Carmen Consoli - Io, Whitney Houston e i Sonic Youth

Gli anni '90 a Catania, l'importanza dei Sonic Youth, il femminismo e i vaccini: Carmen Consoli si racconta.

carmen consoli
carmen consoli


Quando emerge dal camerino del Teatro della Pergola di Firenze, Carmen Consoli è una visione. Chiede scusa per il ritardo e mi accompagna alla poltrona, siede tranquilla, sicura, si mette in ascolto della prima domanda. È diversa da come me l’aspettassi. Sapevo – e chi non lo sa? – che è una donna forte, determinata. E che è una grande cantautrice. Sospettavo, avendo ascoltato le sue canzoni per vent’anni, che fosse piena di passione; ma non immaginavo che fosse anche dura, arrabbiata. Spiritosa. 

È una cantantessa cresciuta in seno ai munifici anni '90, del resto e per tanti versi – il rifiuto dei social, per dirne uno – si ha l’impressione che abbia custodito gelosamente una nicchia identitaria, un luogo della mente e del corpo nel quale può essere libera, come mi dirà poco dopo, di entrare e uscire da se stessa.
Passati due anni dalla pubblicazione del suo disco del ritorno dopo una lunga pausa, "L’abitudine di tornare", non è per niente stanca e continua a salire sui palcoscenici (compreso quello del MI AMI, ovviamente). Ha avuto un figlio grazie all’inseminazione artificiale, ha perso il padre amatissimo, ha fondato un’impresa. Se la sua musica ha carisma, è perché lei ha carisma.

La tua etichetta si chiama Narciso, il nome di una delle figure più rilevanti delle tue canzoni e uno dei molti personaggi che popolano la galleria di ritratti del tuo cantautorato. Eppure se penso alla tua musica la trovo davvero poco narcisista, anche perché di te stessa non parli praticamente mai; la parola che userei, piuttosto, è “generosa”.
In questo momento storico il narcisismo, che è tecnicamente mancanza di empatia, è aumentato. Sono Buddhista, dai mondi bassi per noi viene l’illuminazione. Il fiore di Loto non esisterebbe se non esistesse ciò da cui nasce, che non è proprio miele.

Ho letto che tuo padre diceva: “Mai fidarsi di chi parla di se stesso per più di tre minuti”, una frase che colpisce. È questa la ragione per cui sei così acquatica nei tuoi pezzi? Nel senso: l’acqua non ha forma, si adatta a ogni recipiente, così come tu tendi a scomparire in storie che raccontano quasi sempre gli altri, veri o fittizi che siano.
Filtro le cose attraverso la mia sensibilità, cercando di astenermi dal giudizio. Non sempre è possibile, chiaro. A volte lascio parlare i miei personaggi. Cerco di evitarmi, di non mettermi al centro perché nel momento in cui accade perdo la capacità di ascoltare gli altri. E siccome io sono relativista – esisto in quanto esistono gli altri, nella relazione – amo vivere di empatia facendo una sorta di Stanislavski musicale, vivo tutto sulla mia pelle per capire. Per cercare di condividere sensazioni che magari non appartengono alla mia quotidianità ma mi spingono a ricorrere a qualche memoria emotiva.

 

Ricordo bene la prima volta che hai calcato il palco dell’Ariston; era il 1996 e, come tante ragazze di quindici o sedici anni, sono stata rapita da "Amore di plastica", una canzone che nella mia mente è legata al liceo e ai primi amori adolescenziali. Quel che mi domando è: chi era Carmen Consoli, a diciannove anni? Come guardi alla te stessa di allora?
Guardo con fierezza al passato, ma è come guardare una fotografia. Vedi te stessa più giovane, con meno esperienza, più ammirevole e più guidata dall’istinto per certi versi; era forte la voglia di restare autentici al di là di ogni possibile moda. Ciò che seguivo era ciò che sentivo di dover fare: l’ho cantato in tutti i modi e forse lo continuo a cantare perché – perdonami il termine, non voglio essere presuntuosa – la mia poetica è proprio questa: continuare a essere me stessa malgrado i tempi cambino, e malgrado non sia nella scia superpop, radiofonica. Per caso (ride) la moda è passata dalla mia musica a un certo punto; adesso ha cambiato direzione. Ma io non la cambierò, la direzione.

