me di Sorrentino, Fabietto Schisa. Ad interpretarlo era Filippo Scotti, tra le più belle rivelazioni del nuovo cinema italiano.

Ritroviamo Filippo Scotti nel lungo e bellissimo videoclip di Primmavera, canzone manifesto del nuovo album dei Bravodemian, Intro per G. La clip è un’onirica opera di luci forti e colori luminosissimi, solitudini e paesaggi, per la regia di Mino Capuano, realizzata tra Baia, Cuma e Sabaudia, con tantissima natura e ancor più cuore, con immagini che sembrano arrivare da un altro pianeta tremendamente simile al nostro, ma che non abbiamo ancora rovinato.

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Ho avuto la possibilità di dialogare con Dani Rienzo, chitarra e voce solista della band e proprio con il protagonista del video e “faccia” di una Napoli talentuosa e speranzosa, Filippo Scotti. Più che un’intervista, una chiacchiera dove le domande non le ho fatte solo io, ma spunti e riflessioni sono partite anche da Daniele e Filippo, appunto, come una chiacchierata tra amici.

Vi conoscevate da prima della grande popolarità di Filippo?

Dani: Ovviamente è nata soltanto per opportunismo: volevo approfittarmi di lui come attore famosissimo. Gli ho scritto “Dickpic?”, lui ha detto si, e ci siamo conosciuti. (Ride, ndr). No, è stato divertente perché mi scocciavo di conoscerlo. Abitavo a Parigi, lavoravo in un bar, e c’era questa mia amica che voleva presentarmi per forza “questo ragazzino di Napoli che vuole fare l’attore”. Io che ho fatto anche il centro sperimentale ho pensato “Uà no, che palle, questi attori”. Poi ci siamo presentati e io mi sono innamorato, quegli incontri in cui…

Filippo: …in cui ti conosci già.

Dani: Quelle serate lunghissime con estrema naturalezza. Andammo al Petit Palace, a parlare di tutto, da stronzate minuscole a cose enormi.

Filippo: Era due anni prima del film di Sorrentino, era settembre 2019, ci siamo conosciuti così, in maniera casuale.

Dani: Sì, nell’anonimato.

…e non è bellissimo che dopo È stata la mano di Dio Filippo continui a risponderti al telefono?

Dani: Ma ringrazia che io ancora rispondo a lui!

Filippo: Mettiamo le cose in chiaro!

Ho difficoltà a restare serio, ho capito che cadremo nel cazzeggio tra 4 secondi.

Filippo: Si, entriamo in un dedalo di cazzeggio.

Dani: Aspè, cerco su internet che vuol dire dedalo…

C’è un racconto di Napoli più ampio. Musicalmente si è allargato il campo con altri generi e una nuova wave, ma anche al cinema, con autori nuovi e prodotti che si spostano sia dalla cartolina classica che dalla città gangsta. Ne avete percezione nei vostri campi?

Dani: Io sono stato parecchio in giro per l’Europa prima di tornare in Italia, durante la pandemia. Credo che Napoli sia una grande città, ma non lo dico da napoletano, perché da napoletano l’ho lasciata a 18 anni odiandola: sono di Soccavo, c’era troppa malavita, i morti uccisi per strada, non l’ho mai accettato. Me ne andai contrariato, ma viaggiando ho conosciuto tanto Napoli da fuori, più che standoci dentro. Napoli è una culla culturale, artistica, piena di cose che convergono permettendole di essere all’avanguardia, nonostante un paese che non permette l’avanguardia, specie dal punto di vista musicale.

Bravodemian live a Roma
Bravodemian live a Roma

Com’è l’arte a Napoli adesso?

Dani: Secondo me la musica è l’avanguardia artistica, e quella che gira a Napoli, è sempre stata musica di distacco, per la difficile comprensione, ma anche perché piena di cultura. E la cultura sta cambiando, stanno cambiando le sonorità, le possibilità di creare i suoni e fa capire che andiamo in un’altra direzione, dove il suono può essere ricercato. Napoli è libera, non se ne fotte un cazzo, è una città punk, non per fichetti. Quello che rende forte il patrimonio artistico di Napoli è fottersene un po’ di come verranno fuori le cose, ma buttarle fuori.

