Guido Elmi, storico produttore di Vasco Rossi, racconta la storia di "Bollicine"

Per la nostra rubrica "Il lavoro del produttore" abbiamo intervistato Guido Elmi, storico produttore di Vasco nonché protagonista della prima puntata di Credits, che andrà in onda il 21/6 alle 23:30 sul canale Nove

guido elmi, il produttore di vasco rossi
guido elmi, il produttore di vasco rossi - Foto di Nino Saetti

Dopo la performance di Tommaso Paradiso che ha eseguito "Bollicine" al MI AMI e pochi giorni prima delle quattro date imperiali di Vasco Rossi a Roma, per la nostra rubrica dedicata ai produttori siamo andati a intervistare l'uomo che da sempre affianca la più grande rockstar italiana: Guido Elmi. Bolognese, dirimpettaio del compianto Lucio Dalla, già al lavoro fra gli altri con SkiantosGaznevada e Stadio, è protagonista di una carriera formidabile che lo vede affiancare Vasco Rossi fin dalla fine degli anni settanta come musicista, manager, tour manager e produttore, rompendo poi intorno al 1986 e infine riprendendosi per sempre dal 1993 ad oggi.
L'occasione è ghiotta perché il prossimo 21 giugno andrà in onda su Nove la prima puntata di "Credits", in cui Guido racconta la genesi e i retroscena di uno dei dischi italiani più importanti di sempre, "Bollicine", nonché il suo intenso rapporto con Vasco. In più, Elmi ha da poco pubblicato il suo esordio come artista e cantante, che è una sorta di autobiografia in terza persona in cui è possibile leggere fra le righe le mille pieghe della sua storia. Ultimo capitolo di una carriera vissuta al massimo.


Partirei dal tuo lavoro appena uscito, "La mia legge": per un produttore è difficile incidere il proprio disco solista?
Un produttore che vuole produrre il suo disco, per prima cosa, deve chiamare un co-produttore (ride). Prodursi da soli è la peggior cosa che si possa fare: molti in Italia hanno questa malinconia del fare tutto in autonomia o che basti farsi aiutare da un fonico, ci si dimentica che il produttore è una figura importante. Quando vado a lavorare in America mi sento davvero qualcuno: lì produttore è il re dello studio, tutti pendono dalle sue labbra. Quando ho fatto sentire alcune delle mie cose a Slash dei Guns ’n’ Roses, nonostante io mi ritenga un “chitarrista della domenica”, lui le ha sempre ascoltate con attenzione. In Italia questo tipo rispetto non c’è: i giornali non ti nominano mai, all’inizio i discografici non scrivevano nemmeno i credits giusti sui dischi, per dire…

Qual è il primo compito di un produttore?
Ascoltare attentamente le canzoni. Il produttore deve ascoltare l’artista e cercare di valorizzarlo: non è il tuo disco, è il suo e tu devi seguirlo con cura ma senza forzare troppo le cose. Prendi Rick Rubin, quando ha prodotto la cover di “Hurt” dei Nine Inch Nails fatta da Johnny Cash non l’ha stravolta. Ci ha messo sei mesi per fare una canzone chitarra-voce, quello vuol dire essere un produttore. E quel pezzo fa piangere. Poi, come tutti, anche Rubin ha fatto anche delle stronzate ma, dopo aver letto parecchia roba su di lui, posso dire che rappresenta bene la mia idea di produzione. È un lavoro molto difficile il nostro, devi rispettare la voce dell’artista e dargli un sound: non puoi essere troppo musicista o troppo fonico. Non puoi essere troppo di niente, sei un produttore.

Infatti, quando poi ti sei trovato a fare un disco tutto tuo hai usato soluzioni molto diverse rispetto a quelle usate con Vasco.
Il pubblico di Vasco non ascolta la musica che ascolto io. Non che io rinneghi i miei lavori, sono orgoglioso di cosa ho prodotto e ho sempre cercato di fare del mio meglio, ma i mei gusti sono altri.