Non credo tu sia presuntuosa a parlare di poetica.
Ricordo la convinzione dei miei diciannove anni. Ricordo con enorme tenerezza mio padre e probabilmente anche grazie a lui, grazie all’insegnamento di questi genitori per cui è meglio essere fieri di ciò che si fa, perché si fa ciò in cui si crede: è la piccola chiave della felicità, al di là del successo e al di là dei soldi, per essere chiari. È meglio. Meglio che svegliarsi la mattina vivendo una vita che non ti appartiene, e vergognarti come una ladra. Per me è sempre stato importante riconoscermi ogni giorno nello specchio. Mi veniva detto: non lasciarti convincere, non cambiare la tua strada; anche se sbagli delle cose… Futtatinni (“fottitene”), fino a quando troverai un animo pio che ti pubblica i dischi tu prosegui. D’altronde potevo fare altre cose, potevo avere altri lavori: potevo essere impiegata nell’azienda di famiglia, studiavo all’università, mi sarei laureata, avrei seguito un altro tipo di carriera. La musica non l’avrei mai abbandonata. Ecco… Per me la musica è sempre stata un amore folle, incondizionato per il quale non accetto compromessi in basso. Del mio primo disco ricordo la necessità di circondarmi di persone che mi spingessero su questa via di fedeltà alla mia identità: Francesco Virlinzi, Allan Goldberg, gente superalternativa che mi diceva piuttosto “ehi, questo è pop, toglilo”.

È anche grazie a te, infatti, che è nato il mito di Catania negli anni '90.
Ho avuto una grande fortuna. Abbiamo vissuto in una bolla musicale incredibile, che forse non esisteva nel resto d’Italia. Questo infatti è il mio problema: se io fossi cresciuta con Whitney Houston – artista che comunque stimo, apprezzo e ammiro – oggi magari avrei scritto qualche singolino in più, no? Invece purtroppo sono cresciuta con Kim Gordon. Perché era questo quello che c’era in discoteca: c’era "Sister" dei Sonic Youth. I REM erano il massimo del pop concesso, c’erano i Violent Fammes, Camper Van Beethoven, Natalie Merchant, 10,000 Maniacs… E poi c’era tutta la scia del rock indie, quindi Shellac, Steve Albini, Fugazi… Catania era questo. Anche quelli che venivano dai bassifondi, da una parte ascoltavano musica napoletana neomelodica ma dall’altra conoscevano Michael Stipe perché era quello che la città offriva. A dimostrazione del fatto che il gusto popolare si può anche educare. E, sì, Catania era molto educata. Nel resto d’Italia imperversava l’house music che da noi non mise piede. Misero piede, invece, appunto i REM, unico concerto in Europa, aperti da una giovane band: i Radiohead. Catania era soprannominata la Seattle d’Italia, vedevi passeggiare gente come Peter Buck, Bruce Springsteen… Gente che stava là, creava e spesso duettava con gli artisti locali.

 

(foto via)

E com’è Catania, nel 2017?
È la mia città, e vibra ancora. Brilla ancora. Anche se è uscita dal torrente principale, è diventata un sottobosco perché è sempre molto particolare l’espressione musicale catanese. E oggi non viene più riconosciuta. Negli anni '90 era un’altra cosa: c’era "La cura" di Battiato, i CSI, Max Gazzé, Afterhours… E c’erano anche tanti produttori tra cui appunto Francesco Virlinzi che spingeva verso un certo genere, verso certi suoni; c’erano gli Uzeda. Tutti ci invidiavano. Adesso non c’è spazio per la indie italiana. Oggi i Marlene Kuntz non riuscirebbero a emergere. Forse oggi il rap dice quel che diceva, allora, il rock.

