Erriquez non se n’è mai andato

Quando muore uno come Erriquez, la mancanza è un macigno. Eppure, con le sue parole e la sua storia, quelli come lui rimangono sempre. Anche per questo Finaz e l’amico Cisco hanno deciso di portare avanti il corso della Bandabardò

La Bandabardò e Cisco, foto di Gianluca Giannone
La Bandabardò e Cisco, foto di Gianluca Giannone

Bandabardò più Cisco. Oppure, Cisco più Bandabardò. Cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia. Non cambia nemmeno la voglia di ricominciare a suonare dal vivo dopo due anni di pandemia. E di provare a ripartire sfruttando nuove coordinate. Non c’è più Enrico "Erriquez" Greppi, la Bandabardò ha deciso di non sostituire la sua voce storica – anche perché sarebbe stato impossibile. La presenza di Cisco è apparsa sin da subito l’idea migliore per creare qualcosa di nuovo, per fondere repertori, per creare nuova energia. Dalla quale è nato Non fa paura, un album inatteso, in uscita oggi (20 maggio). C’è tanto da dire su questo progetto inedito, ne abbiamo chiesto conto a Cisco, al secolo Stefano Bellotti e ad Alessandro Finazzo, in arte Finaz, chitarrista della Bandabardò.

 

Tutto si può dire riguardo alla vostra unione tranne che derivi da una fusione e freddo…

Finaz: Un’unione che nasce dalle nostre radici, dalla nostra amicizia, dal fatto di aver condiviso molte volte il palco insieme. E poi Cisco, appena saputo della perdita di Erriquez, è stata una delle persone che più ci è stata vicina. Tutto questo ci ha fatto pensare che Cisco poteva essere l’uomo giusto per avviare una collaborazione. Anche perché non volevamo, e non potevamo, rimpiazzare Enrico. Enrico non può essere rimpiazzato, non può essere sostituito. L’unica parola chiave poteva essere collaborazione. Una collaborazione che impone di non prendere qualcuno che canti semplicemente i pezzi della Bandabardò, ma che possa fondere entrambi i nostri repertori. L’unico in grado di raggiungere tale obiettivo non poteva essere che Cisco. Per le ragioni esposte in precedenza, ma, soprattutto, per questioni artistiche. Per noi suonare con lui Cento passi, Onda grande o Baci e abbracci è naturale, farlo con un altro artista, per quanto ci possa essere un’amicizia o una forma di rispetto, non ci è sembrata così coerente come risposta. L’unione con Cisco è genuina, sta dando i suoi frutti, visto che, in breve tempo, abbiamo registrato un disco non previsto e organizzato un tour. Ed è stata accolta molto bene sia dai suoi fans sia da quelli della Bandabardò.

Cisco: Ha detto tutto Finaz. L’unica cosa che tengo a sottolineare è come il progetto sia nato accompagnato dal massimo della spontaneità, senza forzature, senza obblighi. Non avevamo nemmeno in mente di far uscire un disco nuovo, volevamo semplicemente trovarci in studio, magari provare un paio di pezzi da pubblicare come singoli per poi presentarli dal vivo nella tournée che avevamo programmato. Però ci siamo trovati insieme in maniera così naturale che, in quattro giorni, sono nate quattro o cinque canzoni. Abbiamo capito che valeva la pena registrare un disco: ci siamo ritrovati dopo un mese, abbiamo buttato giù altri quattro o cinque pezzi ed è nato l’album. Non avevamo nessun obbligo: se quel che veniva fuori non ci fosse piaciuto, avremmo lasciato perdere. Invece il materiale registrato ci è piaciuto davvero e l’abbiamo portato a casa. Così siamo qui, a presentare questo tour estivo bellissimo insieme e un disco che dà forza al tour stesso e alla nostra collaborazione.

 

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Cisco ai testi, la Bandabardò alla musica: il lavoro è stato diviso così o ci sono state delle, inseriamo le prossime tre parole tra svariate virgolette, invasioni di campo?

