Calibro 35: "La musica suonata non morirà mai"

Una chiacchiera nello studio di Tommaso Colliva con la band, reduce dalla pubblicazione del nuovo disco “Exploration”, che spazia da Herbie Hancock alla sigla di 90º minuto. Per scoprire come rinnovarsi sempre e cosa resterà tra vent’anni di tutto l’oceano di musica che ci travolge ogni venerdì

I Calibro 35 - foto di Chiara Mirelli
I Calibro 35 - foto di Chiara Mirelli

L'ingresso del condominio circondato dalle impalcature del cantiere sembrano messe lì a depistare, a tenere lontani i visitatori indiscreti in cerca del quartier generale deiCalibro 35. E invece è in proprio lì, in questa anonima viuzza di Villapizzone, nella zona ovest di Milano, che si trovano i Laboratori Testone, dove Tommaso Colliva ha il proprio studio. Ed è qua che lo troviamo assieme ad altri due quarti dei Calibro, Enrico Gabrielli e Massimo Martellotta, mentre sono indaffarati a ultimare un lavoro su cui mantengono una leggera aura di mistero.

D'altronde è con questa indole infaticabile che questa sorta di supergruppo è arrivata a 9 album in studio, di cui l'ultimo, Exploration, è appena uscito: "Diciotto anni dopo si torna a fare quello che facemmo nel primo disco, ossia prendere materiale altrui e farlo nostro. Dopo l’esperienza di Jazzploitation, che abbiamo definito una ‘rapina alla Calibro’, un’incursione nel mondo del jazz, continuiamo a confrontarci con alcuni ‘classiconi'", spiegano loro. In questo disco significa passare da Herbie Hancock a Piero Umiliani, dalla colonna sonora di Mission Impossible Lunedì cinema con Marco Castello come ospite della traccia.

Così, dentro alla regia dello studio di Colliva, riusciamo a prendere da parte per qualche minuto i Calibro per farci raccontare questo nuovo album.

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A che punto è giunta la vostra esplorazione oggi?

Tommaso Colliva: Calibro è un progetto che nasce dall’esplorazione, dalle esplorazioni di mondi che conosciamo, che conosciamo solo in parte, di cui abbiamo sentito parlare ma in cui non ci siamo addentrati a fondo. In primis, appunto, è nato 18 anni fa – ci avventuriamo nelle colonne sonore che ci piacciono tanto. Ed è una cosa che abbiamo notato: ascoltare qualcosa è un discorso, addentrarcisi e provare a farla un altro. E questo è quello che è successo anche con questo disco. Noi siamo tutti ascoltatori di jazz, ma nessuno di noi ha studiato jazz. Per cui abbiamo detto: ok, ma cosa succede se ci approcciamo a questa musica che da un lato conosciamo, ma che dall’altro è una selva oscura? Da qui è nato Exploration.

Musicalmente, oltre ai riferimenti consueti, ci sono anche molto gli anni '80. Cosa dobbiamo a quel periodo?

Enrico Gabrielli: Per le nuove generazioni gli anni '80 sono un immaginario, invece per noi è una realtà. E questa è la cosa strana. Il flicker della televisione, con quattro tasti, e di base vedevi Rai 1, Rai 2 e un paio di private, era lo status quo. Non c’era on demand, non c’era nulla di tutto questo. Ma la Rai, in particolare, aveva una policy: visto che comunque pagavi il canone – per cui era servizio pubblico – doveva garantire una percentuale ministeriale di cultura. Normalmente la Rai aveva delle grandi idee, grandi sigle, grandi attori, cose molto belle. C’era Jazz Carnival, la sigla di Mixer di Gianni Minoli, probabilmente scelta anche perché andava bene per quello che faceva Minoli – un’introduzione lunghissima. Abbiamo messo le mani su alcune di queste sigle perché erano musicalmente bizzarre, strane, interessanti: Lunedì cinema è un brano strano, non jazz, bizzarro, quasi improvvisativo con spirito progressive.