Eppure, almeno nella mia esperienza, passeggiando per Catania sembra che gli anni '90 non siano mai finiti. Il tempo è sospeso. Tante sottoculture continuano a convivere.
I catanesi secondo me sono molto moderni. Geneticamente, quasi. Mia madre, veneta, si trasferì da Treviso perché vide questa modernità. C’è una mentalità elastica, pronta ad accettare il diverso. “Non è uguale a me ma non lo emargino” sembra ci si dica tra catanesi, “vediamo se riesco a mescolarmi”. C’è questa attitudine alla contaminazione e questo mi piace molto. Non ci sono pregiudizi. E questo si riverbera sulla musica. Palermo sarà addirittura la capitale della cultura. Ci sono tante teste. Tutta l’Italia è bella, ma in Sicilia persino i contadini sono moderni; un contadino con la prima elementare ti parla di Federico II di Svevia, conosce Socrate, conosce la mitologia. Non si sa perché lo sappia. È perché la mitologia e la filosofia greca sono cultura popolare. Questa cosa della mia terra mi fa impazzire. Certo, altre mi fanno arrabbiare tantissimo.

Basti pensare che l’autostrada Palermo-Catania è ancora interrotta. È assurdo.
Questa cosa è terribile. Vado spesso a Palermo, è un’altra città alla quale sento di appartenere, come ogni siciliano. Piuttosto mi conviene fare Catania-Roma, Roma-Palermo, ti dico solo questo. Cioè, conviene che prenda l’aereo. Pensare che c’era chi diceva che si doveva fare il ponte. Perché? Per facilitare i camion, perché perdevano tempo nella traversata. E una volta arrivati in Sicilia? Metti che devono andare da Catania a Palermo, meglio che facciano il giro dalla Grecia, fanno prima.


Comunque, tu sei la prova vivente che si esce vivi dagli anni '90. Avrai sentito mille volte il paragone tra te e PJ Harvey, un’artista con cui hai in comune la versatilità, ma soprattutto l’inclinazione all’evoluzione: anche tu sei andata via e tornata altrettante volte, sempre diversa ma sempre te stessa.

È che cerco di non essere sempre Carmen Consoli. Provo a distrarmi, ogni tanto. Sono mamma, gestisco delle case-vacanza a Catania… Quindi diciamo che posso permettermi di allontanarmi dalle scene per cinque o sei anni. Non ci devo campare con la musica. Se lo faccio è perché mi piace giocare, prendere la chitarra e vestire i miei brani con un vestito rock, l’indomani scrivere un arrangiamento per archi e fare un concerto da camera con degli echi e suggestioni classiche.

Parlando di arrivederci e ritorni mi viene in mente proprio il tuo rapporto con il tempo. Come dicevi non hai avuto paura di scendere dai palchi per quattro anni tra "L’eccezione" ed "Eva contro Eva", e tra "Elettra" e "L’abitudine di tornare" hai fatto una pausa ancora più lunga, di sei anni. Quanto è stato complesso allontanarsi? Non sei andata nel panico? Non hai avuto paura? Perché proprio il distacco, specie rispetto alla carriera e in qualche modo specie rispetto alle donne (penso per esempio alla maternità) è complesso da gestire.
Hai ragione. È vero. È spaventosissimo. Pensa che in certi paesi danno la paternità. Però ci danno i vaccini gratis a tutti, eh. Una bella prevenzione per le malattie, no?