F: Ai testi doveva esserci Cisco: secondo la mia opinione, chi canta deve sentirsi addosso le proprie parole. Noi intendiamo la musica in un certo modo, lanciamo messaggi, raccontiamo storie, gente come noi i testi non può inventarseli. Cisco ha i suoi collaboratori con i quali scrive da anni, si trova bene, la gestione dei testi è stata sua. Per quel che riguarda la musica, siamo partiti da alcuni spunti che Cisco teneva nel cassetto, che la Bandabardò ha ben pensato di stravolgere, di cambiare. Per dire: dei valzerini sono diventati dei pezzi punk, altre cose hanno subito l’influenza del bluegrass o seguito altre strade. È stata veramente una grande sfida quella che ci ha unito: nemmeno noi credevamo di tirare fuori un disco di qualità in così poco tempo. Un album fatto come si facevano prima. Noi ci definiamo quasi degli artigiani della musica, vogliamo tornare a produrre dischi per passione, a produrre i suoni che ci appartengono senza scimmiottare mode momentanee o usare effetti di un certo tipo per la voce. Mi disturbano quei colleghi che ogni tanto mi dicono cose tipo ‘Hai sentito il suono di quel rullante, com’è moderno…’. Ma io dico: chi se ne frega, una canzone deve essere bella. Punto. Imagine puoi suonarla con qualsiasi pianoforte, ma rimarrà per tutta la vita una canzone bella. Bob Dylan, le cose migliori le ha fatte usando chitarra e voce. Scusa, non voglio paragonarmi né a John Lennon né a Dylan (ride, nda), voglio solo dire che quando la qualità c’è, non dobbiamo stare lì a guardare il riffettino rubato a quella cosa lì, il suono di cassa o la soluzione trovata per far quadrare il tutto. Non siamo nemmeno stati a chiamare i produttori, abbiamo realizzato tutto da soli, rifugiandoci in questo artigianato rappresentato da cose fatte con il cuore.  Musica doc, ecco. D’altra parte, in questa industria – anzi, in questa post-industria, perché l’industria discografica non esiste più – è diventato tutto liquido, tutto fruibile, la musica si cuoce, si mangia, si digerisce e si butta via passando per l’altra porta che ci sta nel retro.

Cisco, tra le pagine del tuo curriculum figura un’esperienza simile a quella che stai vivendo in questi giorni. Ricordi? Parlo dei Gang City Ramblers. Ravvedi affinità / divergenze con quel che ora stai vivendo ora con la Bandabardò?

C: In quell’occasione mescolammo i nostri repertori. Le due esperienze hanno in comune il fatto di collaborare su tutto, allora io cantavo canzoni dei Gang e loro cantavano le nostre. Con la Bandabardò sto vivendo un’esperienza molto simile, anche se stiamo parlando di entità diverse: Sandro e Marino Severini, con la loro storia, hanno raccontato il nostro Paese da una visuale sempre particolare, mentre la Banda possiede una fama da gruppo da festa. Che non vuol dire essere leggeri: le storie della Bandabardò hanno delle sfaccettature meravigliose dal punto di vista sociologico. Un clima che cerchiamo di ricreare con modalità diverse, attraverso il mio modo di essere, con le mie e le loro canzoni. Quella festa rappresenta la nostra storia, la storia della Bandabardò, la storia di Cisco senza e con i Modena City Ramblers.

Lo scorso 10 aprile, il Fatto Quotidiano ha pubblicato un pezzo dal titolo: “Bandabardò ha nuovo leader: Cisco (da Modena)”. Quanto vi siete incazzati da uno a dieci?

C: Io tanto. Forse più di loro. Mi hanno fatto un’intervista, così come adesso con te, abbiamo spiegato tutte le nostre canzoni, la loro condivisione, come erano venite fuori, poi ti trovi il titolo secondo il quale io sarei il leader della Bandabardò! Mi ha dato molto fastidio, mi sono sentito in dovere di smentire attraverso i miei social: è stata proprio una brutta uscita. Non sono il leader di nulla, non sono nemmeno il leader di me stesso, non comando neanche a casa mia, sono l’ultima persona che può reputarsi tale. Certo, ho la mia personalità, ho messo del mio nel progetto che abbiamo creato insieme, in questo disco e nel tour, come gli altri hanno messo del loro, con le proprie forze e le proprie capacità, senza che nessuno abbia dovuto dire agli altri cosa doveva o non doveva fare.

