Enzo Dong: "Il rap e Secondigliano nel mio destino"

"Dio perdona io no" è il suo primo disco. Dal rapporto con Dio a quello con lo Stato, fino alla passione di nonna per Fedez: il rapper napoletano si racconta

Ve la ricordate Gomorra? Enzo Dong è quello di "Secondigliano regna", con "Higuain" dopo e "Italia1" poi esce dai confini della Campania e macina views, ospitate, mention, ascolti e tutte le altre cose che fanno i regaz quando in mano si trovano la trap e trovano il modo di farla bene.

Ma un disco non arriva. Questo almeno fino a venerdì scorso, quando esce Dio perdona io no. Il nuovo disco di Enzo Dong è carico, tamarro e bellissimo. Caleidoscopico, pieno di immagini esagerate e coloritismi vari, dal narrato da poliziesco al parlato di Enzo ai fan, alla famiglia, allo stato. Un dische cola urgenza, tremenda urgenza, e fretta anche, affanno autentico, lavoro e lealtà: a se stessi prima di tutto, nella misura in cui significa esserlo anche agli altri. Chi lo avrebbe detto che il trapgame recente, stanco e incartato, lo avrebbe salvato dalla noia Enzo Dong. 

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Grande Rockit cazzo, vi seguivo sempre di brutto. 

Ma veramente?

Certo, la musica l'ho sempre seguita, e dove sono cresciuto io i posti in cui trovarla non erano molti. Per me, uno di questi era Rockit.

Com’è quindi oggi stare qua?

Una soddisfazione. Il mio obiettivo comunque è quello di avere una copertina di qualche magazine, prima o poi.

Noi però facciamo solo web.

No ma dico in generale, voglio arrivare lì.

Eh ma anche in generale la carta stampata non se la passa benissimo. Però te lo auguro, te lo meriteresti. Chi è Enzo Dong per chi non lo conosce?

È il risultato di quello che è stato vissuto a Scampia. È l’unione di cose che ho vissuto nella mia vita, tra la musica e Secondigliano. È Poesia Cruda, Fuossera e Co’Sang, e quello che mi hanno insegnato. Enzo è un ragazzo qualunque che rappresenta le periferie. Perché ancora oggi nei quartieri non è cambiato niente. 

Per chi lo fai?

Rappresento gli altri, uso un linguaggio forte perché è l’unico modo che ho per restituire la crudeltà della mia realtà. Faccio spaccio di verità. Ancora giro per Secondigliano, giro in bici e a piedi, al massimo con la Smart, conosco ancora bene il mio quartiere. Lo faccio per i miei ragazzi,  e racconto più la loro storia della mia. 

Il talento basta come via di fuga, per chi viene da un posto in cui immagino non siano tante le alternative alla strada?

Il talento è fondamentale, la creatività è fondamentale. Chi vive nei quartieri come il mio, dove le cose sono come sono, queste caratteristiche le vedo più forti. La cosa importante è individuare il talento, la creatività, ma anche saperle usare: se sai trasformarle in qualcosa di positivo, nella vita niente è impossibile. Io vengo dal niente e ora ho un album con Tedua, Dark Polo, Fedez.

Molti di questi tra l’altro artisticamente sono cresciuti con te.

Certamente, con la Dark siamo amicissimi da quando non avevamo niente. O Sfera, che l’altro giorno è passato a casa mia a sentire i pezzi, e penso in futuro faremo cose insieme.

Era importante per te averli nel gruppo?

Certo, l’aggregazione è fondamentale. Non voglio fare la gara tra noi, voglio unire tutti.

Si sente molto nel disco, soprattutto verso il tuo quartiere. A volte parli quasi al plurale, come se fossi il portavoce. 

Mi considero una persona molto empatica. Vedo quello che vivono i miei amici, sento molto addosso quello che passano. È fondamentale per me metterci quello che vedo sui miei amici, non solo che vivo io. È il motivo per cui nel pezzo con Tedua parlo della tragedia del Ponte Morandi: non mi riguarda personalmente ma non importa, tocca la città di un mio frate e non voglio che la gente scordi. 

Non hai paura ti accusino di strumentalizzare certe cose?

