Julie's Haircut - e-mail, 14-05-2001

A colloquio, in via telematica, con due quarti (Nicola e Luca) dei Julie's Haircut, che scambiano quattro chiacchiere con noi dopo l'uscita di "Stars never looked so bright"...



Rockit: Vi abbiamo seguito a distanza durante la lavorazione del disco, con gli "Studio Report" - cosa che non ha fatto altro che aumentare l'attesa e la curiosità verso "Stars never looked so bright".

Più di dieci giorni in studio, per un cd che alla fine risulta piuttosto vario ma anche "messo a fuoco" in maniera impeccabile: quanto c'era di già pronto e quanto è nato dalle session con il fido Andrea Rovacchi?

Nicola: I brani erano già pronti, e anche l'idea generale del suono da dare al disco, che volevamo differente rispetto al primo. Il lavoro di registrazione, arrangiamento e cura del suono é stato fondamentale per concretizzare quell'idea, e in questo Andrea, come sempre, ha avuto un ruolo fondamentale.

Rockit: Giochiamo un po' di fantasia: vi do un budget major, un PAIO di mesi in studio e tutto il tempo che volete per mix e mastering: cosa e chi vi portereste dentro? Cosa lascereste fuori?

Luca: Un paio di mesi rischiano di essere troppi per fare un buon disco. Il pericolo è quello di perdere il necessario mordente nelle esecuzioni e lasciarsi prendere dalla pigrizia sapendo di avere tanto tempo a disposizione. Dico questo perché ho avuto modo di osservare da vicino alcuni gruppi che hanno lavorato in queste condizioni. Certo, se ci si riuscisse ad imporre la necessaria disciplina non sarebbe male avere 60 giorni per sperimentare soluzioni diverse, ma resto convinto che per fare un disco energico e vivo ci debba per forza essere questo elemento di tensione che si crea sapendo che non ti puoi permettere di perdere tempo in bazzecole.

Se devi fare un disco in 15 giorni, devi per forza di cose essere sempre concentrato sul materiale, in due mesi in studio di solito capita che tutto il tempo in più viene speso davanti alla Playstation. Diciamo che 20 giorni o un mesetto non sarebbero male per fare le cose con tranquillità ed efficienza. Per quanto riguarda chi mi porterei in studio: sicuramente Andrea Rovacchi e poi gli affiancherei Dave Friedmann o Wayne Coyne, ma se li dovessimo avvicinare solo grazie al budget stratosferico non ne vedrei l'utilità e sinceramente mi cadrebbero pure due miti...

Nicola: Non credo che il metodo e l'approccio sarebbero molto differenti da ora. Ci sarebbe più tempo a disposizione, e questo dovrebbe essere positivo. Ma la cosa fondamentale é avere delle idee precise e riuscire a concretizzarle, altrimenti puoi stare in studio anche due anni e produrre un brutto disco. Con Andrea ci troviamo benissimo.

E' chiaro che sarebbe interessante anche lavorare con un produttore artistico con una sua idea di suono ben precisa. L'unico che mi viene in mente in questo momento é Dave Friedmann, che ha lavorato con Flaming Lips e Mercury Rev.

Rockit: La maggiore attenzione per le melodie, per le ballads, per delle canzoni che fossero meno urlate e più morbide è venuta da sé o era un qualcosa di pianificato? Una necessità che avete sentito lungo il cammino o una pura coincidenza?

Nicola: Un po' tutte e due le cose, direi. Da un lato c'è stata la scelta di fare un disco diverso, almeno a livello di suono; dall'altro alcuni dei pezzi scritti dopo "Fever..." in effetti avevano un respiro più ampio e rilassato.

Luca: Innanzitutto il gruppo non è formato solo da me e Nicola: ogni "movimento sonoro" che avviene all'interno della band è dettato dallo spirito di tutti. Il modo in cui ogni pezzo risulta nella sua resa finale dipende più dal modo in cui viene arrangiato e suonato che da come era stato immaginato da chi ne ha buttato giù la struttura grezza. Comunque secondo me, se c'è stata questa parziale virata, si è trattato di una cosa sicuramente consapevole ma non pianificata.

Rockit: Che accordature aperte avete usato?

Luca: Il 98% delle chitarre del disco hanno accordature standard. Le uniche accordature aperte che ricordo in questo momento sono quelle della mia chitarra acustica in "Love Session #1" (Re, Sol, Re, Sol, Si, Re, quindi solo toniche, quinte e una terza, molto molto melodica) e una delle mie elettriche in "Everything is alright" (aperta in La, ma non ricordo esattamente come, forse avevo tenuto anche una settima): questa era però solo una chitarra di feedback che volevo suonasse come un armonia aperta su cui poi ho lavorato con il Voodoo Vibe prestatoci da Carlo degli Ateche. E' quello strano suono che si può sentire nella parte "tranquilla" del pezzo, dopo il secondo ritornello e prima delle 'strappate' finali.

Rockit: Il parto dei nuovi pezzi è durato molto? Siete quel tipo di gruppo che prova tre volte a settimana oppure, come accade ad esempio per il vecchio amico Gianca dei Joe Leaman, vi vedete 'solo in caso di necessità'?

Nicola: Le canzoni sono state scritte più o meno dall'estate '99 all'estate 2000, provate parecchie volte in sala prove e rielaborate negli arrangiamenti. Ma la forma finale l'hanno presa soltanto in studio. Non siamo mai stati un gruppo che prova molto; nell'ultimo periodo però abbiamo intensificato le prove, più che altro perché poi dal vivo la resa é decisamente migliore.

