Alberto Muffato (artemoltobuffa) - E-mail, 15-06-2007

(Alberto Muffato - Foto da internet)

Il 30 maggio è uscito "L'aria misteriosa" (Aiuola Dischi) il secondo disco di Artemoltobuffa. Un lavoro che vuole prendere le distanze dal precedente "Stanotte/stamattina": superare l'intimismo "finto", occuparsi di cose conosciute e di una realtà vissuta giorno per giorno. Una lunga intervista che parla di cambiamenti, di modi di scrivere canzoni e di parole nuove. Alberto Muffato e i linguaggi del quotidiano.



Come è nato questo secondo disco? Quali sono stati i tempi e le modalità di composizione e registrazione?
“L'aria misteriosa” è un titolo vecchio di due anni. Mi trovo molto spesso a pensare in termini astratti a come debba essere una canzone ancora prima di averla scritta o provata su uno strumento, spesso partendo da una frase o da un'immagine. Così mi è capitato anche per il disco: prima è venuto il titolo, poi una canzone, che non sapevo ancora se di fatto sarebbe entrata nel lavoro. Però c'erano dei brani che in modo istintivo sentivo di dover includere, su tutti “Le rughe sulla fronte”. Ora che è tutto bell'e fatto, il disco si compone di una decina di tracce. Queste canzoni, scelte da una rosa di più di venti pezzi, sono la punta dell'iceberg di un lavoro di scrematura più lungo e non lineare. Fra le cose escluse c'è del materiale che ritengo buono e credo possa servire per nuovi lavori. Nella scelta dei brani mi hanno molto aiutato i musicisti coinvolti nel progetto - in particolare Massimiliano Bredariol - e Fabio De Min, con cui abbiamo lavorato in stretto contatto dall'inizio del novembre del 2006 fino al marzo del 2007.

A proposito di Fabio De Min, qual è stato il suo apporto?
L'apporto di Fabio è stato fondamentale, sia sul versante esecutivo - perché s'è fatto carico dei lavori di riprese degli strumenti e di quelli di missaggio - sia su quello artistico. A lui si debbono tutte le parti di arrangiamento orchestrale, oltre che le scelte di trattamento dei suoni. Penso che molta della soddisfazione che traggo ora dall'ascolto del disco provenga dall'estrema coerenza con cui lui ha affrontato la produzione. La cosa che più mi ha stupito è stata la sua capacità di interpretare senza forzature le intenzioni di partenza dei brani, anche i meno completi e i meno riusciti. Questo suo talento ha permesso al lavoro di svilupparsi linearmente, malgrado le inevitabili false piste che è stato necessario imboccare. Abbiamo avuto pochissimi screzi e a lui va anche il merito di aver sopportato le mie proverbiali ansie da prestazione, stile ”entro domani bisogna finire tutto".

A differenza del disco precedente (“Stanotte|Stamattina”, Aiuola, 2004), in "L'aria misteriosa" hai rinunciato a filtrare la voce: perché questa scelta?
Questa è una scelta di Fabio. A lui piace che la voce suoni molto nitida (se ci pensi nei dischi dei Non voglio che Clara non esistono quasi doppiaggi o filtri vocali). La scelta però si spiega anche nella volontà di far risaltare più la scrittura dei brani, che si spera essere evocatrice di atmosfere in sé, senza bisogno di effetti. È vero anche che “Stanotte|Stamattina", sia per motivi contingenti (necessità di riempire il suono) che di gusto, straripava di coretti, filtri, doppiaggi. Volevo fare un disco che fosse diverso dal primo. In questo sicuramente ci siamo riusciti.

Nel nuovo disco sviluppi in modo più compiuto la tua idea di narratività in musica, attraverso vicende più che minimali che mi hanno fatto ricordare "Piccole storie", film del regista argentino Sorin. Come nasce e si realizza una costellazione di micronarrazioni come quella di “Estate”?
Non so se ci riesco sempre, ma io cerco di seguire una regola precisa: quella di parlare di cose che conosco bene. Mi piace paragonare l'attività di scrittura di canzoni alla scrittura diaristica. Vivendo io una vita non molto avventurosa, di provincia, e parlando il disco di vicende a me prossime, è ovvio che ci sia stato poco spazio per amori strappalacrime, denunce, ribellismo e atmosfere da grande affresco sociale. Però - questo devo dirlo! - sono un po' insofferente alle critiche di crepuscolarismo. Sono convinto che queste canzoni esprimano una maggiore apertura del vecchio disco - dove spesso c'era molta finzione - ed aprano le porte ad un corso nuovo. Il cambiamento d'ottica non vuole essere percepito immediatamente, ma per me è decisivo e cambia i termini in campo.