Possono anche pensarlo, o dirlo, ma non importa. So perché lo faccio, ed è perché qui si parla di rap, ed è importante che il rap continui a parlare di certe cose. Quando si parla di soldi e cose effimere non va bene, poi raccontiamo la realtà la strumentalizzaziamo. Non va mai bene, ma non importa: il rap deve raccontare una storia, e che la storia sia forte. 

Anche il modo di raccontare le cose, le parole che usi, lo sono. 

Perché la realtà non è rosa e fiori, e non posso rendere quello che vedo se non con certe parole. Dio perdona io no è questo, rappresenta il fatto che non mi accontento dei problemi, devo lottare contro le mancanze che lo stato ci ha messo addosso.

Lo senti molto il conflitto con lo stato?

Sì, lo avvertono tutti da dove vengo io.

Ci vedi una soluzione?

Credo nel cambiamento, ma internet non ci sta aiutando. I ragazzini hanno a portata di mano più cose di quelle che possono capire. L’essere umano è una spugna, poi devi essere umano a mettere un muro nella tua testa in mezzo agli stimoli che ricevi. 

Senti un senso di responsabilità verso chi ti ascolta, soprattutto il tuo pubblico più giovane?

Assolutamente. Ci tengo molto alle persone che credono in me, ci sono ragazzi che Secondigliano vengono tutti i giorni a bussarmi a casa per farmi sentire i loro pezzi e chiedermi consigli. Mi dicono che vogliono diventare come me, è ovvio che questo ti da un senso di responsabilità. Ora voglio costruirmi una carriera, ma se tutto va come deve poi voglio riportare tutto a Napoli.

Spesso la musica napoletana non viene considerata come musica italiana ma folklore, anche nell’urban: penso a nomi come Franco Ricciardi, Ivan Granatino. 

Questo è vero, ed è un peccato. Per questo è importante per me prima costruirmi una carriera lungo tutto il paese. Ma se tutto va come deve poi voglio riportare quello che sono a Napoli e restituirlo al quartiere.

Nel disco dici spesso Dove ognuno nasce giudicato. Cosa significa?

Enzo Dong. Dong = Dove Ognuno Nasce Giudicato. Ed è anche Dong per Rione Don Guanella: vengo da lì e già prima del rap mi chiamavano Enzo Dong. Io ho paura di essere giudicato: mostro come sono, ed ho paura che ci sia un giudizio su di me. C’è sempre, se poi ci metti il rap, napoli, Secondigliano..

È vero, come se dovessi rendere conto a qualcuno di essere uno che viene da Scampia. Che se fai rap e vieni da Secondigliano non puoi essere solo un rapper, ma un rapper di Secondigliano. Mi stai facendo anche realizzare che anche io ti sto facendo parlare solo di quello. 

Ma no fai bene, voglio parlarne io per primo. Non scegli dove nasci alla fine, e mi sta bene farci i conti. 

Ti senti mai in debito verso chi non è riuscito ad avere le occasioni che ti stai guadagnando tu?

Sì, spesso. Il mio riscatto è per i miei genitori. Per mio padre che ha cercato lavoro in America, per mia madre che si è arrangiata e mia nonna che mi ha cresciuto. Loro non sono riusciti a realizzarsi nella vita, ed hanno fatto sacrifici per permettere a me di farlo. Mi sento in debito con queste persone, loro hanno fatto sacrifici come quelli che ho fatto io, a volte anche di più.

Credi in Dio?

Sì. Ovviamente a Napoli siamo molto religiosi, ho la statua di Padre Pio nel palazzo e non scendo senza fare il segno della croce.Credo ci sia nell’universo una presenza buona, qualcosa che ci segue. Ci sono posti in cui la fede ti aiuta ad andare avanti.

Ti ha aiuto credere?

Ero una ragno senza nessuna possibilità di riuscire nella vita, non sapevo fare nulla, sarei finito a spacciare. Le risposte che ho, le possibilità che mi sono arrivate nel mondo della musica le ho chieste a lui, tantissime volte, in momenti brutti. 

In un brano dici “Enzo abbi fede, che poi diventi Fedez”. Sono le parole di tua nonna da come dici, è davvero così?

Fedez era il cantante preferito di mia nonna. Questo mi ha spinto a cercarlo per una collaborazione. E poi voglio sfidare le regole e andare anche dove altri non andrebbero. Fedez con me è stato una bravissima persona, e lo considero un imprenditore di successo. So che molti altri non avrebbero cercato lui, che ora è lontano da un mondo solo musicale, ma per me è stato importante averlo. È un featuring di cui vado molto orgoglioso. 