Sicuramente i vaccini sono osteggiati, di questi tempi.
Non sono i vaccini a essere osteggiati, sono le persone che esprimono un parere critico pure essendo pro-vaccini. Ho paura in questo momento, in questo paese. Come fai a togliere dall’Ordine dei Medici il dottor Gava perché ha espresso, probabilmente sulla base di dati precisi e documentazioni, delle perplessità sui vaccini senza esserne contro? Quando mi pare che proprio Gava insistesse per rendere nuovamente obbligatori altri vaccini. Cioè, vedo poca libertà e poca chiarezza. Report ha osato – osato! – parlare di un vaccino in maniera non proprio positiva al 1000% e… i vaccini sono farmaci. Hanno delle controindicazioni. Non sono vitamine. Uno non nega alla scienza i risultati che ha ottenuto (per carità, chapeau ai medici che continuano a salvarci la vita) perché il reddito e il profitto sono un’altra cosa. Ricordiamoci che il presidente di una casa farmaceutica disse: “Non aumenteremo il nostro fatturato fino a quando faremo medicinali per i malati”. Io sono a favore della scienza. Sono testimonial Unicef, ho fatto vaccinare mezza Africa. Però in questo modo chi è pro-vaccino rischia di diventare contro. C’è una coercizione. Una coercizione mediatica che è quasi violenza psicologica e allora dici: “Cosa c’entra la scienza con il lavoro di uno scienziato?”. Uno scienziato come Gava ha tutto il diritto di esprimere una perplessità. Perché ha le conoscenze e la competenza. Io non ce l’ho. Posso andare a intuito. Non devo rispettare un protocollo, posso vaccinare mio figlio più tardi se lo voglio, anche se ha due placche. Invece quest’episodio mi ha amareggiato molto. Addirittura radiare un medico, con delle referenze così importanti… È offensivo. È una cosa molto grave. Vuol dire che si cerca di portare avanti un pensiero unico e chi esprime un’idea contraria è proprio out. Ed è ciò che temevamo sotto Berlusconi, solo che con Berlusconi non è successo. Vedi? Anche una parola a difesa di Berlusconi ti do.
Per concludere il discorso… ci sono mille nuovi casi di tumore al giorno, in Italia. Dovuti alla mancanza di prevenzione totale che non è soltanto quella medica. Purtroppo non ci informano degli additivi contenuti nei cibi… non ci informano adeguatamente sull’alimentazione che dovremmo seguire per prevenire determinate cose. È tutto nascosto, anzi, per certi alimenti, apriti cielo! Invece, dunque, di mettere i vaccini obbligatori bisognerebbe lasciare facoltativi quelli che sono facoltativi – esiste un articolo del codice italiano che sancisce che le case farmaceutiche debbano risarcire i bambini danneggiati dai vaccini e ce ne sono migliaia, basta entrare nel sito della Comilva per rendersene conto; e non è che si possono ammucciare, ossia nascondere, questi bambini – e quando uno come Gava, Serravalle o Montanari cercano di migliorare i vaccini, dare dei consigli mirati, evitiamo di comportarci come se avessimo toccato chissà cosa.
A me, siciliana, questa faccenda mi tocca male. Piuttosto lavoriamo a una migliore informazione sul cibo, o a prevenire i tumori. Guarda, se mi danno un vaccino contro i danni dell’Ilva, o contro quello che sta succedendo a Niscemi, io mu fazzu subbitu. Finora l’unica epidemia che mi sembra ci sia è proprio il cancro. Quando vivevo a Londra, per esempio, appendevo una maglietta e la tiravo dentro nera. Davvero. Poi hanno preso contromisure e ora non accade più. Per dire che ci sono cose che si possono e devono fare, ad esempio prendersi cura dell’ambiente. Mica è necessario mettere l’obbligo sulle cose. Perché scateni l’effetto opposto, si sa. Sembra che tu abbia qualcosa da nascondere. E io non credo che la scienza abbia qualcosa da nascondere. Io voglio avere la libertà di vaccinare mio figlio senza dubbi, e i dubbi ce li stanno mettendo loro.

