Sarà un caso. Pure se, dati alla mano, è facile ipotizzare il contrario. Nell'anno che sta ufficialmente incoronando il ritorno di parte della vecchia scena punk di casa nostra, quella - per capirci - fatta da ragazzi nel giro da vent'anni (potrei citare Gli Ultimi, Plakkaggio HC, Madbeat, Call The Cops, Klasse Kriminale e gli altri che avrete trovato nelle pool a tema di fine anno), succede che torni in pista la filippica su cosa sia punk, cosa no, chi sia più punk di chi e chi non lo sia affatto. Bene, da buon rompipalle sarei tentato di rispondere alla querelle con un'altra querelle (per esempio: ma che problemi avete?) ma, dal momento che sono anche un vorace amante dei libri, sono convinto che basterebbe vedere le foto acromatiche del volume Atlantide per avere un'immagine del punk in Italia e della sua genealogia negli ultimi vent'anni più chiara, seria e istruttiva di quanto facciano le discussioni “colte” su chi sa quale social. A patto di sapere coglierne l'anima, l'ethos cristallino e il cuore, senza paraocchi.
Quando ho accennato su un noto gruppo punk di questo articolo, mi sono reso conto della grana in cui mi stavo cacciando: nonostante il loro party di presentazione a Milano del prossimo 15 aprile sia sold-out da una vita e necessiterà di un tour per accontentare gli esclusi, Il fuoco non si è spento (Demons Run Amok, 2021) sia per molti il disco punk rock più bello uscito in Italia negli ultimi dieci anni e sia già in seconda ristampa nel formato vinile, con mia grande sorpresa, le risposte che mi sono arrivate per prime hanno palesato l'esistenza di una frangia di pubblico che non considera i Bull Brigade abbastanza punk e un'altra, antitetica ma similare, che non considera invece Rockit degno di ospitare i Bull Brigade e io di intervistarli.
Una cosa talmente assurda e insensata che la rimugino per giorni e mi tolgo subito il dente con Eugy che dei torinesi è la voce dal lontano 2006. “Dal giorno zero - mi risponde consapevolmente sereno - abbiamo sempre dato poca importanza a questo genere di considerazioni : è sempre gente che esiste solo per prendere una posizione su ciò che fanno gli altri, mai per provare a spendersi in prima persona. Allora dico che bisognerebbe capire cosa abbiano mai fatto questi opinionisti per migliorare il giro punk qualitativamente, ma si finisce col perdere solo tempo, quindi...”.
Del resto, se da un lato sul nuovo album compaiono almeno tre collaborazioni degne di nota (con Roddy Moreno degli The Oppressed, con Samall dei Danny Trejo e dei furono Slander e con Fabio Valente degli Arsenico) a ribadire un supposto pedigree a cui qualcuno sembra badare ancora molto, lasciando intuire quanto il loro giro di contatti sia rimasto intonso e trasversale così come la stima reciproca con altri musicisti (“Esattamente! Si tratta di alcuni dei nostri punti di riferimento da sempre: Fabio e Sam fanno parte della quotidianità, Roddy della nostra storia: è stato molto semplice far nascere e poi portare a termine queste collaborazioni”), dall'altro mi pare che fu il leader dei Refused a dire che puoi vestire come un rasta giamaicano o avere i capelli a caschetto o usare strumenti non convenzionali o cantare canzoni allegre e stucchevoli o suonare alla velocità di una lumaca su una distesa di burro d'arachidi o aiutare vecchiette ad attraversare la strada ed essere comunque punk.
Anche perché a restare immobili, “duri e puri” come si dice, per una vita intera, c'è il rischio di diventare dei perfetti idioti o dei fascisti (o entrambi, naturalmente) - e quasi trent'anni di Manifesto Hardline stanno lì a dimostrarlo. Ecco, in tal senso Il fuoco non si è spento rende ancora bene l'inquietudine e il pessimismo, stradaiolo più che cosmico, che Eugy si è sempre portato dentro ma riletto alla luce dei suoi anni attuali e di cui Quaranta è la traccia-simbolo che già vanta le sue belle cover su YouTube. Con la consapevolezza di essere sempre lo stesso di quando ha iniziato ma nel corpo e con la mente di un adulto che non è più il ragazzino sempre in giro con gli amici a fare bolgia o sottopalco dei Frammenti a pogare.
E pure se ricorda con entusiasmo “i primi concerti a Torino dei 90 vissuti una fotta pazzesca, tensioni e aspettative a mille ed emozioni sempre uniche, e il momento preciso in cui mi chiesero se volevo diventare il cantante degli Youngang oppure la prima volta sul palco di Askatasuna” le nuove tracce sono più strutturate, oserei dire emotivamente cresciute, rispetto che in passato, dove si notava ancora un umore (ça va sans dire) Hardcore '88 nella sua accezione più da gang di strada, branco di lupi, della crew sempre assieme fino a odiarsi - e che, da orso quale sono, apprezzavo solo in parte.
