Peawees: Fun Fun Fun

Poco da dire, hanno messo a segno il loro disco migliore: sarà l'esperienza, sarà il lasciarsi andare e abbandonare schemi ormai consumati dopo 15 anni, sarà l'ispirazione. "Leave It Behind" è una bomba. Punto. Marcello Farno ha intervistato i Peawees.



Leggendo un po' in giro ho visto che questo nuovo disco sta avendo consensi unanimi. Come ci si sente a tornare sulle scene dopo del tempo e trovare subito pareri positivi?
Ovviamente fa piacere, abbiamo lavorato su questo disco per piu di due anni e abitando tutti abbastanza lontani – due di noi stanno a La Spezia, uno a Piacenza e l'altro a Milano – è quasi liberatorio vedere che i sacrifici che hai fatto sono serviti a qualcosa.

Cos'è successo in questi quattro anni tale da far si che "Leave It Behind" suonasse così diverso da "Walking the Walk" e dagli altri vostri dischi precedenti?
Diciamo che con questo disco abbiamo smesso ufficialmente di essere un gruppo 'di genere', se così si può dire. Siamo nati nella scena punk rock anni '90, e da li in poi abbiamo sempre cercato di fare un disco diverso dall'altro. Poi piano piano, col tempo, abbiamo smesso di stare dentro a certi schemi. Quando hai vent'anni senti la necessità di appartenere a qualcosa, man mano che cresci questa necessità viene meno. Dentro questo disco abbiamo così messo tutta la musica che ci ha influenzato in tutti questi anni: il rock'n'roll, il garage, il rhythm'n'blues, il soul, il punk, senza porci nessun limite e senza preoccuparci di distaccarci troppo da quello che eravamo.

Secondo me un grande pregio del disco è che suona spassionato e felice, che prende bene, sa farsi godere. Sono canzoni nate in un particolare momento della vostra vita?
Fai conto che dopo il tour di "Walking the Walk", Livio, il nostro ex batterista, ha lasciato il gruppo. I cambi di formazione sono sempre faticosi perché ogni volta è come ripartire da capo, con una persona nuova che deve imparare i pezzi vecchi, entrare nel mood di quelli nuovi, etc. Ma talvolta cambiare line up da anche nuova energia, soprattutto quando c'è sintonia con il nuovo arrivato. Con Michele ci siamo capiti al volo, avevamo molti ascolti in comune e ci siamo trovati d'accordo sull'idea dell' album nuovo. Tutto questo crea entusiasmo, e quando c'è entusiasmo e passione di solito si fanno cose buone.

Oltre alla sinergia venutasi a creare all'interno del gruppo, intendevo più che altro se ci fosse stata qualche scintilla che abbia fatto scoccare questo nuovo modo di approcciarsi a una così vasta materia sonora, anche qualche fattore personale magari.
Credo che il fatto di non aver osato abbastanza con "Walking the Walk" sia stata una delle componenti che ci ha sicuramente dato l'input per andare oltre. È un disco di cui sono ancora contento, ma con "Leave It Behind" ci siamo lasciati andare totalmente e fondamentalmente ci siamo divertiti nel farlo. Come ho detto prima siamo usciti totalmente fuori dai dogmi del punk sebbene la nostra attitudine resta quella di quindici anni fa.

Questa cosa di uscire fuori dagli schemi, di creare cortocircuiti con altri generi è molto interessante ed è uno degli aspetti che si sente di più nel disco. Prendi ad esempio "Food for my soul", la prima traccia, che c'ha questi sentori di Motown, la sezione fiati, i cori black, tutto miscelato in salsa rock'n'roll. A proposito di questo, i pezzi li avete composti di getto, sono nati già con questa idea, oppure è stata una somma di parti che sono venute ad aggiungersi mano a mano?
La maggior parte dei pezzi sono venuti di getto, gran parte del disco è stata scritta nell'ultimo anno. "Food for my soul" è uno dei pezzi piu vecchi e l'idea dei fiati e dei cori femminili è venuta di conseguenza agli ascolti di roba nera 60s, cose della Stax, della Motown, il primo rhythm'n'blues della Atlantic. Per quanto riguarda gli arrangiamenti diciamo che avevamo tutto molto chiaro, ma per la prima volta ci siamo fatti dare una mano per i suoni in studio. Ci siamo affidati ad un produttore, Ivan Rossi (già in passato al lavoro con Virginiana Miller, Bachi da Pietra e Ronin, nda), che ha capito cosa avevamo in mente dopo aver sentito la pre-produzione. Ha registrato il disco usando vecchi microfoni e mixato direttamente sul banco.

La patina vintage, con tutti queste sonorità retro, risultava per voi funzionale anche alla riuscita del tutto immagino. Avete registrato in analogico o digitale?
Un po' e un po' a dirti la verità. Poi sì, diciamo che il suono 60s è quello che si accostava meglio a questi pezzi, anche se poi non suona come un disco degli anni 60. E questo penso sia un bene, non avrebbe avuto molto senso. Non vogliamo fare revival.