 

Insomma, secondo te ci vorrebbe un’informazione più trasparente.
Sì, perché i vaccini salvano la vita. Ed è importante dirlo, farlo sapere. Solo che non sono Dio, né il dogma. Sono medicinali che possono avere controindicazioni. Come dire… ? Ai miei tempi, negli anni '90, c’era un po’ più di libertà. Malgrado il governo, ma c’era. E, vedi, ritengo che ciò su cui si debba veramente investire sia la conoscenza, la cultura. Il senso dell’illuminismo francese fu questo. Un esercito di intellettuali furono incaricati di diffondere la cultura tra i cittadini affinché questi potessero scegliere dei governanti all’altezza e autoaffermarsi. Essere consapevoli e quindi felici. Un popolo felice è un popolo colto. Io invece di mettere la confessione obbligatoria o la penitenza obbligatoria che se no vai all’inferno, informerei la gente bene! Dobbiamo praticamente ingaggiare un investigatore privato per sapere cosa diamo da mangiare ai nostri figli. E ci danno il vaccino obbligatorio. Ma piuttosto fai un bel controllo sugli alimenti, dimmelo che a forza di mangiare zucchero viene il cancro al pancreas. Dimmelo che le farine sono sconsigliatissime perché oramai è creso. Niente, tocca dire di nuovo che negli anni '90 era diverso, perché era un periodo in cui la gente pensava: “Se io ho la cultura, ho i mezzi per scegliere” ed era importante.
Avevo quindici anni e mi era stato detto questo. Lo ricordo bene. È quello che ho fatto. Avevo la mia musica. Con i nostri amici ci incontravamo e parlavamo. Non eravamo Twitter o Facebook… Adesso c’è una strategia del terrore. La paura cosmica diventa la paura ufficiale.

Parli della viralità dell’informazione.
Sì, ma senza capacità di approfondimento. Noi avevamo i telefoni a gettone, non avevamo Internet. Mi ricordo quelle ricerche che facevamo a scuola con le enciclopedie Treccani che non potevamo sottolineare… Ci stavamo settimane a copiare. Oggi fai tutto con Wikipedia. Ma allora era anche un leggere e trarre la tua conclusione, elaborare e fare il sunto che passava attraverso te.
Ecco, quindi, ritornando alla domanda che tu mi hai fatto sulle canzoni: io cerco di fare piccoli sunti delle emozioni che mi circondano e di quel che vedo. E oltre che empatia, come termine userei compassione.


Nel senso latino del termine, sentire con.
Esattamente. Mi viene facile entrare negli abiti degli altri. È un esercizio che sono stata abituata a fare, probabilmente da mio padre e da mia madre. Se ti alleni a farlo, lo fai automaticamente. Sto sempre attenta quando cammino. Osservo l’altro. Se illumini una lanterna per chi ti sta vicino vedi meglio pure tu.

Infatti una delle tue canzoni più belle, forse non delle più note, per quanto mi riguarda è "‘A finestra". Nei tuoi pezzi esiste sempre un gioco di specchi tra il guardante e il guardato, ma nel testo di quella canzone è più esplicito, la vivo come una specie di dichiarazione di poetica, appunto. Chi ci aviti di taliari, cos’avete da guardare, recita uno dei versi.
Dico sempre: guarda, chiudi gli occhi e prova ricordare chi ti sta intorno. Se ci riesci vuol dire che hai ascoltato. Che sai ascoltare. Per esempio un esercizio importante, oggi, è proprio quello: ascoltare. Cioè, la gente non mi ascolta. Te parli, e l’altro sta già pensando a quel che deve dire, non si aggancia al tuo discorso. E questa mancanza di connessione tra esseri umani, mancanza di connessione tra neuroni, è un altro piccolo male della contemporaneità.

