I Campos hanno raccolto meno di quanto seminato

Il trio toscano formato da Simone Bettin (dei Criminal Jockers con Motta e Maestro Pellegrini), Davide Barbafiera (anche attore nei corti di Gipi) e Tommaso Tanzini, ha fatto uscire “Latlong”, un disco totalmente a fuoco, tra cantautorato italiano, elettronica minimale e folk americano

I Campos nella foto di Duesudue
I Campos nella foto di Duesudue

Nel panorama tutto particolare della musica italiana, ci sono realtà che fanno il botto e poi, passato l'hype, nessuno ricorda più, e quelle che macinano nell'ombra, senza i clamori o i titoloni, che fanno la loro cosa per passione, divertimento e rispetto per la musica. I Campos di Simone Bettin (già bassista dei Criminal Jockers con Motta e Maestro Pellegrini) e Davide Barbafiera (anche attore e collaboratore di Gipi) a cui si è aggiunto il bassista Tommaso Tanzini, fanno decisamente parte di chi fa le cose col cuore, sotto traccia, ma sempre lì. 

Il 27 novembre è uscito il terzo album dei Campos, dal titolo Latlong, che segue il debutto di Viva del 2017 e il secondo debutto – stavolta in italiano – di Umani, vento e piante del 2018. Latlong prosegue il discorso intrapreso con l'album precedente e ne amplia gli orizzonti, sempre più a fuoco: una commistione di suoni tipici dell'Americana che guarda al sud, in stile Calexico, e ben amalgamati con l'elettronica, un po' come fa Radical Face. I testi, solo quelli: li avvicinano alla tradizione italiana del cantautorato. Un progetto solido e "internazionale", come direbbe chi è a corto di aggettivi. Semplicemente, musica italiana che non vuole imporsi limiti territoriali

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"Latlong è il frutto di più o meno un anno e mezzo di lavoro. Durante questo periodo ci siamo ispirati alle storie che ci sono passate sotto mano. Vere, vissute, inventate, abbiamo preso un po’ di tutto. Attraverso i personaggi di queste storie abbiamo affrontato vari temi che si ritrovano lungo tutto l’album, come la paura di affrontare se stessi, l’insicurezza, la voglia di superare un proprio limite. È venuto tutto fuori in un modo molto naturale, senza averlo ricercato troppo. Probabilmente perché sono temi a noi molto vicini", spiegano.

Questo album è stato lavorato in modo nuovo per il trio toscano, con nuovi stimoli e nuove collaborazioni: "Abbiamo coinvolto un amico, attore, regista teatrale e tante altre cose, per collaborare alla scrittura dei brani. Si chiama Giovanni Guerrieri. Ci trovavamo tutti i giorni alle nove per bere il caffè e rivedere le cose scritte il giorno prima, e continuare a buttare giù nuove idee. Ecco, questa esperienza nuova per noi è stata davvero stimolante, tanto che siamo arrivati ad avere 17/18 brani. Stavamo per fare l’album doppio tipo The Wall dei Pink Floyd, ma poi ci siamo ridimensionati e abbiamo scelto le undici tracce che ci sembravamo più giuste".

Benché la musica sia molto compatta, le influenze dei Campos sono variegate: "La nostra ricerca musicale è figlia sicuramente degli ascolti che facciamo, a partire dai Velvet Underground agli Sparklehorse, Sebastien Tellier, MGMT, Psychic TV (solo per dirne alcuni). In generale ci piace la roba un po’ storta e poco pulita, però non troppo cervellotica, ecco".

Rispetto all'album precedente, il primo in italiano per i Campos, in Latlong sembra che i ragazzi ci abbiano creduto di più, siano andati più a fondo. E in generale il nuovo disco suona meglio: "Rispetto a UVP, ci sentiamo di aver fatto un pezzo di strada in più. Con UVP adottavamo un punto di vista più distaccato, ponendoci come spettatori rispetto a quello che stavamo osservando. Con Latlong invece siamo entrati più dentro le cose, ci siamo messi più in gioco. Questo sia per la parte testuale che per la parte musicale, che si è presa più libertà rispetto al lavoro precedente. Per noi è fondamentale lo stimolo continuo, dove cerchiamo sempre di stupire noi stessi. In questi due anni abbiamo avuto modo di pensare a queste cose, riascoltando i lavori passati, trovandone i punti forti e i limiti. Capire cosa ci piaceva e cosa no. Buttare giù idee su idee e pian piano aggiustare il tiro", dicono.

Foto di duesudue
Foto di duesudue

Con i Campos c'è sempre l'idea che siano la tipica band che ha raccolto meno di quanto abbia seminato. Probabilmente vittima anche del periodo storico in cui i piccoli club spariscono e la polarizzazione tra band di prima e seconda fascia si fa sempre più definita: "Non è semplice accontentarsi dei risultati ottenuti. Detto questo, se ci fermiamo un secondo a pensare, ci consideriamo soddisfatti dei lavori che abbiamo fatto e del riscontro che abbiamo avuto", spiega il trio, e conclude: "Quello che facciamo, lo facciamo in maniera genuina e soprattutto ci piace molto. Se, poi, il raccolto è stato magro ce ne faremo una ragione. Sarà stata in parte colpa nostra e in parte dei cambiamenti climatici". 

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L'articolo I Campos hanno raccolto meno di quanto seminato di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-11-30 17:15:00

Tag: album

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