Diluvio Festival: "Quest'anno è andata male: non siamo un caso isolato, il sistema è fragile"

Cachet alle stelle e costi esplosi. Qualche scommessa persa, il meteo che non aiuta. E così il festival bresciano si trova a leccarsi le ferite (e lanciare un crowdfunding) dopo aver bruciato tutta la cassa. "Non eravamo sostenibili e ora lo sappiamo", ci raccontano. E vale ahinoi per molti

Da una precedente edizione di Diluvio - foto di Giovanni Paracini
Da una precedente edizione di Diluvio - foto di Giovanni Paracini

“Dobbiamo parlarvi di una cosa”. Inizia così il post pubblicato nelle scorse ore da Diluvio, festival che ha celebrato a luglio la sua decima edizione presso il parco del Maglio di Ome, in provincia di Brescia. Tutte all’insegna della passione per la musica e della voglia di fare cose piccole ma belle, grazie al lavoro di un gruppo di volontari che negli anni è riuscita a consolidare questa realtà fuori dai grandi centri.

Quest’anno, però, qualcosa è andato storto. Il post prosegue così. “Abbiamo messo in campo energie, idee e sogni: è stata l’edizione più complessa, quella con più nomi, con più laboratori, con più palchi, più scenografie. Il festival ha preso vita quasi interamente come l’avevamo immaginato, con i soliti imprevisti e il cielo che non ci faceva dormire. Ma qualcosa è andato storto, e sentiamo il bisogno di raccontarvelo”.

Il racconto è dritto, onesto. “L’economia di Diluvio 2025 non ha funzionato. Qualche errore di valutazione, la pioggia, l’aumento dei costi e un po’ di sfortuna: ci ritroviamo in una situazione economica complicata. Senza troppi giri di parole, siamo in difficoltà”.

Foto di Carlo Bianchetti
Foto di Carlo Bianchetti

Poi il passaggio più importante. “Il nostro non è un caso isolato. Ogni anno, sempre più festival piccoli faticano, chiudono, scompaiono. Il sistema musicale è fragile: gli spazi per far crescere la musica nuova sono sempre meno. Intanto, i grandi concerti vanno sold-out in poche ore, alimentando logiche che minano il sistema alla base e che ci appaiono lontanissime”. 

Ed è proprio vero. Se l’esperienza di Diluvio fosse un caso a sé, sarebbe qualcosa di molto doloroso, ma fisiologico. Una stagione sbagliata può capitare per i più vari motivi, e se non hai gambe solidissime o reti di protezione può essere fatale. Ma di festival – di piccole, ma anche medie dimensioni, esempi virtuosi a cui la virtù ahinoi non è bastata – che quest’anno hanno gettato la spugna perché non riuscivano a fare quadrare i conti, ne abbiamo visti parecchi. E altri lo faranno con ogni probabilità nel 2026. Così come molti sono coloro che dovranno ridimensionare, ricorrere alla cassa (dove c’è) o alle collette. Insomma, qualcosa non torna. Non è una problematica nuova, affatto, ma è un conto arretrato che ora sta arrivando da pagare a molti. Specialmente a chi campa di soli biglietti venduti, senza sponsor o contributi pubblici come Diluvio.

Ecco che diventa particolarmente preziosa l’operazione di sincerità che sta facendo la rassegna bresciana. “Il giovedì è iniziato con un temporale alle 16. Alle 18 avremmo aperto, eravamo distrutti. Su 10 anni di Diluvio, solo un anno non piovuto. Ma quest’anno era come se quella pioggia portasse con sé delle sensazioni negative” spiega Elena Pagnoni, presidente di Diluvio. Ma quali sono stati concretamente i problemi? “Sono stati diversi, e si sono incastrati tra loro. Oltre al meteo, un insieme di scelte sbagliate fatte da noi e scommesse perse, che hanno portato a una risposta più bassa di quella che aspettavamo da parte del pubblico. E poi, su tutti, c’è l’aumento dei costi”.

Ed eccoci arrivati al punto. Quello che mina il sistema alle fondamenta. Perché fa aumentare esponenzialmente il rischio d’impresa, per arrivare (se tutto va bene) agli stessi guadagni di prima. “Abbiamo speso circa 30mila euro in più rispetto all’anno precedente (che già registrava un trend significativo di incremento). 10mila euro in più sono andati nell’artistico e altri 10mila nei palchi: una copertura per il second stage, un impianto più potente e una squadra aggiuntiva. Il terzo restante se n’è andato in spese varie, dagli allestimenti, a noleggi, vitto e alloggi”. 