Andiamo a bomba su un argomento che mi è caro, e credo sia caro anche a te. Esistono degli articoli online dove è riportata una tua frase: “Le donne dovrebbero avere più diritti degli uomini”. Sei stata travisata o l’hai davvero detto?
No, io voglio la parità! Ma che sia parità, però. Non è parità tornare dopo la maternità e non trovare più il proprio lavoro. Non è parità la mancata possibilità di avere un figlio e fare carriera. Tutti gli “ismi” sono in qualche modo una degenerazione del concetto fondamentale. Ecco, io sono un’umanista. 

Sì, ma è difficile disputare che il femminismo sia una forma di umanismo, dunque è un peccato quando sembra uno escluda l’altro. Non è necessario.
Per me siamo tutti uguali. Il gender problem non lo avverto come una distanza. Io mi sento sia uomo che donna. Poi sono matri di figghiu masculu… Sono un’umanista. Ovviamente noi donne abbiamo lottato molto. Bisogna rispettare profondamente tutte le lotte che sono state fatte dalle nostre compagne femministe, altrimenti ci ritroveremmo ancora con il delitto d’onore. Non saremmo arrivate a questo punto. Solo che, ecco, dobbiamo ammettere anche che questo punto è indietro rispetto a dove dovremmo essere. Ma non per questioni di sesso o di dettaglio anatomico, mi segui? Per questione di mancanza di cultura. E così torniamo al discorso di Peppino Impastato. Mancanza di cultura. Sei semplicemente un ignorante se pensi che io essendo femmina non posso suonare la chitarra come un uomo.

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Medioevo.
Purtroppo nel mio lavoro può capitare. Come può succedere in qualsiasi lavoro: le donne, a parità di carriera di un uomo – ammesso che la facciano, la stessa carriera di un uomo – non hanno gli stessi stipendi. E poi c’è anche un problema di difesa personale. Le donne devono imparare a difendersi. Perché le violenze contro le donne esistono e sai da dove nascono? Dalla subcultura fascista della violenza. Ne ammazzano una al giorno. Chi lo fa? Chi pensa di avere la forza di poter togliere la vita…

Chi pensa che una donna sia un oggetto, una proprietà. La costante è quella.
E quante donne vengono anche sfigurate con l’acido. Sì, è la proprietà e il concetto del più forte che deve soverchiare il più debole. Un concetto appunto fascista che va sradicato con la cultura. Oggi si parla del problema delle donne, del problema dei gay, del problema dei preti! Attenzione, perché siccome il prete non si accoppia non è masculu. Ci sono dei pregiudizi assurdi e delle perversioni mentali per cui non si salva manco un povero prete. Che c’ha la vocazione e vuole la castità. Ma il rispetto dov’è? Allora secondo me ci vuole innanzitutto una cultura del rispetto. Combattere la subcultura della forza… Perché non è che solo le donne sono vittime, lo sono anche i bambini, a volte ammazzati dalle madri. Ovvio, in quanto donne siamo vittime di tanti pregiudizi. Sei incinta? Nessuno ti assume. Non sei più giovane? Nessuno ti assume. Ma accade anche che gli uomini fragili siano in pericolo. Io questo provo a insegnare a mio figlio: i supereroi come Spider-Man… Ma secondo te picchiano un bambino più piccolo o più fragile? No, lo difendono! Perché è più debole. Perché secondo me, ripeto, è proprio la subcultura della forza che va annientata. Da lì nasce anche il bullismo. E poi… un piccolo suggerimento: la mia assistente personale è cintura nera di Krav Maga. Si salvau cu si taliau, come si dice a Catania.

Si è salvato chi è stato in guardia, insomma.
E vabbe’: ci devono ammazzare, ci devono sfigurare? Io non ho paura. Quando un mio fidanzato mi ha alzato le mani l’ho ucciso di botte. Non abbiamo il pensiero così aggressivo, noi. Abbiamo tutte il gene della mamma, secondo me. E chiudo dicendoti una cosa: io a Catania come sai ho fondato un’azienda. Viene dal sud…

…la Narciso, la tua etichetta di cui parlavamo all’inizio dell’intervista.
È gestita solo e unicamente da donne. Mia madre cura l’amministrazione, 71 anni, fantastica. Elena Guerriero, Simona Bonaccorso, io. La signora Sara… Siamo tutte donne, di qualsiasi età, senza pregiudizio manco per l’età: mica siamo a scadenza come il latte, questo ho detto a mia madre; che se voleva reinventare la sua vita poteva. (ride) Ovviamente mio figlio quando vede le donne sa che deve portare un fiore. Non alza mai le mani, mio figlio.