Filippo: Io non mi sento attaccato a Napoli, è una città che per alcuni anni mi ha saputo dare tanto ma ho deciso di spostarmi perché mi sono accorto che non poteva darmi di più. È interessante che venissero fuori prodotti sulla malavita, la camorra, come se si potesse raccontare solo quello, anche se la città non è solo quello e ci tengo a sottolinearlo. Questa natura punk permette alla città di essere autonoma, e questa libertà è particolare perché non è facile gestirla. La libertà ha bisogno di una bussola, e credo che ci siano tante realtà nella scena musicale, cinematografica, ad avere questo ruolo.

Se siete andati via, qual è un buon motivo per restare a Napoli?

Filippo: Mio padre ha incontrato un ragazzo torinese, laureato in filosofia, che si è trasferito a Napoli, e gli ha chiesto: “Perché ti sei trasferito a Napoli?”. E lui ha risposto: “Perché Napoli è l’unica città che produce ancora filosofia”. Questa cosa mi ha fatto pensare: con i limiti enormi di Napoli, con tutto il disordine… essendo una città completamente libera il disordine è normale, ci si può aspettare di tutto da una città così. Sono sempre uscite cose interessanti da Napoli, perché con la sua autonomia unica, può solo sorprendere. Napoli non ha mai ceduto…

Dani: Napoli non ha mai ceduto perché si è sempre arresa! SI è lasciata comandare perché nessuno vuole fare il re. Se uno qua vuole fare il re è ‘nu scemo, non c’è la cultura del comando, a Napoli.

Filippo: C’è la protezione, ma non il comando. Pensiamo alle quattro giornate: i tedeschi non so’ entrati.

Dani: Perché si sono scontrati con una comunità, con il popolo! Questo è rivoluzionario!

Questo senso di comunità è anche nel video. 

Dani: È proprio il senso comunitario del nostro videoclip. Non è solo un video della band: abbiamo deciso insieme, con Filippo, Mino Capuano, abbiamo lavorato insieme, senza gerarchia, in parità totale. Lo trovo bello a livello culturale: accettare che non ci sia un capo ma ascoltarsi tutti. Come succede ai thrucollected: sono troppo belli, sono tantissimi e si fanno forza a vicenda stimando l’altro. Sono indipendenti, non accettano etichette e si gestiscono. Dobbiamo essere fieri in quanto napoletani, perchè ci vuole coraggio per gestire qualcosa senza farlo gestire a qualcun altro.

Parlavamo di anarchia: sette minuti di canzone che sembra una suite, un po’ in napoletano, un po’ in inglese, anche questo è rivoluzionario. Com’è nata la forma canzone di Primmavera?

Dani: Abbiamo usato una regola non scritta, copiata dai Beatles. Non so se hai visto Get Back. Arriva John Lennon sfasteriato (scocciato, ndr) e provano Don’t Let Me Down. La provano, finisce e dicono: “Quanto dura?". Dura tanto, “...ma sembrava un minuto e mezzo! Allora registriamola, funziona”. Con Primmavera è successa la stessa cosa: abbiamo suonato in totale libertà, e ci siamo resi conto che durava 7 minuti ma sembrava volare, c’era qualcosa di magico. Non abbiamo tagliato niente e l’abbiamo lasciata così.

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È così anche per il resto di Intro per G?

Dani: Tutto il disco è un lingotto d’oro, è un concept e ci sono pezzi sperimentali strani e fastidiosi, ci sono tracce lunghe e strumentali. Abbiamo seguito la regola “se funziona per noi la pubblichiamo”. Con il rischio di non farla arrivare a Tik Tok, ai giornali, a nessuno. Sulla durata di Primmavera mi hanno detto: “Sei pazzo, che ci vuoi fa?". E ho risposto: “Le canzoni camminano sulle loro gambe”, come dice Bob Dylan. Non ho scelto io, ha scelto la canzone. Partendo dalle strutture pop dei Beatles, i Pink Floyd, e un buon equilibrio tra fare il cazzo che ti pare e cercare delle chiavi pop generose che possano far entrare l’ascoltatore in quella situazione e quella sonorità, dando qualcosa in più a chi vorrà ascoltarla.

Anche le immagini del video, sembrano un pianeta parallelo, Filippo, come ti sei trovato a muoverti in questo pianeta?