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Quindi da cosa è diverso rispetto alla musica con cui vi abbiamo conosciuto agli inizi?

Enrico Gabrielli: È un’incursione in mondi nostri, che abbiamo vissuto in prima persona più ancora dei poliziotteschi, perché quelli erano fine anni ’60, inizi ’70, eravamo troppo giovani. Invece queste cose sì. Prendi Discomania, la sigla di 90° Minuto, rappresentava la domenica nell’epoca in cui le partite erano in contemporanea, era tutto sclerotico ma affascinante. Alla fine, quei programmi ti riassumevano il cuore principale degli eventi sportivi del giorno, e soprattutto la schedina per almeno 30 anni è stato il perno della civiltà italiana. Il ballo liscio e la schedina erano la base, un concetto completamente fuori dalla nostra portata oggi.

Tra vent’anni, cosa ci si ricorderà della musica del 2025?

Massimo Martellotta: Questo è sicuramente un periodo a cavallo di cose, nel senso che, per fare il link con gli anni ’80, noi ci siamo visti dal Commodore 64 e dal VHS alle serie TV in streaming in altissima definizione. Probabilmente questo è un periodo di transizione, un po’ come quello. Ora per fare alcune cose usiamo dei device che non sono strumenti fisici, però in maniera diversa da come si usa il computer. Quindi chissà... Voi che dite?

Tommaso Colliva: Oggi sta cambiando molto la funzione stessa della musica. Noi veniamo da generazioni in cui la musica puntava al durare nel tempo. Invece la musica che viene fatta oggi – che è tantissima, ci siamo sommersi – nella stragrande maggioranza non punta a essere eterna, punta a fare più milioni di stream possibile nel minor tempo. Raramente c’è la volontà di rimanere. Quindi cosa resterà? Non lo so. Secondo me tanta musica che c’è adesso sparirà, mentre resteranno cose inaspettate che, quando le sentiremo, ci diranno “ah, questo era il 2025”.

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Una impressione diffusa è che tra i giovani che si avvicinano ora alla musica ci sia un ritorno allo strumento. Voi lo avete notato?

Massimo Martellotta: Noi abbiamo, storicamente, un pubblico di musicisti. Molti dei nostri seguaci sono musicisti, quindi abbiamo un po’ il polso di questa cosa. Dalla sfera che arriva sui social vedo molti ragazzi interessati agli strumenti. Quindi non so se è una tendenza, non lo capisco, ma sicuramente l’interesse non cala. Gli oggetti sono affascinanti e se producono suoni, magari capisci come vengono fatti.

Enrico Gabrielli: Ora ci sono più scuole anche in cui si fa ad esempio pop, stanno diventando delle materie di studio. Per me è senza senso 'sta cosa, ma non voglio distruggere completamente queste nuove dimensioni. Forse succede perché è un periodo in cui si misura il talento su risultati concreti, che a sua volta è un concetto senza senso, perché facendo così distruggi metà di quello che sono stati in realtà i cantanti degli anni che piacciono a noi, per intendersi. Lucio Battisti sicuramente avrebbe fatto una figura pessima a un talent, perché non era un gran cantante. C’è tutta questa roba qua che sta portando allo studio, e ci sono tante formazioni – penso agli Studio Morena – con un background accademico, per cui c’è anche una ipercompetenza. Però il suonare non morirà mai.

E l'ascoltare?

Enrico Gabrielli: Vale lo stesso: la musica dentro un oggetto è un cerimoniale per te stesso, più forte di qualsiasi musica da rubinetto aperto. Un vinile ha quella roba lì, perché la funzione meccanica delle cose ha un’altra ipnosi sulla testa.

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L'articolo Calibro 35: "La musica suonata non morirà mai" di Redazione è apparso su Rockit.it il 2025-06-06 15:47:00

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