Nella puntata di "Credits" dedicata a "Bollicine" dici che quando hai iniziato questo lavoro non sapevi nulla di cantautori e di musica italiana, è vero?
Fin da piccolo ascoltavo Elvis, Joe Cocker e tutto tutto il rock’n’roll. Ascoltavo i Beatles e, quando i Rolling Stones sono usciti con i primi singoli – “I can't get no satisfaction” e poi con la cover di Chuck Berry, “Talkin' about you” – mi sono completamente innamorato di loro. Non ho mai ascoltato musica italiana fino a quando non ho scoperto Vasco Rossi. La cosa mi ha comportato non poche figuracce: un giorno ero con Lucio Dalla – che era un mio caro amico – e siamo andati a provare un pianoforte insieme a Venditti. Io gli ho detto “fammi quella tua, quella bella, Rimmel”, lui mi ha tolto il saluto per un anno (ride).

I primi due dischi di Vasco erano decisamente più cantautorali, poi arrivi tu, fate insieme “Colpa d’Alfredo” ed emerge il suo lato rock: tutto merito tuo o era una cosa che era già nell’aria?
A lui piaceva il rock e la sua voce si intonava bene con il genere. Quel sound, però, è nato da un lavoro tra me ed i due suoi chitarristi storici, Maurizio Solieri e Massimo Riva.

Facciamo un passo indietro, come hai iniziato a fare questo mestiere?
Nel team di Vasco ci sono entrato casualmente. Io volevo fare questo lavoro e, per inserirmi nel giro, mi sono improvvisato percussionista. Ho iniziato prima a suonare nei suoi dischi e poi, da “Non siamo mica gli americani” in poi, ho iniziato a suonare anche dal vivo. Il giorno che dovevamo iniziare le registrazioni di “Colpa di Alfredo” il produttore non si è presentato, e allora mi sono offerto io. Da lì ho iniziato a fare questo lavoro.

Di solito hai un metodo di lavoro preciso?
Sono molto serio e professionale: quando devo preparare un programma di lavoro scrivo dettagliatamente tutte le cose da fare. Sono sempre molto preciso, mi piace esserlo, mi dà disciplina. 

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Quanto tempo hai impiegato per registrare “Bollicine”?
Non mi ricordo più con precisione, ti direi all’incirca sei mesi. Di solito facevamo dalle dieci di mattina fino alla sera, difficilmente si lavorava anche la notte. La produzione è stata decisamente curata: spesso ci incaponivamo su un determinato suono o su un preciso strumento, oppure provavamo più turnisti fino a quando non trovavamo quello perfetto per il brano. Per la batteria di “Bollicine”, ad esempio, ne ho cambiati cinque, in più per una parte ritmica ho fatto venire da Milano Aldo Banfi con un synth enorme, grande quasi quanto lo studio. Ho speso una milionata solo per registrare tre suoni da pochi secondi l’uno.

Quindi non sei il tipo che ama passare le notti al mixer.
Quella è più una leggenda che altro, negli anni ’80 le abbiamo fatte anche noi le notti insonni a mixare fino alle otto di mattina ma diciamo che, nelle maggior parte dei casi, venivano fuori solo delle stronzate (ride). Quando ho iniziato a lavorare in America, da “Gli spari sopra” in avanti, ho imparato che ci sono degli orari: loro iniziano alle undici di mattina e alle sette e mezzo di sera smettono. Slash, Duffy, fanno tutti così, per un periodo ho frequentato i Megadeath e anche loro avevano orari simili.

Le canzoni di “Bollicine” come sono nate?
Dipende da pezzo a pezzo: per “Bollicine” avevo scritto tutta la parte strumentale, l’ho portata a Vasco e lui ha buttato giù quelle parole incredibili; idem per “Portatemi Dio” e “Deviazioni”. La musica di “Vita Spericolata” invece è stata scritta da Tullio Ferro: ha dato il provino a Vasco e lui ci ha messo parecchio per scrivere il testo.

Avevi capito fin da subito che quel pezzo, o un altro come “Una canzone per te”, sarebbero rimasti per sempre nella storia della musica italiana?
“Vita spericolata” sì, quando Vasco ha finito il pezzo ho capito subito che sarebbe rimasta per sempre. “Una canzone per te” era bella, per carità, ma era più lontana dai miei gusti. Per l’arpeggio ho chiamato Dodi Battaglia dei Pooh, che è un grandissimo chitarrista, oltre che un amico.