È una sfida educare un figlio maschio?
È lui che educa noi. Ogni tanto io e mia mamma siamo selvagge e lui ci riprende. È un poco bacchettone! L’ho fatto bacchettone e saputello che bacchetta me e mia madre.

La mia ultima domanda riguarda di nuovo la tua musica. Per me la tua poetica è pirandelliana: uno, nessuno, centomila ma sei sempre tu. Anche in quanto, appunto, donna. Perché spesso nella tua musica racconti le forme: moglie, madre, perseguitata, geisha, suicida, poetessa, contessa. Sono gli abiti che soprattutto le donne si cuciono addosso, o quelli che vengono loro cuciti addosso, e spesso stanno stretti.
Il dettaglio di genere si supera con la cultura. E comunque mediamente la cattiva formazione inizia presto, per esempio con le madri gelose che chiamano bottane le fidanzate dei figli maschi. Quando mio figlio mi porterà le fidanzate sarò buonissima, diventerò la loro migliore amica (ride). E io, del resto, vengo da una famiglia matriarcale. Mia nonna Lina comandava, poco da fare: “Nonno porta l’assegno, io decido come spenderlo”. E tutti stavano appresso a nonna Carmelina che aveva da dire su tutto, pure su come si dovevano vestire i maschi. Era cumannera. Il vero femminista, però, era mio padre: lui pensava davvero che le donne fossero migliori degli uomini. Forse mia nonna era stata un grande esempio. “Tu sei meglio” mi diceva, “perché una donna contemporaneamente può suonare la chitarra, cantare, staccare la chitarra, continuare a cantare e accordare senza confondersi”. Era un eccellente chitarrista. Si mise là a insegnarmi tutto. “Con una mano controlli” diceva, “e con l’altra ti prendi l’indipendenza che solo una donna può avere”.

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L'articolo Carmen Consoli - Io, Whitney Houston e i Sonic Youth di Marina Pierri è apparso su Rockit.it il 2017-05-05 11:11:00

COMMENTI (8)

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  • demus 7 anni fa Rispondi

    Sappiamo tutti che la Carmen è donna intelligente, eccome! Ma chissenefrega di quello che dice, canta bene, è quello!

  • giorgioquinto 7 anni fa Rispondi

    Francesco Virlinzi superalternativo grazie ai soldi di papà... ahahahahah :-P

  • riccardo5 7 anni fa Rispondi

    è incredibile come i fanatici dei vaccini siano sui trespoli pronti ma sparlare e sparlare ... non vedono un artista ma solo il loro unico punto di vista da paranoici ansiosi della malattia e grandi consumatori di farmaci... grande carmen la gente che la pensa come te è sempre di più, per quegli altri fatevi un vaccino per la paura di esistere, altro che polio

  • massriga 7 anni fa Rispondi

    Piacevolmente sorpreso da questa bella intervista, complimenti! Fantastica Carmen Consoli!

  • oggiprimavera 7 anni fa Rispondi

    Non ho letto un'intervista, ma una interessante conversazione tra due donne intelligenti, due belle persone. Grazie

  • lindbergh82 7 anni fa Rispondi

    Bella intervista, soprattutto perché si parla di argomenti importanti quali la tolleranza, la cultura, il rispetto. Senza questi aspetti fondamentali della vita la musica stessa farebbe fatica ad emergere.

  • lindbergh82 7 anni fa Rispondi

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  • gabriele.carta 7 anni fa Rispondi

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