Frah Quintale, la superstar che gioca al campetto

Abbiamo incontrato – e fotografato – l'artista bresciano alla vigilia del suo nuovo disco "Banzai - Lato Arancio" e di un tour che promette che sarà "una bomba". "Passo da Mengoni a Deda: amo cambiare e accontentare solo me stesso", racconta Frah nella nostra intervista

Frah Quintale fuori dallo studio Mobsound di Milano - tutte le foto sono di Marco Previdi
Frah Quintale fuori dallo studio Mobsound di Milano - tutte le foto sono di Marco Previdi

La ricerca della libertà creativa, dell’espressione sincera a tutti i costi sembra essere la stella polare di Frah Quintale. Una volta rapper, poi cantautore rivelazione con l’album Regardez Moi e puntatine nel pop da classifica con Takagi & Ketra e Marco Mengoni, senza paura di sbagliare, di andare fuori dal seminato. A ogni pubblicazione ha dimostrato di saper fare bene “la sua cosa”, come dice lui, e di farla bene, anche fuori dai propri confini.

Frah Quintale reinventa ogni volta la propria scrittura, raccontando non solo la musica ma anche il progetto in maniera inedita a ogni nuovo traguardo. Se Regardez moi è diventato Lungolinea, con l’aggiunta di demo, messaggi vocali e bozze scarabocchiate, che hanno trasformato il primo disco in una playlist integrata che raccontasse la genesi del disco stesso, la seconda attesissima fatica discografica dell’artista bresciano è stata divisa in due album gemelli: dopo la malinconia di Lato blu pubblicato lo scorso anno (è stato uno dei dischi più interessanti di un anno difficile da dimenticare per vari motivi), ora è il momento di Lato arancio, dai suoni più solari e chill, con le ospitate di Franco126, Carlo Corbellini dei Post Nebbia e Ramiro Levy dei Selton.

Il tutto preceduto da un bellissimo regalo ai fan qualche settimana fa, un centinaio di gerbere distribuite in giro per una Milano appena liberata in zona gialla, e dalla hit Appartamento con il feat. di Venerus e un bel video registrato in Santeria a Milano.

Banzai è il titolo del progetto, pensato come doppio concept, con una fortissima attitudine r'n'b, strumenti molto più vivi, una attitudine che verrà portata anche sul palco del prossimo progetto live. Siamo entrati nello studio Mobsound di Milano, dove Frah sta provando con la sua band in vista del suo tour estivo: sul nostro profilo Instagram caricheremo anche delle spettacolari clip live, antipasto dei brani che potrete sentire in tour. Con Frah ci sono il fido Bruno Bellissimo al basso e il gemello Bonito Bellissimo alla batteria e la "new entry" Benjamin Ventura alle tastiere.

Mi ha sempre incuriosito il tuo non avere generi, nasci quasi rapper, poi entri nella cosiddetta scena indie, poi fai cose super pop: tu come la vivi questa fuga dalle etichette?

Non mi sento di incasellarmi, nel senso che mi ritengo tutto e niente di tutte queste cose: vengo dal rap ma non sempre rappo, sono pop, mi ci puoi mettere lì in mezzo, ma me la vivo come viene. Più di tutto conta la mia libertà di esprimermi come voglio, quando voglio, poi dove vengo incasellato è un problema degli altri. Fare musica è un modo in cui esprimermi ma neanche l’unico: mi piace anche disegnare, faccio tante cose e diciamo che l’esigenza è l’espressione.

Questa cosa ti complica la vita nella scrittura?

Cerco di fare quello che mi piace in primis, quello è fondamentale, non farei mai qualcosa che non sento o che non piace. Con Mengoni, sulla carta, sembrava una cosa lontana dal mio mondo, ma per me è stata una bella sfida perché ho portato la mia cosa in quel mondo là, ed è curioso vedere i tilt che scaturiscono da queste cose.

Sembrava che finalmente ti avessero convocato in Serie A: dopo quella esperienza, guardi differentemente alla tua professione?

Sapevo che sarei uscito dal mio range di robe, in quella parentesi, ma è una cosa ben fatta e sono contento perché mi ha dato la fiducia di poter essere me stesso anche in contesti belli grandi. Quando voglio vado a giocare in Serie A, ma se ho voglia resto al campetto.

E i fan come le prendono queste cose?

