Carme sintetica

Daniela Pes viene dalla stessa terra di Iosonouncane, suo producer e più convinto sostenitore. Oltre che discografico del suo debutto, “Spira”, che conferma la vocazione dell’isola alla sperimentazione più estrema, con un debutto che fonde i generi e sfonda i linguaggi per come li conosciamo

Daniela Pes - foto di Piera Masala
Daniela Pes - foto di Piera Masala

Daniela Pes, secondo chi l'ha vista dal vivo, "ti attraversa proprio" (e possiamo allegare lo screen da WhatsApp come prova). L'uscita del suo primo album, Spira, ha smosso qualcosa nel sottobosco musicale che bazzichiamo ogni giorno: brani che portano nel pieno di una terra esoterica e misteriosa, dove lingue di terra millenarie si muovono seguendo orbite ancestrali e larghe maglie ambient vengono colpite da beat elettronici oscuri e tribali. I testi sono in una non-lingua tra l'italiano, il dialetto sardo e l'invenzione pura, di cui si riconoscono appena dei frammenti, ma assumono un senso lacerante grazie alla sua incredibile vocalità. Qualcosa di potentissimo.

Ad accorgersi della bravura di Daniela Pes c'è anche Iosonouncane, che ha proprio messo mano alla lavorazione del disco, rendendolo la seconda uscita della sua etichetta Tanca Records. E che fa risaltare ancora di più la natura sperimentatrice che sembra pervadere la musica in Sardegna, che oggi può contare su un talento da lasciar brillare in più.

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Quanti anni di lavoro ci sono in Spira?

Ci sono appena più di tre anni di lavoro in totale. La sua creazione ha compreso vari stadi di lavorazione: Quella della scrittura, nella quale io e Jacopo ci siamo confrontati via mail per circa un anno prima di conoscerci dal vivo a Bologna, dove ho mandato a lui qualsiasi idea fin dal principio di questo lavoro, che fossero brani aventi già una struttura, un’idea di arrangiamento e produzione o che fossero brani allo stadio embrionale, semplicemente idee e suggestioni.

Come sei entrata in contatto con Iosonouncane?

Ho scritto a Jacopo una mail in un momento particolare del mio percorso artistico, chiedendogli se potesse ascoltare una manciata di brani sui quali stavi lavorando e se gli andasse di darmi un suo parere. Avevo un contratto discografico con una etichetta già firmato. L’etichetta mi disse che avrei potuto cercare un produttore artistico per il mio lavoro ed io ho pensato subito a lui. Dopo poco con questa etichetta milanese, per questioni di visione artistiche differenti, abbiamo deciso di interrompere il contratto. Jacopo mi è stato accanto e mi ha proposto di proseguire anche a livello esecutivo oltre che artistico con Tanca Records, la sua nuova etichetta.

Come si crea una nuova lingua?

Il lavoro che ho fatto sul testo è stato molto istintivo. Uno dei segreti che mi ha permesso di lavorare sulla mia idea fino in fondo è stato anche il non farmi domande su ciò che sentivo giusto fare in quel momento. Jacopo mi ha aiutata in questo standomi accanto, assecondando le mie suggestioni, non chiedendomi mai niente sul lavoro dei testi e né dicendomi mai quale fosse il lavoro che lui stesse svolgendo in Ira, proprio per non influenzarne il mio. Ho ascoltato Ira solo quando è stato ufficialmente pubblicato. Io avevo già finito il mio lavoro sui testi.

Foto di Piera Masala
Foto di Piera Masala

Quello che tu canti è solo significante o ha un significato? Come si fa a coglierlo?

È giusto dire che su questo lavoro ho agito in modo creativo e artistico sui testi, non ho mai fatto degli studi linguistici specifici. Ho lavorato sull’aspetto puramente sonoro del linguaggio assecondando suggestioni sonore delle lingue che io conosco, e cioè l’italiano, ma anche la lingua locale della mia terra, il gallurese. Ho anche inventato delle parole dal principio o partendo da radici esistenti per assonanza. Ogni tanto durante il lavoro sui testi, sono sorte parole di senso, ma questo è accaduto in maniera casuale, le parole le ho scritte per inseguire solamente la loro pura forma sonora. 

Ci dici cinque parole significative che compaiono nel tuo disco?

Dal gallurese: "mira", che significa "guarda", "noa", che significa nuova, e "esti", voce del verbo vestire. Dall'italiano, invece: "colma" e "sola".

Foto di Piera Masala
Foto di Piera Masala

E il suono di Spira, invece, da dove arriva?

Sono arrivata a fare questo disco grazie a tutto ciò che musicalmente ho vissuto prima. Dal lavoro che il jazz mi ha permesso di fare sul timbro della voce, sulla ricerca di un suono personale, sull’improvvisazione e sull’utilizzo di sillabe prive di senso scelte solo per gusto ritmico e fonico, ma anche dal lavoro che ho fatto i due anni precedenti a SPIRA e cioè musicare diverse poesie di un poeta del ‘700 del mio paese. Questo lavoro mi ha concesso di prendere sempre più confidenza con il suono delle parole e con il ritmo in relazione alla scrittura musicale. Sicuramente ci sono dentro tutti i gli ascolti fatti in questi anni, che non sono legati solo al jazz, ma al cantautorato (con cui sono cresciuta), al rock, post-rock e musica elettronica e sperimentale. Spira ha preso forma grazie all’incontro tra i miei mondi e quelli di Jacopo.

Progetti artistici come il tuo, quello di Iosonouncane, Bluem, Alek Hidell danno un’immagine della Sardegna come terra magica e ancestrale. Quanto il territorio credi influenzi la tua/vostra musica?

È un dato di fatto che la nostra terra porti con sé radici antiche, leggende, magia, figure oscure, luoghi fuori dal tempo. Penso e sento che nella scrittura e nell’espressione di molti artisti sardi sia assolutamente presente e palpabile.

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L'articolo Carme sintetica di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2023-05-18 12:22:00

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