L’ultimo pezzo tira fuori il concetto del Live Fast Die Young. Ci credi davvero?

La morte è una cosa che non si può evitare. Non parlo davvero di soldi, ma del tempo che impieghi per accumularli e di quello in cui te li godi. Faccio quello che voglio fare, perché domani è tardi per agire. Devi fare oggi.

Questa modo di vedere la vita ti ha aiutato a darti da fare?

Certo. Sto cercando di lavorare sempre, fare più cose possibile. Documentarmi, leggere, andare al cinema. Il tempo va speso bene, bisogna arricchirsi sempre. Ed è il tempo la cosa più preziosa, non va sprecato mai.

Chiedi molto a te stesso?

Sì, a volte troppo. Sono molto severo. Vorrei sempre essere all’altezza dei miei pensieri, questo mi mette ansia ma è quello che ti spinge oltre.

Ed è quello che alla fine ti porta, se riesci a farti le spalle larghe, ad essere all’altezza di te stesso.

E devi farti male, se no non diventi mai più forte. 

Com’è stato trasferirsi a Milano?

Drastico. Napoli è casa mia. Se non fossi nato a Secondigliano non sarei io, e sarò per sempre di Secondigliano. Ma era necessario vivere qui, devo essere deciso e non perdere tempo. Sono tutti qui e devo esserci anche io, faccio parte di questa scena e voglio respirare l’aria comune. Uscire con Fibra, Plaza, Sfera, amici che corrono all’impazzata, mi sprona a fare sempre meglio. Ed ho già fatto aspettare troppo per questo disco.

Come mai questo tempo?

Ho avuto delle difficoltà, stavo a Napoli e non avevo orizzonti per crescere. Mi sono fermato a dove ero iniziato. Ma poi sono le cose a darti una scossa, il mondo ti porta sempre nel posto in cui devi farti trovare, solo che nel mio caso ci è voluto un po’ più di tempo.

Quando e come hai scelto il rap?

Io ho fatto l’artistico. Per un periodo volevo fare fumetti, ma poi c’erano troppi ragazzi più bravi di me. Devi essere bravo a capire a cosa sei destinato, io ho preso e lasciato il rap più volte nella mia vita. Non sempre mi sono sentito in grado. Ma ho sempre scritto, da quando ero bambino, volevo essere Tiziano Ferro o Vasco Rossi. Poi sono arrivati i Wu Tang, Rakim, Eminem, Co’Sang, Fibra. Ho capito lì che quella era la mia strada.

C’è un momento preciso?

Vedo in tv Eminem, era appena uscito Lose Yourself. Non capisco l’inglese ora, figurati un tempo. Ma io lo sentivo e piangevo, mi dava qualcosa che non avevo mai sentito, o forse mai realizzato di avere dentro. 

E quando hai capito che eri bravo?

Da ragazzino ho avuto due gruppi, un duo e un trio, ed ero sempre il più scarso. Un giorno mi sono detto che sarei dovuto diventare il migliore, ed ho iniziato a dedicare ogni giorno a diventare il migliore. Da quando me lo sono detto, l’idea di poter essere in grado di farlo ha iniziato a crescermi dentro. Ma era solo emotività, mi sembrava irrealizzabile. Era come da bambino quando capisci che non potrai mai diventare Spiderman, per me il rap era irrealizzabile. Poi sono arrivati i Co’Sang, e per me è cambiato tutto. Ho iniziato a lavorare per diventare Spiderman. 

E come la vedi ora?

Penso di essere destinato a fare questo. E che dovessi prendere da tutti i miei maestri per farne qualcosa di mio e raccontare la realtà che vedo. Mi sono chiesto chi sono, e nelle canzoni cerco di rispondermi. Anche quando scherzo sull’orologio falso, come quando l’ho regalato a SmokePurp che poi mi ha bloccato, in realtà rappresenta quello che sono nella realtà. Come da ragazzino, quando giravo al Vomero, e guardavo gli orologi degli altri e pensavo che avrei voluto rubarli. Ora uso quel pensiero nella musica, e non in strada. 

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L'articolo Enzo Dong: "Il rap e Secondigliano nel mio destino" di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2019-10-28 15:25:00

Tag: album

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