Immanuel Casto: "Entro l'anno il nuovo disco, in molti avranno modo di offendersi"

Come si passa da una hit come "Da grande sarai frocio" alla presidenza del Mensa, il club dei cervelloni italiani? Una chiacchierata sull'intelligenza e la stupidità umana

Immanuel Casto, nella foto di Marco Pieraccini
Immanuel Casto, nella foto di Marco Pieraccini

"Non c'è gusto in Italia a essere intelligenti", ripeteva sempre  Roberto "Freak" Antoni, suo collega e illustre concittadino (acquisito: lui è nato in provincia di Bergamo 36 anni, prima di trasferirsi a Bologna). Immanuel Casto non lo ha preso alla lettera e qualche settimana fa ha accettato la carica di presidente di Mensa Italia, l'associazione che riunisce i cittadini con il QI più alto, per la precisione coloro che hanno superato il 98° percentile della popolazione in un test d’intelligenza specifico.

Nato nel Secondo Dopoguerra a Oxford dall'incontro tra l’avvocato inglese Lancelot L. Ware e l’australiano Roland Berril, l'istituzione si è diffusa in tutto il mondo e vanta nel corso della sua storia soci prestigiosi come Isaac Asimov o Arthur C. Clarke. In Italia esiste dal 1983. Ne fanno parte imprenditori, ricercatori e anche artisti come Manuel Cuni, il vero nome del "re del Porn Groove".

Che da più di dieci anni porta in giro la sua musica fatta di beat '80, provocazioni a sfondo sessuale, dita pigiate nelle ipocrisie meno dissimulate e più odiose della nostra società. Ha realizzato tre album in studio e due collezioni dei suoi pezzi, l'ultima delle quali risale al 2018, L'età del consenso. Negli anni è diventato un piccolo culto con pezzi come Da grande sarai frocio, Tropicanal e Zero carboidrati. Ha fatto indignare e scatenato interrogazioni parlamentari, anche con l'altra sua attività, quella di produttore di giochi da tavola, sempre parecchio espliciti, come Squillo, dedicato al mondo della prostituzione.

Con lui abbiamo voluto avviare una riflessione sul concetto di intelligenza, quanto sia presente e quanto latiti nella nostra società oggi. Partendo da una nota metodologia: la parola "intelligenza" è di per sé limitate e fuorviante, tanto che il Mensa non la utilizza. Ma tant'è, accettiamo la sfida del pressapochismo e partiamo con i quesiti. 

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Come ci si sente a essere l'uomo più intelligente d'Italia?

Be', non ci si sente. Sono più che disponibile a usare una parola che semplifichi il concetto, ma per come è utilizzato oggi questo appellativo è attribuito a persone troppo diverse tra loro per caratteristiche per avere ancora un significato. 

Dacci tu una definizione di intelligenza che tenga. 

La definizione che a me personalmente piace di intelligenza è quella data da David Wechsler, a cui deve il nome la scala per il QI comunemente più utilizzata, quella che ha fissato la soglia di ingresso nel Mensa a 131. Wechsler definiva l’intelligenza come la capacità globale dell’individuo di agire con intenzione per vincere le sfide dell’ambiente. 

Cosa ti piace di questa definizione?

Anzitutto la parola "globale" dà l’idea di una cosa rotonda, sfaccettata, non di un’abilità specifica. “Agire con intenzione” vale a dire con razionalità, quindi essere consapevoli del perché si sta facendo quello che si sta facendo. E infine “per vincere con successo le sfide dell’ambiente”: tutto è una sfida dell’ambiente, da sapersi procurare il cibo all’aver ragione in un confronto dialettico. Questo modo di intendere l'intelligenza mette in relazione il potenziale con l’applicazione di quel potenziale: una persona può anche dirsi intelligente, ma se poi non consegue degli obiettivi io non la percepirò come tale.

Che ci fa con tutta questa intelligenza il Mensa?

Di tutto quel fenomeno così complesso che è l’intelligenza, il Mensa si interessa di un segmento, di una manifestazione, che è il Quoziente Intellettivo, che potremmo definire l’agilità, la velocità, l’efficienza nei processi logici. Chiaramente quello che a noi interessa non è tanto misurarci il QI a vicenda, quanto quello che viene dopo aver stabilito il superamento di una soglia.

E cosa viene dopo?

La prima cosa che fa il Mensa è mettere in contatto le persone con questa caratteristica. È di fatto un luogo di incontro. Invecchiando, risulta difficile trovare qualcuno con cui avere un dialogo soddisfacente. Più si va avanti nella vita, più diventi selettivo: le persone con cui senti di avere qualcosa in comune sono poche e hai meno voglia e meno tempo di cercare di cambiare gli altri. Il Mensa, allora, diventa un’occasione per trovarsi tra simili. Nel caso di un’associazione sportiva il minimo comun denominatore è la passione per il calcio, in questo caso è una capacità comune.