Chi mi conosce sa che faccio ciò che mi va di fare, non sono la tipologia di artista che si attiene solo a un suono: chi mi ascolta sa che potrebbe cambiare tutto da un momento all’altro. Mi piacerebbe che ci fosse una canzone per tutti, al di là del genere o dello stato d’animo. Se ti piace Marco Mengoni, c’è il pezzo con lui, se ti piace la roba rap c’è il pezzo con Deda e io voglio avere la libertà di fare entrambe le cose perché mi va, perché mi piace, perché è un modo di esprimermi, è importante farlo.

Non hai subito mai quella che io chiamo "Sindrome del Microchip emozionale"? I fan pretendono che ogni nuovo disco di un artista sia una copia del primo o del più importante, mentre tu cambi veste ad ogni album e sei molto cambiato rispetto agli esordi?

Il bello è questo. A me piace molto cambiare, mi annoio velocemente. Per dire: ho un solo tatuaggio, perché se mi tatuo una cosa oggi, domani potrebbe farmi schifo al cazzo, e infatti quello che ho non mi piace più concettualmente. È il mio bello, quello che mi piace del mio lavoro è non dover accontentare nessuno se non me stesso.

Il disco precedente, Regardez moi, l'avevi ripubblicato col nome di Lungolinea con l'aggiunta di demo, bozze e messaggi vocali. Questo tipo di racconto della genesi delle canzoni quanto è parte integrante del progetto?

Penso che sia fondamentale, non solo la musica ma anche tutto quello che c’è attorno. Magari anche il fatto che mi piace illustrare, disegnare, anche arricchire il tutto con, per esempio, i messaggi vocali, fa parte di me, arricchisce molto soprattutto perché non è costruita, questa cosa, se lo fosse probabilmente non farebbe lo stesso effetto. È il mio modo di essere e sono contento di avere la possibilità di applicarlo quello che faccio e sono contento che arricchisca quello che faccio, perché la musica fine a se stessa non sarebbe nemmeno così una gioia farla.

C’è qualche artista o qualche album di cui avresti voluto la versione estesa, con le demo, le chiacchiere da studio, le versioni scartate?

Forse qualcosa dei Daft Punk, direi. Loro secondo me sono dei megamaniaci a livello musicale, quindi suppongo ci siano duemila versioni per ogni pezzo. Poi l’immaginario segreto, nascosto, mi fa venire voglia di avere più informazioni possibili.

Nelle tue canzoni c’è sempre un lato malinconico, che nonostante l’allegria di molti pezzi di Banzai, è sempre dietro l’angolo.

Entra nelle canzoni perché per me fare musica è proprio una bella terapia, è uno sfogo, al di là di un pezzo preso bene o funny, la malinconia entra in modo veritiero perché quando scrivo lo faccio per aiutarmi e liberarmi. Uso la scrittura per esorcizzare delle cose, buttandole in musica. È uno sfogo per me scrivere, penso sia questo il motivo per cui esce tanta malinconia.

Anche la nostalgia? Nella tua musica c'è un richiamo all'estetica degli anni ’90 già da prima che fosse al centro del revival. Ho sempre avuto l’impressione che volessi essere l’artista più importante del 1998, più che del 2020.

Fa parte di me, sono un po’ un nostalgico. Forse faccio un po’ fatica a essere estremamente moderno nella scrittura perché forse mi piace l’estetica ’90. Sono dell’89, molte cose mi rappresentano, non sono citazioni di anni che non ho visto: ho vissuto davvero i novanta, fratello! (ride, ndr). È parte del mio percorso, la mia esperienza. La citazione del floppino veniva da Futurama, che è stato uno dei cartoni animati della mia vita. Ci sono gli anni novanta, il cartone animato, c’è Se mi lasci ti cancello, in una sola cosa ce ne sono tante.

Tu prendi ispirazione da tutte le arti per scrivere: nel disco nuovo c’è un disco, un cartone, un fumetto, qualunque cosa che ti abbia ispirato per Lato arancio?

Tornando sui Daft Punk, loro avevano fatto il cartone animato Interstella 5555 che mi ha svoltato la vita, mi ricordo che quando l’ho visto sono rimasto sconvolto. E forse Pianeta 6 è un po’ quell’immaginario, c’è anche un po’ di french touch in quel pezzo, secondo me è un chiaro riferimento a quel mondo là. Interstella potrebbe essere un bel video animato per quel pezzo.

Non trovi che la componente citazionista stia venendo fuori in molti della nuova generazione cantautorale?