F: Noi, come Bandabardò ci siamo rimasti un po’ male. Con Cisco ci siamo detti ‘Scusa, ma veramente abbiamo detto questa cosa qui?’. La risposta è stata no! E non eravamo neanche ubriachi! Essere trattati così fa veramente male, il nostro pubblico avrebbe potuto pensare che adesso è arrivato Cisco e vuole subito comandare. Mi ritengo una persona gentile e carina, sono arrivato in punta di piedi all’interno di questo progetto e vengo trattato così! Lì per lì mi sono un po’ incazzato, poi l’incazzatura ha lasciato il posto a un sorriso: è talmente fuori di testa una cosa del genere che non abbiamo nemmeno smentito, ci siamo limitati a non condividere questo articolo offensivo, a ignorarlo. È stato un colpo basso, di basso giornalismo, di basso profilo, anche dal punto di vista professionale. Proveniente da una testata che dovrebbe stare dalla parte di gente come noi, dalla parte nostra. Da loro non me lo sarei mai aspettato.

Il titolo del disco, Non fa paura, sembra quasi un’esortazione a uscire dal buio di questi giorni cupi. Al di là della retorica, cosa può fare la musica per esorcizzare le nostre paranoie, le nostre inquietudini?

C: La musica può servire proprio perché deve tornare ad avere un ruolo nella società, un ruolo che, in questi ultimi due anni, ha perso. Parlo di condivisione, di festa, di aggregazione, di mettere insieme persone che non si conoscono e che alla fine di un concerto si baciano, si abbracciano, si amano e magari costruiranno famiglie nuove. A noi che siamo lì in mezzo da trent’anni sembra che, con la pandemia, la musica sia passata in secondo piano in termini di eventi live, di concerti, e che tutto il mondo che le gira attorno sia stato messo un po’ in disparte. Ecco, la musica deve contribuire a riportare la normalità tra le persone, soprattutto in un momento in cui il virus non è sparito. Però, è ovvio che, dopo due anni, abbiamo voglia di vivere, magari stando un minimo attenti, soprattutto adesso, con una guerra in corso nel cuore dell’Europa. Il grido di esortazione di Non fa paura vuole rappresentare un invito ad andare oltre, a vedere oltre, a cercare le cose positive anche quando sembra che non ci siano, a lottare per la pace e la fine della guerra, a superare la pandemia e tornare alla normalità. La musica, in tutto questo, ha davvero un grande ruolo. Che non è solo quello di promuovere artisti sui siti di streaming o vendere dischi, anche se non li compra più nessuno…

Foto di Gianluca Giannoni
Foto di Gianluca Giannoni

Correggetemi se sbaglio, ma mi sembra che Non fa paura sia sorretto da una sonorità che rimanda all’America…

F: No, è corretto, non sbagli e ti faccio i complimenti perché hai centrato lo spirito del disco. I tifosi dei Modena vedevano una band… irlandocentrica, quelli della Bandabardò si sentivano un po’ più vicini al centro Europa: Enrico era francofono ed è cresciuto tra Jacques Brel e Georges Brassens, passando per il grande cantautorato italiano e un po’ di flamenco. Questa volta, invece, ci siamo trovati su di un altro piano, andando incontro a Dylan e ai suoni americani. A volte ci siamo trovati a inseguire il country, altre eravamo a nord, dalle parti di New York, oppure in direzione sud, in California. È stato tutto spontaneo. Ci siamo trovati liberi da ingabbiamenti o pressioni in arrivo dalla casa discografica – che peraltro non c’erano, visto che non era in previsione la registrazione di un disco – o derivanti dal rispetto delle nostre rispettive carriere. Inoltre, non avevamo in testa di scrivere canzoni più o meno somiglianti al suono della Banda o ai suoni di Cisco. Ci siamo trovati a tirare fuori i brani che Cisco ci sottoponeva rivestendoli e, stranamente, è uscita fuori, per la prima volta, l’America. Che però è sempre stata nelle nostre corde. Confrontandoci con Cisco, abbiamo scoperto di avere gli stessi dischi in casa, da Dylan a Johnny Cash, dal rock’n’roll a chi più ne ha più ne metta.

Non fa paura l’avete definito disco generazionale…

C: Sì, il disco ha un senso generazionale. Quando scrivo, è come se parlassi ai miei figli: ne ho cinque, mi tocca farlo quotidianamente a casa, e vedo che questo modo di fare che ho si riversa nel mio modo di scrivere.

Tra i brani della tracklist brilla Gilles, una canzone che avete voluto dedicare a Villeneuve. Non è la prima volta che dei musicisti italiani ricordano il pilota canadese: per quel che vi riguarda, qual è l’aspetto di Villeneuve che più vi ha colpito?  

