Ojm - e-mail, 14-04-2007

(Gli Ojm - Foto da internet)

Reduci dalla realizzazione di "Under the thunder" e dalla tournée franco-ispanica, sempre e comunque coadiuvati dalla storica figura di Michael "Mc5" Davis, gli Ojm raccontano del loro ultimo anno abbondante dedicato interamente alla musica. E tocca a Massimo, scatenato batterista della formazione, riepilogare le tappe salienti del percorso. Rock on!



Partiamo dalla lavorazione del disco: come siete riusciti ad ingaggiare Michael Davis?
É avvenuto in modo molto naturale. Abbiamo aperto di spalla per i Dkt MC5 in alcune date italiane, e sia Michael che Kramer sono rimasti molto colpiti dal nostro concerto. Così ci siamo scambiati i contatti per collaborare in futuro, ma eravamo un po’ disillusi; dopo circa due mesi, invece, arrivò un pacco pieno di gadget degli MC5 con la proposta di produrci… non ci sembrava vero.

Avevate qualche timore reverenziale nei suoi confronti oppure non vi siete affatto formalizzati?
No, abbiamo subito socializzato a dire il vero. Prima di entrare in studio Mike ci ha seguito in due concerti e si é creata subito una buona intesa. É stata sicuramente un’esperienza esaltante, abbiamo “toccato con mano” un grande personaggio del rock ‘n’roll, una gran persona che ci ha colpito molto per la sua spontaneità e la sua umiltà - qualità che abbiamo trovato anche in altri artisti con cui abbiamo lavorato in precedenza come Brant Bjork.

Michael è una di quelle persone capaci di trasmetterti l’arte e la musica in maniera semplice, con piccoli gesti, per cui è stato quasi naturale trovare intesa e spontaneità. Il rock ‘n’ roll d’altronde è una cosa semplice, non c’è molto da imparare… se non di usare il cuore e lasciarsi andare.

Con la sua semplicità ci ha lasciato anche molta libera espressione, senza soffocare troppo il lavoro in studio. Insomma c’è stata molta intesa “a pelle” e a dirti la verità mi manca un po’… mi ricordo che appena ci siamo presentati abbiamo parlato di modelli di bassi in furgone come dei vecchi amici. Non c’entrava che lui fosse il bassista degli MC5 e io solo degli OJM: eravamo alla pari accomunati da quello che c’è dentro di noi e dalla passione!

Poi è stato interessante sentire i racconti di un’epoca, i suoi incontri con Iggy Pop e Jim Morrison, le storie della vita degli MC5 e gli ideali che c’erano allora. Abbiamo scoperto che comunque erano istintivi e “disgraziati” nella musica come nella vita, come noi; forse erano più politicizzati in relazione all’epoca e traevano forza da ciò.

Mi incuriosisce conoscere qualcosa in più rispetto a come in studio registrate i dischi, ovvero se optate, quando possibile, per la “presa diretta”, o più semplicemente anche voi siete ormai assueffatti alle infinite possibilità che offre uno strumento come il Pro-Tools
Preferiamo i suoni analogici e una strumentazione “vintage” poiché suona tutto meglio! Cerchiamo calore nei suoni, ma è sempre meglio mediare anche con la tecnologia, soprattutto in studio, per poter sperimentare ed essere moderni. Tutte le nostre produzioni sono comunque state registrate in analogico, fin dal primo cd (“Extended playing” del 2001, Ndr), per il quale abbiamo usato un registratore a 8 tracce per ottenere appunto il suono caldo e potente dell’analogico.

Con il pro-tools al massimo puoi registrare la voce, perché per avere un risultato buono nel nostro genere bisogna registrare su bobina… non c’é niente da fare! Infatti per questo ultimo disco ci siamo affidati ad Andreas del “Red House” di Senigallia, secondo noi il miglior studio in Italia per chi ha sonorità simili alle nostre.

Come mai avete scelto l’espressione “Under the thunder” per intitolare l’album?
“Under the thunder” è da ascoltare in cuffia durante un temporale e forse puoi capirne il perché… Comunque il motivo é semplice: il nostro grafico Davide Scapin (mailto:dee.sign@katamail.com) é il quinto componente della band e da anni che segue l’immagine di ogni nostro disco. Il suo modo di lavorare é divino, in quanto imposta il progetto ascoltando il disco in anteprima e da lì prende spunto per definire ogni volta la nostra nuova immagine. Il nostro rapporto con lui é di rispetto reciproco… e infatti i nostri titoli sono sempre d’impatto grazie alla sua capacità di accostare la nostra musica alla sua immagine.

Prima di arrivare a Michael Davis avete anche intercettato Brant Bjork, col quale siete arrivati a produrre e pubblicare un 7”. Anche quest’esperienza vi ha fatto maturare come credevate?
Brant Bjork è una persona molto umile. Lui fa musica e non è interessato al business; per lui quello che conta é suonare e dare energia al pubblico che lo ascolta. “I got time” (il titolo del 7”, Ndr) é stata una jam fatta durante un day-off nell’ ultimo tour fatto insieme a lui. Abbiamo deciso di stamparlo solo in vinile per avere un ricordo di un esperienza unica e indimenticabile.

Non sono ancora riuscito a inquadrarvi politicamente, cioè quanto e come nella vostra musica vi interessa passare certi messaggi. Una traccia come “I’m not american”, ad esempio, che finalità ha?
Amiamo la musica americana ma non l’america, condividiamo questo “significato” anche con Michael. Purtroppo tutto ciò svanisce solo nell’ideale, ma vogliamo dire che odiamo un certo tipo di sistema, senza entrare troppo in politica, che non ci piace. Odiamo questo sistema, che parte dall’ America, America come “droga” invisibile, origine di un sistema che lentamente ci distrugge fuori e dentro. America che impone senza far notare una libertà falsa e “accecante”.

Comunque la tua interpretazione può essere buona, la nostra musica trova freni in Italia, che come sai ha i suoi limiti in campo musicale, quindi ci troviamo confrontati con questo problema, con l’impossibilità di essere apprezzati in maniera più estesa.

In un’altra conversazione mi accennavi di come organizzare una tournée all’estero sia decisamente differente rispetto agli standard italiani. Raccontaci un po’ il vostro punto di vista, sia nel bene che nel male, di questa diversità
Organizzare un tour per un gruppo underground é sempre difficile: il promoter e il boss vogliono spendere poco e avere sempre il locale pieno di gente… questa é la prassi! Per cui se non porti 500 persone non vali nulla in italia, mentre all’estero guardano anche la qualità della band e sanno lavorare con molta piu profesionalità.

In Inghilterra forse é peggio dell’Italia: suoni in locali pieni di gente e il promoter ti fa bere - quando va bene - una birra e pagano pocchissimo. L’unica cosa bella é che la gente segue lo show fino in fondo e aquista cd e magliette in quantità esagerata.

Condividete spesso il palco con altre band. C’è qualcuna che preferite e altre che invece vi hanno deluso dal punto di vista umano?
I migliori sicuramente sono stati Gorilla, Small Jackets, Brant Bjork e Millionaire. Dal punto di vista umano non faccio nomi, ma in italia ci sono molti gruppi che… se la tirano per il cazzo!

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L'articolo Ojm - e-mail, 14-04-2007 di Faustiko Murizzi è apparso su Rockit.it il 2007-06-21 00:00:00

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