Filippo: Non ho fatto un grande sforzo, perché conoscendo bene Dani, abbiamo fatto un salto consapevole. La cosa che mi ha legato di più al progetto è stato l’inizio del videoclip. Il viaggio per Sabaudia, e ho iniziato le riprese proprio con un salto, un tuffo, a mare con tutti i vestiti. Uno shock bellissimo, ma inaspettato, molto vero. Subito dopo siamo stati insieme sulla spiaggia e là ho sentito di stare facendo qualcosa col cuore. Non mi sono fatto domande, è stato come quando ho ascoltato Primmavera la prima volta. Non senti i 7 minuti perché c’è un gancio che ti trascina, ti porta dentro e ti senti a casa. Cos’è? Non lo so. Mi preoccupo? No. Mi sta dando delle cose. Dani mi scrive, mi chiede “vogliamo fare questa cosa?”. E io dico: “Sì”.

Dani: Con immenso scuorno, perché Filippo era appena tornato dagli Oscar e gli faccio: “Filì, lo so che sei appena stato agli Oscar, ma vuoi fare ‘sto fatto?”. E mi ha risposto: “Frà, ma che me ne fotte che sono stato agli oscar, facciamolo”.

Filippo: Ma perché dobbiamo parlare del fatto che la canzone duri 7 minuti, ma perché? Viviamo in un mondo frenetico, 15 secondi ogni story… ma che ne dobbiamo fare del nostro tempo? Primmavera in due giorni di riprese mi ha dato la possibilità di staccare e attaccare: staccare l’inutilità e attaccare qualcosa di complesso, che ha bisogno di pazienza, e questa operazione se fatta con persone che ci mettono il cuore diventa facile.

Quello del video di Primmavera, non è solo un pianeta parallelo, ma sembra quasi disabitato, non toccato dalla mano dell’uomo.

Dani: Spero che il progetto riesca a sensibilizzare le persone sul rapporto e il rispetto verso la natura, entrarci in contatto. L’embrione è quello. Quello che la musica è chiamata a fare in questo momento storico, come diceva John Cage, è prendere dalla natura ed imitarla, ed è quello che vogliamo fare. Perchè dobbiamo assolutamente sensibilizzarci sull’argomento.

Visto che Filippo si è sentito a casa in Primmavera, ci sono canzoni lunghissime in cui vi sentite a casa?

Dani: Io amo le canzoni lunghe, che ti danno il tempo e il privilegio di entrarci dentro e farti un viaggetto. Le prime due che io abbia amato sono When the Music’s Over e The End dei Doors, ma poi è arrivata Astronomy Domine dei Pink Floyd, una versione lunga di Hallelujah di Jeff Buckley, il medley ragga dei 99 Posse, dieci minuti di panico. Io amo le canzoni che hanno senso di esistere in quel tempo lì, sono piccoli cortometraggi, ti danno modo, oltre che di ascoltare gli strumenti, di ascoltarti, ed è quello che speriamo di fare con la nostra musica: lasciare il tempo alle persone di ascoltarsi, perchè andiamo troppo di fretta.

Filippo: Io mi perdo felicemente in due pezzi di Flavien Berger, come Ocean Rouge, che ti dà proprio la possibilità di adattarti all’inizio e poi sguazzarci dentro con serenità, ma anche 999999999.

Altra immagine del live dei Bravodemian
Altra immagine del live dei Bravodemian

È anche coraggioso fare un video di sette minuti quando la discografia si sposta verso contenuti visivi astratti, visual più che videoclip veri, mentre voi vi siete impegnati per un prodotto quasi cinematografico, creando un immaginario e senza grandissimi budget.

Dani: Non ci siamo posti il problema. Ci piaceva stare insieme: partiamo in macchina e andiamo. Come asciughiamo i panni bagnati di Filippo? Li mettiamo fuori dal finestrino. Sono ancora sgualciti? Li bagno io con lo spruzzino. Non c’è stata programmazione. Sono grato di cosa accadrà alla canzone, perchè volevamo fare una cosa bella che accomunasse le arti di tutti noi, una prova di amicizia tra noi. Ci abbiamo messo un anno a scriverlo, pensarlo, girarlo, montarlo, abbiamo avuto dei tempi umani. E abbiamo girato solo un giorno e mezzo senza dormire: è un miracolo che esista un video di sette minuti girato in così poco tempo. Tutto quello che è venuto e verrà dopo quei giorni bellissimi è un regalo perchè bastavano già quelli. Abbiamo fatto quello che ci veniva naturale, a Filippo recitare, a noi suonare, a Mino, che è un regista della madonna, girare con la sua delicatezza e i dettagli, la ricerca, l’amore per il cinema giapponese, l’attenzione per le piccole cose.