Di cosa parlano i pezzi?
Generalmente sono storie basate su cose che abbiamo visto o vissuto. Certe volte ti capita di vivere delle situazioni che ti danno l'input per un testo. Succede che intorno ad un aneddoto scrivi una storia, oppure che scrivi immedesimandoti in una persona, trascrivendo quello che ti immagini stia pensando.

Quali sono stati i dischi importanti per questo lavoro? La roba che avete ascoltato di più durante le registrazioni?
"Leave it Behind" è davvero il frutto di tantissimi e svariati ascolti. Penso che il buono di questo disco sia il fatto che a tratti suoni soul ma non è un disco soul. Suona punk ma non è punk. Suona garage ma non è neanche quello. Ma allo stesso tempo è tutto questo. Citandoti qualche album che ci ha influenzato non possiamo non parlare di "London Calling" dei Clash, che rimane sempre un punto di riferimento per l'apertura mentale. E poi Otis Redding, i gruppi femminili di metà anni '60, Bob Dylan, i Beatles, Dion and The Belmonts. Ce ne sarebbero veramente tanti da elencare.

Ritornando a quello di cui parlavi prima, tu dicevi che voi sostanzialmente non siete cambiati a livello attitudinale dagli esordi. Quanto è invece cambiato l'ambiente che si trovava intorno a voi dal '95 (anno della vostra nascita) a oggi?
Beh, sostanzialmente suoniamo per il solito motivo per cui suonavamo quindici anni fa: divertimento ed 'evasione'. Siamo sempre stati legati al circuito indipendente delle piccole/medie etichette e pian piano ci siamo creati il nostro seguito. A parte internet che per certi versi ha levato un po di magia non credo ci siano stati grossi cambiamenti. Certo, mi manca un po' vedere nella gente la passione per i dischi, adesso tutti scaricano file zip con trecento canzoni. Le piccole etichette sono le prime a risentirne e questo è veramente triste. Poi comunque non credo ci sia mai stata questa grande scena Rock'n'Roll in italia. Siamo ancora indietro rispetto a molti paesi, neanche troppo lontani, come la Germania.

Perché secondo te non si è mai costruita nel nostro paese una realtà di questo tipo?
Perché in italia la gente vuole e vorrà sempre quel tocco di nazionalpopolare che nel rock'n'roll e nelle sue sottoculture non c'è. Nonostante questo ci sono comunque band, agenzie di booking e piccole etichette molto valide, che si danno da fare a livello underground.

A fronte di ciò, avete mai pensato di trasferirvi all'estero?
Non credo che andare a vivere all'estero cambierebbe molto la situazione come gruppo. Sarebbe solo piu facile trovare quel tipo di cultura nella vita di tutti i giorni. In realtà se una band ha veramente qualcosa da dire e voglia di sbattersi riesce a farsi conoscere all'estero senza doversi trasferire. Per l'estero ci sono i tour, le etichette, i booking, le riviste specializzate.

Qualche band nuova su cui investire, che ti ha ultimamente emozionato?
Se devo essere sincero, non mi viene in mente niente di roba nuova che mi ha entusiasmato recentemente.

Il disco esce in italia per la Wild Honey Records. C'è stato come in passato anche l'interesse di qualche etichetta a far uscire il disco all'estero? Tornerete a farvi sentire in Europa e negli States con "Leave It Behind"?
Si, il disco é uscito su Wild Honey che si occuperà oltre che di quella italiana anche della distribuzione europea. A marzo del 2012 partiremo poi per il tour continentale. Siamo sempre in contatto con la nostra vecchia etichetta olandese, la Stardumb, che probabilmente pubblicherà un singolo tratto dal disco. E certo poi ci piacerebbe tornare anche negli USA, anche lì abbiamo un po' di contatti. Ci stiamo lavorando e ci speriamo vivamente.

Quanto è importante per voi la dimensione live? Cosa si impara dopo tanti anni sul palco?
Si impara molto, non soltanto per il concerto in sè. Andare in tour, conoscere gente, culture e situazioni diverse ti fa crescere ed avere una visione della vita meno quadrata.

Da qui a una decina d'anni, vi immaginate ancora a suonare?
Certo, in un modo o nell'altro finiremo per fare musica per tutta la vita.

---
L'articolo Peawees: Fun Fun Fun di Marcello Farno è apparso su Rockit.it il 2011-10-07 00:00:00

COMMENTI (2)

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia
  • pandaprepotente 13 anni fa Rispondi

    io pendo per il passo indietro.
    manca proprio il "soul" al disco. l'anima.
    l'ho ascoltato e ho fatto fatica ad arrivare alla fine.
    peccato

  • rudefellows 13 anni fa Rispondi

    grandissimi Peawees. in bocca al superlupo