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Che attività portate avanti?

Si va da eventi ufficiali come convegni e meeting a momenti più conviviali: stare insieme, divertirsi, gite. Queste sono le attività per i soci. Per quanto riguarda il pubblico, organizziamo conferenze su tutto il territorio italiano, tenute o da soci o da persone di nostra stima, che invitiamo a parlare nel corso di eventi totalmente finanziati con i fondi associativi. Inoltre sovvenzioniamo progetti di ricerca.

Non siete qualcosa tipo una setta di illuminati o presunti tali?

Storicamente la misurazione del QI è vista con pregiudizio. Perché viene percepita come un primo step verso la discriminazione, aprendo anche a scenari eugenetici. Però lo studio di qualcosa è neutro, la verità non è buona o cattiva. Ad esempio, stabiliamo quale tipo di corporatura fisica sia più adatta per fare il salto in lungo, qual è più resistente nella corsa. E studi di questo tipo non danno fastidio. Invece nel momento in cui vai a misurare le prestazioni intellettive, sì. Tra l’altro io credo che possa dipendere da una sorta di concezione quasi creazionista per cui il corpo è diverso, ma il cervello, essendo incarnazione dell’anima, è uguale per tutti. In realtà è un organo, quindi presenta delle differenze da persona a persona. L'unica cosa che conta è cosa fai con lo studio e i dati ottenuti, e dal canto nostro l'unica cosa che ci interessa è creare delle connessioni, una comunità. E poi il Mensa non è una setta perché non è esclusivo. Non è che se uno frequenta un’associazione calcistica, allora taglia i ponti con il resto del mondo. Lo stesso per il Mensa: è un aspetto della vita di chi ne fa parte, che ciascuno vive in maniera più o meno intensa. 

Le persone intelligenti sono mediamente più infelici?

Dovremmo ancora una volta definire cosa intendiamo per intelligenza, ma, per quello che si intende comunemente con questo termine, la risposta è sì. Nei processi logici mettiamo efficienza, ma anche sensibilità, empatia, consapevolezza soprattutto. La plusdotazione può quindi comportare tutta una serie di criticità, non è poi così diverso da quello che diceva Leopardi nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: in quel testo c’è un pastore che prova invidia nei confronti della pecora dicendo "tutti i giorni tu fai questo tragitto e non senti la noia a differenza mia, perché a te manca la consapevolezza".

Ha ragione, quindi, chi sostiene che la depressione è la forma più lucida di intelligenza?

Posso solo dire che mi capita di vedere, anche negli ambienti che frequento, come quello dello spettacolo, come una sottile patina di stupidità possa proteggere una persona. E in questo senso posso provare un minimo di invidia. Fatto sta che l’essere consapevoli di se stessi, riuscire a conoscere se stessi, l’avere comprensione del mondo che ci circonda, magari comporta della sofferenza, ma non farei a cambio...

Sei un creatore di giochi da tavola molto famosi. Perché un'attività apparentemente infantile è legata all'intelligenza?

Io tendo a vedere le più alte manifestazioni dell’intelligenza umana negli ambiti in cui, per dirla con malcelato snobismo, l’uomo comune percepisce solo inutilità: quindi l’arte, ma anche la scienza nelle sue indagini più alte e più astratte, come la fisica quantistica. E poi il gioco, però attenzione: per essere tale deve essere inutile, se ci sono in palio dei soldi è un’altra cosa. Se invece è, appunto, fine a se stesso, le emozioni diventano il perno del gioco, anche quelle negative. Nei giochi da tavolo, quelli con una profondità strategica, l’emozione che regge l’esperienza è la tensione. Nei videogame ti diverti se sei teso, se provi rabbia, se sei frustrato. È interessante questa cosa: se non ci sono emozioni negative, tu non ti stai divertendo. Una cosa terribile come la vendetta, oppure la rabbia, la rivalsa, divengono esperienze belle, perfettamente inserite nella cornice in cui ci troviamo.

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Il gioco come sfogo e al contempo palestra delle emozioni?

Una palestra della cosiddetta intelligenza emotiva e, soprattutto, una palestra dell’intelligenza logica, che è esercizio. Quanti di noi, e mi ci metto dentro anche io, più volte si sono chiesti nel percorso di studi “a cosa serve la matematica”? Non serve di certo a sapere fare addizioni o equazioni: quante volte ti capita in un giorno di farne, è piuttoso sviluppo delle capacità cognitive fondamentali. Allo stesso modo, astrarsi e risolvere problemi che sono stati creati appositamente dall’intelligenza umana – e il gioco è questo: ti metto difronte a un problema, come lo gestisci? – serve a questo: allenarsi mentalmente.

La provocazione è una forma di intelligenza? 