Filippo: E soprattutto questa cosa di ritrovarci in sei, a girare in poco tempo ma ci siamo ascoltati, ci siamo seguiti. È un esempio importante per chi vuole fare le cose e crede di non avere gli strumenti, non è così! Noi avevamo un’idea ma l’impostazione e stata semplice. Un mio amico ha incontrato Abel Ferrara e gli ha chiesto “un consiglio per iniziare?” E lui ha risposto “ma avete questi telefoni ipertecnologici, hai un’idea? Falla” Se hai un’idea, come viene viene, ma intanto fai!

Dani: L’idea è gratis, non servono fondi. La telecamerina analogica con cui abbiamo girato in tape è stata comprata a Londra con 35 pound: due birrette te le sparagni e te la compri.

Filippo: Ci andava di stare in una bolla per tot ore. C’è stata una volontà: volevamo farlo e l’abbiamo fatto. Il tempo è importante perchè se ne hai poco… lo fai comunque, ma con poco tempo.
Dani: Eravamo schiattati!

Filippo: Schiattati ma felici!

Dani, hai sentito la differenza tra il Filippo pre e post Mano di dio? Nessun timore reverenziale? E non hai mai avuto il crash mentale del personaggio Fabietto e dell'amico Filippo?

Dani: È un discorso che ho fatto con Filippo nel nome del bene che ci vogliamo: avevo paura di cambiare, con lui, dopo la fama. Pensandoci intensamente, la risposta è no. Non l’ho mai visto niente di Fabietto in Filippo, sono diversi, ho pensato solo “che bel lavoro che ha fatto Fil”. La fama è una brutta cosa perchè diventa un velo davanti alle persone che non permette al pubblico di vederle davvero. Non mi piace mettere le persone sul piedistallo. Parliamo di noi, rispetto ai nostri lavori, è molto bello, vero e raro. Siamo persone, e le persone vengono prima dei personaggi. Il lavoro è lavoro, ma l’amicizia è un’altra cosa. Poi magari si fondono ed escono fuori fatti belli come questo videoclip.

Filippo: La fama può togliere la fame e non c’è cosa peggiore. La fame bella, che ti nasce quando devi fare un provino e vuoi raccontare una storia. Spesso invece può venire soppressa da una nube di inutilità, molto complessa, perché quando ti ritrovi a sguazzare nel nulla te ne accorgi dopo, quando fai un esame di coscienza e ti accorgi che la tua fame è cambiata. Io e Dani non abbiamo avuto questo problema, forse non ne abbiamo nemmeno mai parlato del film di Sorrentino.

Bravodemian dinamici
Bravodemian dinamici

Essendo Fabietto Schisa un personaggio iconico, ci ho messo un po’ a staccare il suo volto da te. Ci ho pensato durante il monologo a Sanremo con Mengoni, in cui ancora lo intravedevo, e anche la prima volta che ho visto il videoclip di Primmavera. Tu, Filippo, ti sei mai perso la tua identità dopo aver fatto un film così importante? Hai mai avuto paura di essere cambiato?

Filippo: Ci ho pensato e pensandoci mi sono perso, ma tra me e me. Perchè ci sono contesti diversi in cui ti trovi a vivere, ma sono gli altri che cambiano rispetto a te, credendo che tu fossi cambiato, ma no. Preferisco non pensare alla percezione che hanno gli altri di me. Faccio le cose con il cuore e con l’interesse, e come diciamo a Napoli, dove c’è gusto non c’è perdenza. Ma dove ci sono gli amici ci sono dei porti sicuri, o dei porti insicuri che diventano sicuri.

E invece hai la percezione del fatto che molti vedono il tuo volto e È Stata La Mano di Dio come inizio di un movimento della città che la porterà allo Scude…

Filippo: NO! NO! NO! NON SI DICE, NON SI DICE!
Dani: Oh, frà, ma stai fuori? Ma bell’è buono te ne esci così, parlando di questa cosa? Non si fa…

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L'articolo È stata la mano di Dani di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2023-03-22 10:30:00

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