Luca: In ogni caso, non abbiamo mai in vita nostra provato più di una volta alla settimana, neppure ora. Per quanto riguarda la stesura delle canzoni, di solito abbiamo periodi di iper-produttività che devono necessariamente essere seguiti da mesi in cui i pezzi grezzi vengono sistemati fino ad una forma finale, che spesso raggiungiamo solo appena prima di entrare in studio. Anche se abbiamo molti pezzi nuovi pronti, di solito li teniamo da parte se siamo impegnati ad esempio a preparare le canzoni per i concerti dal vivo dopo che esce un disco nuovo; una volta che i concerti iniziano a funzionare, allora iniziamo a buttare nel calderone della sala prove tutto quello che abbiamo da parte e si ricomincia daccapo.

Rockit: Inevitabile, il cenno sulla polemica innescata da Matteo Perra dei Rollercoaster sulle pagine di "Fuori dal Mucchio". Cosa sono gli anni '70, ma più in generale, cosa è 'atteggiarsi' ed accomodarsi su una moda e cosa è invece il 'vero sentire seventies'...?

Nicola: Non so cosa sia il 'vero sentire seventies', e non voglio nemmeno saperlo. Mi sembra un'idiozia soltanto pensare una cosa del genere. Negli anni settanta é uscita moltissima bella musica, ma anche delle grandi cazzate.

Capisco invece cosa significhi atteggiarsi, é una cosa che non passerà mai di moda. Per quanto riguarda i Rollercoaster, bisognerebbe riflettere sul fatto che questa gente si ritiene detentrice di una verità assoluta, di un 'primato' su un suono e su uno stile. Contenti loro...

Luca: Sono domande di cui non mi frega niente... non è quello il modo in cui mi piace vivere la musica che facciamo. Forse mio padre sa cos'è il 'vero sentire seventies'... per quanto mi riguarda gli anni settanta erano latte e grana (mai omogeneizzati) somministratimi in dosi massicce da mia nonna.

Rockit: Gli Havana furono un esperimento isolato, eppure, allo stesso tempo, quel 'trip' è secondo me la dimostrazione lampante che potresti benissimo cantare in italiano con risultati pregevoli. Ti è mai nemmeno passata per la testa l'ipotesi di passare alla lingua di Dante? Sarei curiosissimo di sentirne i risultati...

Luca: Beh, li hai sentiti no? Hai appena detto di conoscere le cose degli Havana... in ogni caso questa non è un'intervista su di me, ma sui Julies, e il genere di cose che fanno i Julies richiede la lingua inglese.

Io proprio non riesco a capire tutta questa esigenza di distinguere, catalogare, dividere... non mi riferisco a te, non ti offendere, è una tendenza generalizzata. Io credo semplicemente che ogni musica abbia bisogno di un proprio linguaggio, di cui la lingua del cantato è una componente importante, che dipende dal sound generale. Sarebbe come chiedere a Nick Drake perché non usa il distorsore...

Rockit: In rete, sono circolate delle mail davvero preoccupate da parte di gruppi torinesi per le elezioni. Sembra tiri una pessima aria, tu credi che possa cambiare qualcosa per l'underground, per la musica in Italia, con l'ascesa al governo del centro-destra? Manca poco alle elezioni, non chiedo 'cosa', ma solo: voi andrete a votare? Se sì, avete già deciso per chi?

Luca: Tutti noi ieri abbiamo votato, certo (stiamo scrivendo la mattina del 14 maggio!), ognuno in propria coscienza. Non ti starò certo a dire il voto specifico di ognuno (anche perché non lo so neppure io), ma ti posso dire che tutti rientriamo nella stessa area di preferenza e che questa mattina non siamo particolarmente felici. Ma devo anche dirti che non me ne frega niente di come la vittoria del centro(?)destra si ripercuoterà sulla musica, i veri problemi sono altri, non scherziamo...

Nicola: Io sono andato a votare e ho votato Ulivo e Rifondazione. Oggi é il 14 maggio e ha vinto Berlusconi. Non credo comunque che cambierà molto per noi piccoli musicisti, secondo me questi qui non sanno neanche che esistiamo. Faranno un po' di casino con i centri sociali, ma la reazione non si farà aspettare. D'altronde, neanche Veltroni é riuscito a fare niente quand'era ministro...

Rockit: Quando il patron di casa GammaPop, Filippo Perfido, in occasione della puntata di RadioRockit dedicata alla vostra etichetta, mi ha accennato i dati di vendita di "Fever in the funk house", ti confesso che sono rimasto un po' allibito: con il battage mediatico (?), con la presenza ad un festival come il Rockaforte, con la strepitosa rassegna stampa che avete sempre avuto, i riscontri strettamente commerciali poi però non si rivelano così entusiasmanti.

Cosa vi aspettate da "Stars..."? Pensate che questa volta il nuovo distributore vi permetterà un salto in avanti?

Luca: Buon risveglio, siamo in Italia. Il nuovo distributore comunque è un altro pianeta, tieni conto del fatto che ora come prima stampa abbiamo buttato fuori un numero di copie di "Stars..." pari a quello di tre stampe di "Fever...". In una settimana abbiamo venduto quello che "Fever..." aveva raggiunto in tre mesi. Certo, il disco non si trova ancora ovunque, ma siamo molto soddisfatti per il momento, non si potrebbe pretendere di più sul mercato italiano per un gruppo al nostro livello...

Nicola: Sicuramente la pessima distribuzione di "Fever..." ha inciso, e il nuovo distributore sembra stia lavorando più seriamente. Non mi pare però che in Italia ci siano molti altri margini di espansione per un gruppo come il nostro.

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L'articolo Julie's Haircut - e-mail, 14-05-2001 di Enrico Rigolin è apparso su Rockit.it il 2001-06-04 00:00:00

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