Mi viene da paragonare la cosa ai meme, un’immagine che colpisce, arriva e tutti conoscono, ma a volte diventa un po’ too much, secondo me. Ci sono delle citazioni chiare e palesi a delle cose che forse hanno un po’ rotto i coglioni, onestamente, anche se quando è fatta bene è molto bella.

La copertina di Banzai - Lato arancio
La copertina di Banzai - Lato arancio

Tipo, cosa ti ha rotto i coglioni?

Se penso ai video o le canzoni che citano gli anni ’80, tutto quell’immaginario là: dal Piaggio, la spiaggia, il gelato…cioè basta regaz. Ogni cosa è figa, fa il suo percorso ma a una certa, dopo che l’hanno usata tutti satura, finisce e ne arriva un’altra, è un ciclo vitale che appartiene a tutte le cose.

E secondo te cosa citeremo, tra vent’anni, degli anni '20?

Be', chiaramente il lockdown. O gli altri temi di oggi: le questioni LGBT, il cambiamento climatico, ma più di tutti forse il Covid, non è una cosa che ci lasceremo alle spalle facilmente a breve. 

Ne porti ancora il peso? Cosa ti è stato utile per uscirne?

Ho molto bisogno di suonare, aspetto settembre e i live per potermi dire fuori. Poi la scrittura, ma è stata croce e delizia. Ho avuto tanto tempo per chiudermi e scrivere, e su delle cose è servito molto a prendermi il mio tempo e non fare le cose in fretta. Su altre cose invece avere tanto tempo ti manda in overthinking, ho avuto troppo tempo per ragionare.

C’è rapporto tra Banzai e il tempo che hai avuto per ragionare e pensare al disco?

Soprattutto il primo lockdown mi ha aiutato, ci ho chiuso il disco. Mi sono trasferito in studio e ho passato là il primo lockdown. Mi sono sentito meno solo e avevo tanto lavoro da fare, è stata una grande distrazione.

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Quando lo riascolti, ci sono ricordi precisi, momenti di svolta nella produzione del disco?

Se lo ascolto pensando a quando ho fatto le cose, ovviamente penso al lockdown, perché qualcosa prima o qualcosa durante, ma comunque è legato al lockdown. Alcuni pezzi, come Buio di giorno, era l’inizio del lockdown, mentre Pianeta 6 era a metà, in un momento in cui ero gasatissimo e volevo fare robe, mi era arrivata questa prod. di Carlo dei Post Nebbia, e mi ricordo chiaramente la sera che l’ho iniziata. 

Pianeta 6 l’hai scritta sulla base, quindi, ma capita sempre così? Hai cambiato il modo di scrivere, negli anni, dal punto di vista pratico?

No, ma perché è sempre stato casuale. A volte le cose partono da me, altre volte trovo delle produzioni di Ceri o di altri, o parto da cose che scrivo e vengono cuciti attorno i suoni. La scrittura non è cambiata più di tanto. Però ora ho questa cosa di un po’ cantare, un po’ rappare che mi permette di spaziare tra questi mondi e portarli uno nell’altro e mischiare tutto.

Una cosa che è cambiata invece sono gli strumenti più vivi nelle sonorità e finalmente l’arrivo della band sul palco. Era qualcosa che aspettavi?

Abbiamo fatto questo passo, finalmente. La formazione precedente eravamo io e Ceri, perché la cosa ci è esplosa in mano. Volevo farlo da tanto perché il mio primo approccio alla musica è stato tipo a 12 anni, con gli amici in cantina, con gli strumenti, e poi quando ho iniziato a fare rap ho mollato strumenti e sala prove, iniziando a mandare le basi. È un po’ un ritorno alle radici, sono contento perché sto riscoprendo una parte che in studio non esiste, che è provare tutti insieme, un grande momento di condivisione.

Che musica facevi a 12 anni?

Mah, facevamo certe "marciate" punk, tipo cover, pezzi nostri, robe random, con la coscienza di un bambino di 12 anni, ma figo, molto punk.

Come si chiamava la band?

Ci chiamavamo Periferica Sinistra. un po' come i Linea 77, c’era quest’autobus che si chiamava periferica sinistra, molto emo.

L’autobus riflette la tua natura di essere urbano, metropolitano. Ad esempio mi ha incuriosito l’idea delle cento gerbere per il lancio del Lato arancio, un momento molto poetico, come t’è venuta l’idea?