Può essere fatta bene e può essere fatta male. Può essere fatta con intelligenza o meno. Secondo me la provocazione è una spezia. Immaginiamoci il peperoncino all'interno di una ricetta: se usato bene, rende tutto più interessante. Però, se esageri, il piatto diventa immangiabile, o viene meno la sostanza. Non è che puoi mangiare un piatto di curry. 

La tua musica è intelligente?

Oddio, qui faccio molta fatica. Ma ho la presunzione di dire di sì, ricollegandomi a quello detto prima: anche negli aspetti più leggeri del mio repertorio, ogni cosa viene fatta con consapevolezza. I miei pezzi, solitamente, presuppongono una serie di livelli di lettura. E ho proprio l’impressione che il pubblico che mi segue, tranne una parte che ama per lo più le trovate goliardiche, sia un pubblico intelligente, che non riduce la propria fruizione all’approccio bidimensionale, cui siamo abituati adesso. Nel mio pubblico, invece, c’è la ricerca di un pensiero più sfaccettato.

Chi fa musica intelligente oggi in giro?

Faccio molta fatica a risponderti.

Di certo parecchia musica è fatta con l’intelligenza artificiale, puramente algoritmica. Quindi a suo modo è intelligente, nel senso che si muove seguendo i confini dell'infallibilità (rispetto a dati criteri) di una macchina.

Quella musica può al più essere furba, mettiamola così. Più che soluzioni intelligenti si possono trovare soluzioni furbe, ma in generale io penso che una grossa parte del lavoro artistico sia opera di intellezione, soprattutto adesso. In giro c'è veramente poco di inedito. Esistono prassi per creare prodotti fatti con lo stampino, in base al genere. Ma questo non è intelligente, né tanto meno nteressante.

Il concetto di intelligenza nella musica, e la riflessione attono a essa, spesso si lega nella nostra storia recente agli artisti meno "seri", o talvolta demenziali. Penso a Jannacci, a Elio e agli Skiantos. Un caso?

Penso di no. Semplicemente il mainstream deve seguire determinate regole: un prodotto per piacere a tutti, dal bambino alla signora di una certa età, deve essere estremamente smussato, avere dei messaggi semplici, condivisibili. Anche perché dietro ci sono investimenti economici importanti, quindi deve essere "sicuro". Succede, quindi, che buona parte delle proposte mainstream non abbia molto da dire, e il contenuto tendenzialmente lo si debba andare a cercare nel cosiddetto alternativo. 

È stato un Sanremo “immanuelcastiano” quello che abbiamo visto.

Secondo me sì, penso che la manifestazione si avvicini sempre di più all’Eurovision, pur conservando una sua anima di show vecchio – e lo dico affermando che ci parteciperei con grande piacere. 

Achille Lauro, ad esempio, ti è piaciuto?

Da un lato fa sorridere che l’Italia abbia conosciuto gli anni ‘70 adesso, però sì: mi è piaciuto. Mi è piaciuta la performance che ha portato in scena.

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A quando il tuo nuovo album?

Sto scrivendo brani inediti da parecchi anni, e quest’anno finalmente vedranno la luce. Abbiamo iniziato a produrre in questi giorni. Non so ancora se farò uscire prima una parte dei pezzi all'interno di un EP e poi una seconda parte, oppure direttamente l'album intero. In ogni caso sarà entro il 2020.

Che disco sarà?

Sarà un disco diverso da quanto ho fatto sino ad ora, un disco più politico, spazierà su molti temi. Sarà un disco meno goliardico, a parte un paio di brani. E sebbene io non mi metta mai al tavolo dicendo "ok, oggi voglio offendere questa categoria di persone", penso che ci saranno tante occasioni affinché qualcuno si offenda.

Quali temi sociali toccherai?

C’è un brano che parla dell’abbattimento culturale in atto, della riduzione al sistema binario del nostro pensiero, dell’elevazione dell’uomo comune, della perdita della fiducia nelle istituzioni, dell’abbandono di un pensiero critico. Un altro parla di suprematismo bianco, ovviamente con un taglio prettamente ironico, e se non si applica il filtro critico sembrerà davvero la celebrazione dell’eugenetica. E poi un pezzo che parla di sesso fatto per mezzo di droghe ricreative più o meno sicure. Un brano che parla di dipendenze, un brano che parla di religione. 

In tutta questa vicenda del Coronavirus ci stiamo dimostrando un Paese intelligente secondo te?

Su come è stata gestita la situazione, sul ruolo delle istituzioni e quanto messo in atto non posso esprimermi. Su come è stata gestita emotivamente la vicenda, posso dire che mi ha dato un grande fastidio la politicizzazione iniziale di quanto accadeva e un una ricerca da parte di alcuni di un sensazionalismo a tutti i costi. 

NOTA BENE: L'intervista è stata effettuata il 28 febbraio, durante le prime giornate di "emergenza Coronavirus". 

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L'articolo Immanuel Casto: "Entro l'anno il nuovo disco, in molti avranno modo di offendersi" di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2020-03-15 18:02:00

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