Nel 2024 le cose erano andate molto bene, perché la capienza ideale del festival (mille persone circa) era stata raggiunta quasi tutte le sere, grazie ad alcune ottime “chiamate”, come il Mago del Gelato e okgiorgio, che da quando erano stati “chiusi” a quando erano saliti sul palco avevano visto aumentare molto la loro popolarità e, soprattutto, la loro fanbase. Il lavoro di direzione artistica, in fondo, sta tutto qua. Soprattutto quando non hai i budget per chiamare i superbig.

Se l’anno scorso le spese per l’artistico erano state inferiori ai 34mila euro, quest’anno hanno sfondato quota 45mila. “Forse abbiamo voluto ‘esagerare’, siamo stati supponenti. Ma la verità è che senza spendere quella cifra sentivamo di non avere un line up all’altezza”, dice Elena, che spiega come il team di Diluvio terminato l’evento avesse il morale a terra. “Ci siamo fatti delle colpe: di sicuro abbiamo sbagliato scelte di programmazione, avremmo dovuto fare qualche concerto di meno, pensare meglio al prezzo del biglietto. Forse abbiamo pensato che dopo tanti anni la gente si fidasse di noi ciecamente, a prescindere da chi saliva sul palco. Non è così”. 

E così, da mille circa, le persone sono state di media 600, con un picco il sabato sera, che non è bastato minimamente a compensare le serate più “vuote”. “Siamo un festival piccolo, con una ventina di soci operativi tutti volontari. La gente – giustamente, perché soldi in giro ce n’è pochi – ci contesta un aumento del prezzo del biglietto di 5 euro. Nessuno, a parte gli operatori del settore, sa che i cachet sono aumentati in maniera vertiginosa negli ultimi anni. Quest’anno abbiamo speso 130mila euro complessivi per fare il festival: sono tanti soldi. Un anno fa erano 100mila e 60mila nel 2021. Per non parlare dell’era pre-covid, in cui tutto era più amatoriale e non superava i 30mila euro di costi. Con queste cifre, se cadi ti fai molto male”. 

Alla fine il segno meno a bilancio è stato proprio di 30mila euro, pari guarda caso all’aumento dei costi. “Un bilancio in negativo non ci era mai successo. Per fortuna avevamo un fondo cassa accumulato negli anni passato, in cui abbiamo sempre fatto piccoli ma costanti utili. Ora li metteremo tutti o quasi per coprire il buco”. Non si può, però, pensare di programmare una nuova edizione senza un fondo cassa. Per questo Diluvio intensificherà gli eventi che fa durante l’anno e ha lanciato un crowdfunding con il meccanismo delle reward, per rilanciare la sfida.

Foto di Elena Pagnoni
Foto di Elena Pagnoni

“Crediamo nel valore della comunità che abbiamo creato insieme. Non abbiamo mai pensato Diluvio solo come un evento. Immaginiamo Diluvio come una realtà viva, che abita uno spazio, lo trasforma e lo condivide con chi lo attraversa. Diluvio è la nostra scommessa di cura, il nostro gioco serio per provare a costruire un modo diverso di stare e pensarci insieme. Non sappiamo quanto ci vorrà per risollevarci, ma sappiamo che senza le persone che ci sostengono, senza la comunità che in questi anni abbiamo costruito, non ce la faremo. Vi chiediamo di esserci. Con la comprensione, la partecipazione, il passaparola, il sostegno. Diluvio non è solo di chi lo fa. È di chiunque ci abbia ballato, cantato, sognato insieme a noi” si legge sul post di Diluvio.

La chiosa è ancora di Elena Pagnoni. “Non siamo contenti di quello che è successo, ma paradossalmente sentiamo che ci dà nuova forza. Ci fa dire: non siamo mai stati sostenibili e anche se era sempre andata bene, prima o poi doveva succedere che il meccanismo si inceppasse. Ora rimbocchiamoci le maniche e troviamo nuovi percorsi su cui muoverci”. 

 

 

 

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L'articolo Diluvio Festival: "Quest'anno è andata male: non siamo un caso isolato, il sistema è fragile" di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2025-09-09 09:34:00

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