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Che reazione ci fu quando uscì la canzone “Bollicine”?
Sai che nessuno si è mai scandalizzato per quel pezzo? Anzi, Vittorio Salvetti era impazzito per quella canzone e la volle a tutti costi a Festivalbal. Vincemmo quell’edizione e da lì partì tutto: perché a Sanremo nessuno aveva capito “Vita spericolata” ma, dopo Festivalbar, il disco iniziò davvero a girare.

È vero che la Coca Cola voleva farvi causa?
No, non abbiamo mai ricevuto nulla da loro. Su Wikipedia trovi scritte delle cose assurde su Vasco ma non ho mai tempo di mettermi a correggerle.

“Bollicine” e “Vita spericolata” sono stati pensati fin da subito come i singoli che avrebbero trainato il disco?
Non sono mai stato uno “da singoli”, mi sono sempre piaciuti gli album. Avevo capito che per “Bollicine” serviva una sterzata nel sound. Mi spiego meglio: “Colpa di Alfredo” era stato definito dai giornalisti un disco di “rock rurale”, con “Siamo solo noi” abbiamo spinto più sul rock ma non ebbe ugualmente successo. Con “Vado al massimo” ci siamo diretti verso un suono più pop (e forse abbiamo pure esagerato). Arrivati a “Bollicine” ho capito che dovevo mettere qualcosa di diverso e di più personale: ai tempi ascoltavo i Killing Joke, certe cose della new wave e la prima dance anni ’80. Ci siamo messi d’impegno per farlo al meglio, pensa che la batteria di “Bollicine” l’ho fatta rifare anche se avevano già finito il mastering. Ci credevo molto in quella canzone, doveva essere perfetta.

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Il budget nella produzione di un disco è importante?
Per “Bollicine” mi avevano dato abbastanza soldi, ora non ricordo la cifra esatta ma era un buon budget. È stato per “Siamo solo noi” che ho dovuto mettercene di tasca mia, anzi li devo ancora prendere (ride). Io ho sempre badato più al mio percorso artistico che al tornaconto personale. Ai tempi i soldi erano importanti, oggi, con le nuove tecnologie, non sono più così fondamentali: servono ma non è detto che più tu ne abbia e meglio venga il disco. Oggi vedo più una carenza di idee.

Per un produttore il pubblico di un artista è importante?

Ma io sono un pazzo… Per farti capire: amo tantissimo l’ultimo disco di Capossela. Io farei solo dischi particolari, sono quello che deve essere sempre frenato nelle cose che fa. Io del pubblico me ne frego.

Il segreto del successo di Vasco qual è?
Bisognerebbe chiederlo alla gente. Vasco è certamente una persona molto intelligente, molto più di me. Lui è un talento vero e, in più, ha una determinazione pazzesca che non ho mai visto in nessun altro. Nonostante sia considerato da tutti uno sconvolto, sa bene quello che fa: si gestisce le sue cose e poi, se serve, chiede consigli agli altri. Io, nel mio piccolo, ho solo avuto il merito di averlo spinto a suonare ovunque, praticamente gratis. All’inizio facevamo tantissime date all’anno e questo ha creato uno zoccolo duro di fan e, al tempo stesso, gli ha insegnato a stare sul palco.

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(Vasco Rossi dal vivo, 1987) 


Se dovessi descrivermi la sua voce in una parola sola?
È una voce che comunica verità.

Ha un carattere complicato da gestire?
Ma no, non più di tanti altri.

È stato difficile conquistare la sua fiducia?
No, è stata una cosa abbastanza immediata. Ci siamo incontrati nel maggio del ’79 in un bar in via Marconi, a Bologna, e ci siamo capiti subito. Mi piaceva la sua faccia, aveva la faccia del successo. Si è creato un legame molto forte che è durato all’incirca fino all’86, dopo si è rotto qualcosa.

Che è successo?
Non mi ricordo nemmeno qual è stato il fattore scatenante, come per tutte le cose che diventano così intense, devi mettere in conto un possibile momento di rottura.

