Foto Profilo: Jenny Penny Full

Per ogni risposta una foto. Oggi vi presentiamo i Jenny Penny Full

Jenny Penny Full
Jenny Penny Full

Foto Profilo è la nostra rubrica di interviste con la quale continueremo a seguire la nostra vocazione primaria: presentarvi validissimi e nuovi artisti italiani. Le regole sono semplici: con ogni risposta, una foto. Oggi tocca ai Jenny Penny Full, una band veronese che ci ha piacevolmente sorpreso con l'ep di debutto "Eos", uscito per Vaggimal Records.



Chi sono i Jenny Penny Full, come avete iniziato, e da dove viene il vostro nome?

I Jenny Penny Full sono Giulia Giovanni Luigi e Stefano, quattro amici che volevano cambiare il mondo partendo da un bar, quattro amici e una passione viscerale per la musica e le sue rappresentazioni stilistiche. Proprio grazie alla musica nell’estate del 2013 ci siamo incontrati, quasi per caso, grazie ad una serie di eventi fortuiti e alla lungimiranza di alcuni amici che hanno intravisto un qualcosa nel nostro comune modo di esprimerci attraverso gli strumenti. Abbiamo quindi iniziato a trovarci, a suonare e comporre insieme "al bagolo", la storica (per noi) taverna (ma non solo) sotto casa di Giulia, tra i campi di kiwi, pomodori, asparagi e fragole di porto S.Pancrazio, ad un passo dal fiume, con un asino di nome Garibaldi (pace all'anima sua) e la vista sul Baldo e sui colli di Verona. “Jenny Penny Full” forse è uno stato d'animo, ma non ha un significato di per sé, avevamo bisogno di un nome che identificasse noi quattro e quello che ne è uscito è stato l’esito spontaneo di un pranzo passato tra di noi a casa di Giulia.



Parlando del vostro album, avete scritto di aver voluto comunicare un concetto semplice, quello della spazialità : come si dispiega quest'idea nella vostra musica?
La volontà è stata, ed è, quella di trasmettere con il nostro sound sensazioni ed emozioni che hanno l’obiettivo di immergere l’ascoltatore in uno spazio vitale dominato da una quiete irreale e lontana dalla frenesia palpabile della realtà quotidiana. La spazialità è la parola chiave di lettura del disco, approfondita nel corso della composizione nelle sue mutevoli interpretazioni. A tratti sono stati privilegiati i momenti di pausa e i silenzi all’interno delle canzoni facendone un tratto distintivo, creando atmosfere, linee vocali e arrangiamenti che in certi casi suscitano immagini associabili ad ampi orizzonti o universi extraterrestri come in Liquefy. In altri la spazialità è uno stato d'animo che ci ha accompagnato nella composizione, come nelle parole e nella semplice melodia di Pocket Full of stones.



"Eos", il nome del vostro album, è quello della dea greca dell'aurora: esiste un collegamento concettuale o musicale dietro a questa scelta?
Esiste un collegamento ed è legato alla spazialità, la spazialità che l’immagine dell’aurora riesce ad evocare in noi più che alla figura della dea in sé, rappresentata amabilmente nella copertina del disco da un amico (Tommy Verità). Il nostro lavoro musicale, così come la nostra predisposizione alla musica nasce per essere evasione dal caos. Ci piace definire "EOS" come una carezza che sopisce animi in tumulto, voce e suono che ha l’intento di creare spazio tra i pensieri. La nostra ricerca musicale e spirituale muove in questo senso, e rincorre cercando di far propria l'ARMONIA che la natura indirettamente ci insegna.



I titoli dei pezzi del vostro album sono tutti legati alla natura: oceani, montagne, rocce, sole. Da dove nasce questa suggestione?
Il legame che ci porta a considerare questi elementi naturali parte integrante della nostra capacità espressiva si rifà prima alla nostra appartenenza al genere umano che all'ambiente musicale (non dimentichiamoci questo dettaglio). I luoghi dove abbiamo avuto la fortuna di crescere e formare la nostra sensibilità ci hanno toccato nel profondo e li abbiamo, forse inconsapevolmente, associato ad emozioni forti, non sempre positive. Richiamare la forza di un elemento naturale nella nostra musica ci permette di sentire quel desiderio di spazialità che dentro di noi ricerchiamo ogni giorno, e che cerchiamo di trasmettere a chi ci ascolta quando suoniamo.
Motivo che ci ha spinto fino in Portogallo a Cabo de Roca (punto più ad occidente del continente europeo) per realizzare il video del nostro primo singolo. Anche in quel caso avevamo bisogno dell'oceano e di un luogo dove l'impronta pesante dell'uomo non si notasse: un luogo che, come cerca di fare la nostra musica, permettesse di non perdersi sui dettagli esterni, ma di accompagnare per mano l'attenzione dentro di sé. Ecco perché evocare immagini di ambienti naturali ci appartiene e ci viene (gioco di parole volutamente marcato) naturale.



Ci raccontate in cosa consiste il vostro University Flat tour? Qual è la vostra situazione ideale di concerto?
Siamo partiti qualche anno fa come gruppo busker, riuscendo quindi a non incontrare fin da subito le difficoltà legate alla programmazione dei locali, abbracciando il contatto diretto con le persone che ci ascoltavano: persone senza obblighi, che non hanno pagato nessun tipo di biglietto e che non si aspettano di ricevere nulla in cambio, persone consapevoli fin da subito di essere libere di andarsene in qualsiasi momento. L'idea di suonare per suonare, senza aspettarsi qualcosa da chi ascolta ci fa sempre stare molto bene e riesce a smuovere, durante il live, un tipo di libertà creativa che non in tutti i concerti si percepisce, anzi. Suonare in questo modo ha fatto bene a noi e a chi ci ascoltava. L'idea dell'University Flat Tour nasce da queste riflessioni e dall’intimità che un ambiente raccolto come il salotto di una casa di studenti può dare a tutta la situazione. Gli “house concert” in realtà non sono un concetto nuovo, ma è bello ricordarsi come la musica non abbia sempre bisogno di un palco per arrivare, e, come siano le persone a creare la magia. C’è solo chi suona e chi ascolta.
Durante i live il silenzio che si creava nella stanza era palpabile, l'energia che si percepiva quando le prime note iniziavano a riempire il vuoto ci ha sempre ripagato per ogni sforzo fatto durante quel tipo di esperienza, per davvero. La nostra situazione ideale di concerto non si rifà alla dimensione del locale o alla sua notorietà, si rifà alla qualità dello spazio e al tipo di relazione che riusciamo ad instaurare con le persone, consapevoli che la musica live è un arte legata intimamente nella sua espressione al tempo, e quindi come tipo di esperienza unica e non ripetibile.
Ps. La cena era sempre preparata da noi. Polenta, funghi, formaggi e peperoni.

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L'articolo Foto Profilo: Jenny Penny Full di Claudia Bertolini è apparso su Rockit.it il 2016-04-19 13:11:00

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