“Estate” stessa è un brano importante in questo cambiamento: i suoi risultati mi confortano circa la bontà della strada intrapresa. Molte persone mi hanno confessato in questi giorni di riconoscersi nelle situazioni del brano, che per me è personalissimo. Dico che è personale perché davvero non contiene nulla di inventato e vi compaiono persone reali - che si sono infatti riconosciute ascoltandolo (a parte mia sorella che per motivi di metrica non c'entrava!).

Un approccio quasi documentaristico…
In generale, in questo disco, c'è davvero poca finzione: per me questa è una conquista. Per carità, non voglio dire che l'adesione alla realtà (anche fisica) delle cose sia un valore "estetico" in sé; però per me essa ha un valore morale (scusa le parolone) che non è trascurabile, e non ha nulla a che vedere con l'intimismo e col guardarsi l'ombelico. Se potessi smaterializzarmi a Berlino nel 1922 e lì agire come un architetto radicale dell'avanguardia costruttivista (tipo quelli che sto studiando in questi giorni qui all'università per le mie attività di ricerca) o se venissi dai sobborghi di New York o Glasgow, probabilmente mi sentirei in diritto di parlar d'altro. Per ora i termini del mio problema sono Venezia-Mestre, 2007. Mi obietterai che c'è un valore anche nella proiezione fantastica in altre vite ed in altri luoghi. Ci lavoreremo.

Il pezzo "Tempo al tempo" ha un taglio sociale che mi ha ricordato per attitudine "Controfigurine" dei Perturbazione e in parte "A vita bassa" dei Baustelle: ognuno di questi pezzi attua una sorta di rivitalizzazione di un filone per il momento ancorato a modalità proprie della canzone d'autore classica. Credi che globalmente si possa parlare di un tentativo di arrivare a contenuti non intimisti attraverso nuove vie?
Con questo brano ruotiamo sempre attorno al tema del superamento dell'intimismo. Non so se sia una canzone riuscita appieno (ho sentimenti contrastanti a riguardo) e non so nemmeno se sia un brano sociale. Di certo è un primo tentativo di andare con lo sguardo al di là del privato, rischiando un po’ la retorica. Questo tentativo vuole anche reagire alla vita “reclusa” che conduco in questi anni, in cui sto seguendo attività di ricerca all'università. Enrico Veronese ha scritto che il brano, col suo presunto ottimismo, ha ambizioni di inno al futuro "Partito Democratico": l'accostamento contiene un implicito tono di rimprovero, però io lo prendo come un complimento.

Il primo disco conteneva pezzi in un certo senso generazionali (mi riferisco a “Pomeriggio d'asma" e, soprattutto, a "Stanotte|Stamattina"). Qui sembra emergere una sorta di ripiegamento verso il sè: cosa è cambiato?
Ma per me i termini sono invertiti! Non solo spero che questo disco non sia il frutto di un'involuzione intimista, sono addirittura convinto che le canzoni che tu citi del primo disco siano apprezzate per il loro eccesso di intimismo, che rasenta la finzione. In questo senso, penso che qualcosa sia cambiato: non voglio più che altre solitudini si proiettino su una solitudine generazionale un po' di maniera. Però forse dovrò ripensare a tutto il problema, perché non sei la prima persona a parlare di atmosfere da cameretta. Per contestarti ora ti cito Alberto Montesarchio, il mio tastierista:“Le orchestre in cameretta non ci stanno, non c'è spazio per tenercele. Ci stanno molto meglio i 4 tracce, le fantasie sul college e le pedaline per filtrarsi la voce”.

Il tuo approccio alla scrittura ha connotati letterari e nel primo disco citavi direttamente Gadda: in che modo la letteratura rientra nei tuoi pezzi?
Più vado avanti, più cerco di evitare forme letterario-godaniane, privilegiando toni anche colloquiali (lo dico con grande affetto per i Marlene Kuntz, ma il godanismo è un'arma pericolosa). Cerco di scrivere cose che potrei dire in qualsiasi momento della giornata (e difatti le dico e penso). Certamente i libri sono una parte della mia vita, ma penso che far canzoni abbia molto poco a che fare con la "Letteratura" e molto di più con i linguaggi del quotidiano. Inteso anche come giornale quotidiano.

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L'articolo Alberto Muffato (artemoltobuffa) - E-mail, 15-06-2007 di Marco Villa è apparso su Rockit.it il 2007-08-27 00:00:00

COMMENTI (2)

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  • utente017 anni faRispondi

    mi tocca esser d'accordo. :|

  • nur17 anni faRispondi

    Muffy la prossima volta lascia perdere De Min e fai di testa tua.
    Il disco è bello ma sembra piu uno dei nvcc con la collaborazione di muffato che il contrario!