Nella puntata di Credits dici che eri diventato il suo psicologo.
C’era sicuramente un’intimità molto forte. Mi ricordo che una volta si era addormentato e io ho dovuto rompere una finestra, caricarmelo in macchina e portarlo in fretta e furia al club. Ho chiamato il locale e ho detto alla band di iniziare con l’introduzione di “Dimentichiamoci questa città” - che è lunghissima, riesci quasi a farci Bologna/Carpi solo con l’intro di quel pezzo (ride) - e così sono riuscito a portalo sul palco in tempo. Il pubblico, però, ci ha sempre perdonato questi ritardi. Poi io e lui ci siamo un po’ allontanati e ci siamo ritrovati nel nel ’93.

(foto via)

Oggi com’è il vostro rapporto?
È cambiato, io mi sto limitando alla produzione artistica mentre lui è più coinvolto nel suo lavoro. L’intimità c’è ancora - con un sms ci capiamo al volo - ma è diversa.

Con gli altri con cui hai lavorato si mai ricreata un’intimità simile?
Gli Stadio, i Gaznevada, con ogni persona con cui lavori è sempre diverso. Con gli Skiantos c’era un bel rapporto ma ci sono stati anche momenti piuttosto contrastanti. Fortis è un personaggio strano, è difficile entrare in intimità con lui. Con Alberto abbiamo fatto il disco live “L’uovo”, uscito nel ’91 e “Carta del cielo”, uscito l’anno prima. È stato un album sfortunato, l’avevamo fatto tutto con suoni anni ’80 ma la Sony ha voluto ritardare l’uscita di due anni, nel frattempo erano già arrivati i Nirvana ed era cambiato tutto.

Qual è il miglior pregio di Alberto Fortis?
È una grande persona, sia a livello umano che professionale. A volte aveva delle pose strane, dovevamo fare la promozione al disco e lui ha deciso di partire e di andare in una riserva Navajo per sei mesi.

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Era divertente lavorare con gli Skiantos?
Era divertente perché, a mio avviso, erano assolutamente dei geni. L’unico problema era che erano del tutto incapaci nel fare promozione: “Signore dei dischi” era andato anche piuttosto bene in termini di vendite, io avevo convinto Salvetti a prenderli al Festivalbar e loro quel giorno non si sono presentati. Capisci che è difficile lavorare con gente così.

Vasco invece è professionale?
Contrariamente a quando si possa pensare, oggi Vasco è molto serio, rigoroso, e anche puntuale.

Cosa hai imparato lavorando con lui?
Ho imparato un sacco di cose, la più importante è avere costanza in quello che si fa. Io e lui facciamo due lavori diversi ma da lui ho capito quanto sia importante la convinzione e la pervicacia nel portare avanti un progetto.

Il tuo ruolo nei suoi concerti oggi qual è?
Quando inizia la produzione del live preparo un’idea di scaletta e gliela propongo. Metto sempre un sacco di roba e lui lima cosa non vuole fare. Di solito segue abbastanza le mie scelte, soprattutto per alcune parti come l’inizio e la fine dello spettacolo. Poi seguo i musicisti, insegno loro i pezzi perché spesso non sono gli stessi che hanno partecipato all’album e, durante il concerto, sto al mixer a gestire i suoni insieme al fonico. È un lavoro piuttosto importante e impegnativo.

Qual è la cosa che ti piace di più del tuo lavoro?
È il mio lavoro (ride). Già quando ascoltavo Elvis o i Rolling Stones mi interessava l’aspetto produttivo di una canzone. Chiaramente è un lavoro che comporta non poche difficoltà, ma fin da bambino volevo fare questo. È quello che ho sempre sognato di fare.

"Credits" è il nuovo format di NOVE, prodotto da Better Days e Dude, dedicato ai grandi capolavori della musica italiana raccontati da chi sta - appunto - nei crediti. La prima puntata dedicata a "Bollicine" di Vasco Rossi raccontato da Guido Elmi andrà in onda martedi 21 giugno alle ore 23:30.

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L'articolo Guido Elmi, storico produttore di Vasco Rossi, racconta la storia di "Bollicine" di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2016-06-14 12:05:00

COMMENTI (1)

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  • SandroSala 8 anni fa Rispondi

    molto interessante