C: Per quelli della mia generazione, Gilles Villeneuve rappresenta un mito, uno che ha corso sempre al limite solo per la gioia di correre, senza doppi fini, senza pensare a vincere il mondiale di Formula 1, per la gioia di un sorpasso anche quando il sorpasso era impossibile. Il suo modo di fare, purtroppo, l’ha portato alla morte.

Sono un eroe è sorretta da un testo particolare, ne cito alcuni passi: “Per fortuna non ho mai vissuto guerre, solo gli spari dei soldatini (…), sempre a lamentarsi dell’Europa, delle tasse, dei governi e dei complotti, ma ottant’anni di pace nella storia non è davvero roba da tutti”. Ecco, potremmo parlarne per ore…

C: Una canzone scritta prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Ci siamo trovati con questo pezzo tra le mani e ci siamo chiesti: ‘E adesso che facciamo con Sono un eroe?’. Si tratta di un brano che parte dalla pandemia, che vuole rappresentare una sorta di invettiva contro quelli che pensano di aver salvato il mondo dopo un intervento suoi social. Quando parlo dell’eroe che griglia la salsiccia con la birretta in mano, penso alla mia generazione, una generazione baciata dalla fortuna, che non ha vissuto conflitti nel proprio territorio. Poi penso ai miei nonni, che hanno vissuto due guerre mondiali, che hanno allevato chi sei chi nove figli. Allora, se devo pensare a degli eroi, penso ad altre figure.

L’album contiene un paio di rifacimenti ispirati al vostro canzoniere: Manifesto per la Bandabardò e Onda Granda di Cisco. Come mai la scelta è caduta proprio su questi due brani?

F: Volevamo far capire che sul palco, e quindi anche su disco, avrebbero convissuto entrambi i nostri repertori. Cisco ha sempre espresso il suo amore per Manifesto, ci si è sempre ritrovato, ma dovevamo vivere la canzone in un altro modo. La versione del disco sembra uscita dagli American Recordings di Johnny Cash. Per quel che riguarda Onda Granda, la scelta è stata proprio mia: è una canzone che mi piace molto e, tra le altre cose, fu registrata con le mie chitarre e con l’apporto di Donbachi, il bassista della Banda. C’era già dentro un pezzo di Bandabardò, insomma. In studio ne abbiamo dato una versione bandistico. L’unico pezzo che suona in stile vecchia Bandabardò lo ha scritto Cisco! Sorprendente, vero?

Poi bisogna parlare della cover di Una gita sul Po, di Gerardo Carmone Gargiulo. Come vi è venuto in mente di ripescarla?

C: Una gita sul Po la cantavo sin da quando ero bambino, anche se, a un certo punto, l’avevo dimenticata. Ne ho sentito un frammento l’anno scorso non so in quale trasmissione radiofonica, si è accesa una lampadina in testa che mi ha fatto ricordare la canzone. Mi sono chiesto: ma è possibile che in quarant’anni nessuno ne ha mai interpretato una versione più aggiornata? Una volta entrati in studio, ho proposto di farne una cover, pensando che sarebbe stata perfetta per noi. L’ho fatta sentire alla Banda, alcuni di loro la conoscevano già ed è stato naturale portarla a casa. Per quel che mi riguarda…  stiamo parlando di un pezzo epocale!

Perché quel robottino in copertina?

C: Perché rappresenta un mondo, il nostro mondo di vecchi dinosauri che giocavano con i robottini di latta e con tutti quegli oggetti che adesso sono considerati vintage. Un mondo scomparso, che raccontiamo nel disco ma senza nostalgia. Crediamo sia giusto raccontare chi siamo e da dove veniamo per capire meglio il presente e il nostro futuro.

Qual è stato l’aspetto più sorprendente della lavorazione del disco?

C: Da parte mia, ho scoperto una parte musicale della Bandabardò che immaginavo esistesse, ma che non conoscevo. Tanto che quando arrivava in studio un’idea per un pezzo nuovo pensato nel loro stile musicale, vedevo che loro, tranquillamente, stravolgevano tutto, portandosi da un’altra parte. Per loro era una cosa naturale. All’inizio, mi sono sentito un po’ spiazzato, dopo ho capito che avevano un sacco di frecce nel loro arco, e che le hanno sfruttate benissimo. È stato un piacere vederli lavorare in questo modo, davvero un piacere.