“Indubbiamente è un lavoro molto più intimo e maturo – mi confida qui Eugy - nelle atmosfere e nei colori... io me lo immagino come un disco del giorno dopo. Credo sul serio che sia il più bel lavoro che la mia penna abbia mai partorito”, e quando gli chiedo per gioco di descrivere con un solo aggettivo la sua peculiarità rispetto agli altri dischi della discografia dei Bull Brigade, precisa un po' misterioso: “Se per Strade Smarrite sarebbe giovane e Vita Libertà coraggioso, Il fuoco non si è spento direi distante”. Non lo capisco e lo ammetto candidamente: “Venivamo da un periodo molto duro e difficile in realtà - mi spiega allora con calma - durante il quale avevamo considerato l'idea di fermarci definitivamente. Poi è scoccata la classica scintilla che ci ha rinfrancato lo spirito e ci ha rimesso in pista: credo che sia stato proprio quel fuoco che sotto la cenere non ha smesso di ardere incessantemente scaldando le nostre anime. Si avverte anche in vari passaggi questa precisa atmosfera , penso ad esempio a Cuori Stanchi che è un'altra canzone a cui sono molto legato e spiega bene ciò che intendo”.
Lo ascolto con interesse e mi ritorna su l'idea della Torino HC che oramai si legge sui libri di storia, ossia dell'immortale spirito punk e, in un senso più ampio, come volontà di musica incontaminata, di incontrarsi, di manifestare e di vedere o fare musica dal vivo, allora mi chiedo quanta importanza abbia oggi per loro, e non solo per loro, che quella Torino l'hanno vissuta di certo più di me, l'indipendenza nella scelta dell'etichetta che li distribuisce o del promoter che gli trova le date, se resiste ancora l'idea di prezzi calmierati per il merchandising e i biglietti dei concerti oppure oramai sono cose del passato, andate, kaputt. Incalzo Eugy citando il solito MacKaye, che di anni ne ha quasi sessanta, e nel 2007 ancora battagliava: “Se una lotta non interessa alla band che suona sul palco a chi dovrebbe interessare, a quelli che ci mangiano sopra?”.
Lui ci riflette e alla fine mi risponde che “Sono discorsi molto complessi e piuttosto difficili da affrontare in maniera completa. Di sicuro abbiamo una squadra con la quale ci confrontiamo su tutti gli aspetti, cercando sempre una strada condivisa da intraprendere. Stronger Than Time, per esempio, fu un esperimento pensato e messo in pratica senza molte velleità. In quel periodo già lavoravamo ai nuovi brani in italiano ma abbiamo accettato volentieri la proposta di DRA che voleva una pubblicazione per tenere su il nostro profilo. Allo stesso modo negli ultimi anni siamo cresciuti grazie ai ricavi dei concerti, che abbiamo poi reinvestito sempre nella nostra crescita. I prezzi dei biglietti, per noi devono sempre essere proporzionati alla situazione nelle quali si lavora: noi siamo di parte, però non ci spiacciono le situazioni dove l'ingresso è anche gratuito. L'importante è garantire sempre e a chiunque trattamenti umani e dignitosi”.
Così si torna al discorso della coerenza ampliata dalla consapevolezza, da molti derisa o stoltamente snobbata, che il punk e tutte le sue declinazioni è stato creato da persone all'epoca dei fatti adolescenti o poco più che adolescenti, nel massimo del proprio splendore anarchico e ingenuo e, pur volendo ignorare chi diceva che se non sei idealista a vent’anni non hai cuore ma se lo sei ancora a trenta non hai testa, arrivare all'età adulta con l'idea che essere punk alla fine della corsa è un po' come essere innamorati (non ci sono regole, non ci sono specificità, né slogan né religioni e nessuna vera definizione a parte i concetti vaghi e un po' illusori come passione e identificazione) è già un buon risultato.
Quindi, se per qualcuno i Bull Brigade han disilluso qualche regola non scritta (ricordate il “Non è un insieme di regole!”sul 12” di Out Of Step?) per via dei concerti acustici della scorsa estate o di quella Partirò Per Te dedicata ai tifosi del Toro o magari perché Ultima Città ha un appeal rock che si attacca come una Big Babol alla suola delle scarpe poco importa se dall'altro lato i duri e puri spargono merda sul pubblico dall'alto di testi opinabili oppure supportano tutti i brand del capitalismo moderno in nome del punk senza che ci sia modo di dissociarsi.
Molto meglio i Bull Brigade che mi dicono: “Siamo una band che attraversa da sempre spazi occupati e autogestiti, devo ammettere con molta disinvoltura. Di sicuro i cambiamenti che hanno stravolto il mondo non hanno risparmiato nemmeno i CSO ma sarei felice se i miei figli decidessero di dedicare il proprio tempo a percorsi dal basso di autoproduzione ed autogestione”.
Ecco, se la primissima generazione punk è oramai passata alla storia, quasi alla mitologia, lasciando il segno e passando a una categoria mentale vicina alla pace dei sensi, dove i ricordi si sfumano in un vago “nirvana” che una marea di fanatici prova a rincorrere, a rivivere, a emulare, quanto è accaduto nel 2021 ai Bull Brigade invece è piuttosto raro: pochi cercano di suonare come loro, non hanno un'immagine, non tagliano lungo i bordi, non colorano dentro i margini, non sono capaci di colpire qualche giornalista voglioso di promuoverli con tante parole e qualche provocazione, eppure hanno creato un disco così bello denso e coerente che li renderà indiscutibilmente degli intoccabili per le generazioni a venire. Che (vi) piaccia o meno.
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L'articolo Bull Brigade: passione, fuoco e consapevolezza di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2022-01-28 14:47:00
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