C’è una frase nel Lato Blu, in Buio di giorno che dice: “Nascerà un fiore con il tuo nome”. Un giorno mi è stata regalata questa gerbera e, per portarla a casa, ero in giro per Milano e mi piaceva questa immagine di camminare per la città con un fiore in mano. Mi sembrava una bella cosa da disegnare. Ho pensato che ci sono tante citazioni di fiori sia nel Lato blu che nel Lato arancio, e mi è sembrato che si chiudesse il cerchio. Volevamo fare una cosa guerriglia all’inizio, posando i fiori sulle statue, poi ho pensato “perché non facciamo una specie di caccia al tesoro per annunciare il colore del secondo lato?”

E com’è andata?

Guarda, sono molto contento perché è stata recepita molto meglio di come immaginavo. Era una delle prime domeniche di zona gialla a Milano, ed è stata anche una scusa per la gente, per uscire di nuovo di casa. Mi è sembrato avesse un effetto nella vita reale, al di là di quello che è successo su Instagram, nelle mie storie, quando una cosa smuove le persone nella vita vera per me è un gol.

Mi è sembrato un gesto di profonda gentilezza.

Regalare un fiore sembra una cazzata, ma gli stai dando una cosa di cui avere cura, non è un oggetto, è importante secondo me.

Secondo te di cosa dovremmo avere cura, in questo momento?

Dei nostri sentimenti, della nostra salute mentale e della collettività. Al di là delle vittime di questo periodo, le persone che sono state male, e hanno avuto la malattia, ci sono state vittime invisibili. L’uomo è un animale collettivo e non avere a che fare con le persone, cazzo, non è una cosa easy, al livello mentale ha fatto tanti danni. Io in primis a novembre, il secondo lockdown, non ho passato un gran periodo: fare sempre il tragitto casa/lavoro, lavoro/casa senza poter fare un cazzo, è peso. Secondo me, nel tempo a venire dovremo avere più cura di noi e delle persone che ci circondano.

C’è ancora una coscienza collettiva? 

Probabilmente verrà da sé questa cosa, ma faremo tutti un po’ più caso al fatto che non siamo da soli al mondo, che è importante stare insieme, cazzo, è innegabile. Questa roba è la prova del nove che esiste una coscienza collettiva e c’è bisogno di riconoscerla e e di prenderne atto, fare qualcosa per curarla. Servirà del tempo per riabituarsi a stare in mezzo agli altri.

Bruno Bellissimo al basso
Bruno Bellissimo al basso

E in questi due dischi del progetto Banzai quanto sono importanti gli altri, le persone che hanno lavorato con te e lo porteranno con te in tour?

La cosa più difficile è stata fare una scaletta, perché ci sono tante cose. Per quanto riguarda le persone, in questo giro live saremo in quattro sul palco, con Bruno Belissimo, il batterista, suo gemello e un tastierista. È bello vedere l’approccio di persone che non hanno lavorato al disco ma ci stanno lavorando ora, in una seconda fase. È bello il percorso dallo studio al palco di determinati pezzi, è interessante, stanno uscendo cose veramente fighe, son contento.

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Quando ascolto un album penso: “Chissà come sarà la versione live”. Di questo disco nuovo c’è un pezzo di cui ti fai la stessa domanda?

Secondo me la prima traccia, Le sigarette, è una bella bomba. C’ha anche qualcosa di videogioco di calcio, un po’ FIFA, è un bel pezzo di apertura, molto up. La cosa che un po’ mi incuriosisce ma allo stesso tempo mi inquieta è capire, per i pezzi con il bpm alto, come saranno live nei concerti di quest’estate con il pubblico seduto. E non ho idea di cosa succederà, sono molto curioso.

E cosa succederà? Proviamo ad immaginare.

Secondo me si alzerà la gente sulle sedie, è l’unica possibilità. Bisognerebbe costruire un live a seconda della condizione in cui vai a suonare, ma non tutti possono farlo. Io magari posso prendere i pezzi, svuotarli, rallentarli, renderli più leggeri e teatrali, ma non immagino tutti fare la stessa cosa. È un bel dilemma, ma secondo me c’è talmente tanta voglia di concerti, di collettività, che al di là di tutto quello che sarà, sarà una bomba.  

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L'articolo Frah Quintale, la superstar che gioca al campetto di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2021-06-03 10:30:00

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