F: Per quel che ci riguarda, è stata la conferma del valore di un’artista che stimiamo. Devo dire che la paura di avere a che fare con un leader capace di schiacciarci poteva anche esserci, invece, al di là dei meriti artistici che conoscevamo e non ci erano certo sfuggiti, di Cisco ci ha colpito il modo di venirci incontro, la sua razionalità, la sua dialettica, la sua elasticità. Qualità che hanno portato a elaborare insieme una scaletta live che prevede un 50% di pezzi nostri e il restante 50% di pezzi suoi. Per non parlare di quando abbiamo scelto insieme le canzoni da destinare all’album, gli arrangiamenti… È stato davvero un lavoro a quattro mani. Non era così scontato: a volte, con delle personalità forti, non sempre si riesce a smussare gli angoli.

Quante volte avete nominato Enrico mentre stavate lavorando alle canzoni del disco?

C: Ma, sai, Enrico è sempre qua con noi. Non c’è fisicamente ma c’è, perché ci sono le sue canzoni, la sua arte, le parole che ha scritto, la sua storia con la Banda. È qui con noi, sempre al nostro fianco. E ancora adesso che stiamo parlando con te magari è da qualche parte che si sta facendo quattro risate. Almeno io la vedo così, non so Finaz.

F: È esattamente così. Non aggiungerei altro.

Ricordate la prima volta in cui avete suonato nello stesso palco? Che tempi erano?

C: Ricordo esattamente la prima volta in cui ho visto la Bandabardò, Finaz ricorda anche la data…

F: I Modena City Ramblers erano già grandi, con il loro secondo disco, La grande famiglia, appena uscito. Era il primo settembre 1996, giorno del compleanno di Enrico, ci trovavamo a Castiglioncello, in provincia di Livorno, al Castello Pasquini. Loro non sapevano di avere un gruppo spalla, si son detti… va be’, facciamo suonare questi pischelletti… ma chissà chi cavolo sono. Invece si sono innamorati della Bandabardò, mentre noi eravamo già fan dei Modena, per cui è nato un amore reciproco. Da quel fatidico giorno non ci siamo mai persi di vista. Siamo andati, come Bandabardò, a un programma televisivo di Red Ronnie passando i loro video e dichiarandoci loro fans, mentre Cisco e la sua band facevano altre cose e parlavano di noi… Una sorta di cuginanza che ci ha sempre legato e continua a legarci.

C: Sì, esatto!

 

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Diteci qualcosa sul tour che vi vedrà impegnati già da questa primavera. Suppongo che dividerete il palco con qualche ospite…

F: Gli ospiti ce li teniamo tutti per il concerto del 27 maggio a Firenze, quando renderemo omaggio al nostro amato Enrico. Avendo tanti amici e tanti colleghi che ci vogliono bene, può darsi che potrà esserci qualche altra ospitata, ma saranno cose estemporanee, non mirate e nemmeno pubblicizzate. In realtà, so già che negli altri live in programma divideremo il palco con alcuni ospiti, però non abbiamo intenzione di sfruttare i nomi degli amici che verranno a trovarci: abbiamo l’idea di un concerto che somigli a una festa, vogliamo una cosa divertente, pulita, lineare, genuina come questo nostro progetto. Per cui, chi ha voglia, scoprirà la situazione.

Bandabardò più Cisco: un progetto estemporaneo oppure no?

C: Innanzitutto, è un progetto temporaneo: abbiamo dato un inizio e una fine a questa collaborazione. Poi, non sappiamo cosa succederà in futuro, non è che finisce il mondo. Però parliamo di una collaborazione che era nell’aria, che doveva esserci e che, purtroppo, avviene senza Enrico sul palco. Avrei voluto fare questo tour con Enrico di fianco a me a dividerci le canzoni. Così non è, però, come ti dicevo prima, Enrico sarà con noi. Sempre. Sul palco, tra la gente, in ogni canzone che canteremo e suoneremo.

F: Io aggiungo che, quando Cisco deciderà di riprendere la sua strada solista, noi prenderemo Dua Lipa!

E finisce in risate…

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L'articolo Erriquez non se n’è mai andato di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2022-05-20 11:20:00

Tag: album

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