Inoki: "Sono negazionista verso lo Stato"

Il Covid esiste eccome, è "l'antiCovid che spesso non c'è". Il rapper ritorna dopo sei anni con "Medioego", un disco intenso e potente, politico e "decisamente hip hop": per dire a tutti da dove viene Fabiano e qual è il suo posto nel mondo

Inoki, foto di Roberto Graziano Moro
Inoki, foto di Roberto Graziano Moro

A un certo punto la conversazione con Fabiano Ballarin – il rapper noto da più di 20 anni con lo pseudonimo di Inoki – accelera, le risposte si fanno più concise, qua e là affiorano segnali di tempo che va a stringersi. Sono ormai le 19 e 30 e Inoki si deve mettere a cucinare. Non tanto per la pasta con melanzane e pesce spada, quanto per il "purpu alla pignata", il polpo in umido che fa cuocere per due ore nel sugo.

"Cucino un sacco ultimamente", spiega. "Faccio quello, passo il tempo in famiglia (e con i suoi cani, che a un certo punto erano arrivati a essere 16 e stiamo parlando di lupi cecoslovacchi, ndr), gioco ai videogame su Twitch e poi concentro il lavoro sulla musica una settimana ogni due mesi, in cui mi dedico totalmente alla scrittura". 

Così è nato anche il suo nuovo disco, Medioego, fuori oggi per Asian Fake, il suo ritorno a sei anni abbondanti dal precedente lavoro. Lo ha concepito tra Milano e Torre Lapillo, Salento audace e profondo, un posto troppo popoloso d'estate e troppo tranquillo d'inverno. Sono le ultime due tappe (in realtà c'è stato anche un periodo a Perugia) di 40 anni vissuti da Nomade, come canta nel singolo che ha anticipato l'album. Da Ostia, dove è nato (in una casa occupata) a Imperia, dove la sua tag ha cominciato a girare sui muri e sui treni, da Bologna, dove è diventato uno dei nomi di prestigio della seconda ondata dell'hip hop nostrano, alla Toscana e l'Abruzzo e i mille altri posti in cui si è fermato prima di ripartire.

"Perché eri sparito?", chiede un ascoltatore durante la diretta Instagram in cui ci facciamo raccontare da Inoki la sua nuova creatura. "Non ero sparito, non ho mai smesso di fare concerti neanche per un secondo: tutti i settimana, ovunque fossi, partivo e andavo in giro a suonare ovunque mi chiamassero", spiega lui.

Un disco, però, è un'altra cosa, ed è per questo che Medioego era così atteso. Perché L'antidoto, il suo disco ufficiale precedente, risaliva al 2014. Ed è vero, in mezzo ci sono stati mixtape e singoli, e decine di live, come ha ricordato, ma erano tanti a volere qualcosa di più, ansiosi di sapere a che punto del suo percorso si trovasse Inoki mentre tutto attorno in mondo era cambiato e il suo mondo ancora di più

La risposta è un discone, 18 tracce intense e varie: una respirazione bocca a bocca pratica al rap italiano, mai così ricco e mai così smarrito. Si va da Underground – una delle due produzioni di Salmo assieme a Hype, non a caso forse i due pezzi più riusciti (e più vintage) del disco – che rivendica l'autenticità delle origini di strada di Fabiano (il ritornello che dice "Vengo da giù" riporta alla mente il pionieristico Dal Basso di Lou X) a Duomo, brano autobiografico in cui descrive il suo rapporto d'amore un po' malsano con Milano ("spero un giorno di tornarci a vivere", dice Inoki). E poi c'è Veterano, con la collaborazione di Shocca, "dove mi prendo quello che è mio nel rap italiano" e due brani super politici come Medioego e Fuck Off, molto critici (eufemismo) sulla situazione attuale, su chi ci governa e limita le nostre libertà e le differenze. 

Inoki in studio con Salmo
Inoki in studio con Salmo

E poi ci sono le produzioni di Chryverde – la maggior parte –, e Stabber , oltre a Big Joe, Garelli, Chris Nolan e Crookers, oltre al già citato Salmo. E feat. tutt'altro che scontati: quello con Noemi, voce femminile di Ispirazione, e Big Mama, e soprattutto quello di Tedua, esponente di quella new school verso cui negli anni Inoki non è stato tenerissimo (eufemismo bis).

C'è, come era lecito attendersi, molta tecnica negli incastri e c'è una rabbia in qualche modo rielaborata dagli anni e dal ruolo di padre ("la famiglia è una parte centrale della vita, inevitabilmente ha avuto una forte influenza anche in questo disco", dice Inoki). Ci sono echi fortissimi di anni '90 e primi 2000 che i fan storici non potranno non apprezzare – nello slang di Hype pare quasi di risentire quella voglia di cazzeggio e quella bolognesità fiera di un tempo che fu – assieme a suoni più contemporanei. Ma sempre con l'idea di fondo di fare qualcosa di "assolutamente hip hop", una missione che Fabiano detto Inoki si è posto tanti anni fa e a cui non ha mai rinunciato.

Qui trovate alcune delle domande che gli abbiamo rivolto e delle sue risposte, per tutte le altre (sono molte di più) vi rimandiamo alla diretta qua sotto. 

 
 
 
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Grande botta di culo trovarsi in Salento in un momento così...

Grande botta di culo, dici proprio bene. Sono venuto qua due estati fa in vacanza con l'idea di scrivere il disco: ho detto alla mia compagna "prendiamo la bambina e i cani e scendiamo" e così abbiamo fatto. Era giugno e io non ho scritto neanche una riga, perché sono andato al mare tutti i giorni. Mi dico "quasi quasi rimaniamo anche a luglio". Poi arriva agosto, poi settembre. Ci ragioniamo: "qua si sta bene, si lavora in pace, si spende poco". Poi è arrivato il Covid, e così ci siamo fatti una quarantena a suo modo fortunata. 

I brani in cui nomini il Salento, o anche solo quelli in cui questa tua "nuova vita" è evocata, mi paiono quelli più pacificati, meno arrabbiati. È così? 

Non del tutto. O meglio, questo è un posto meraviglioso e io ci sto davvero bene, ma ha anche i suoi lati oscuri, come ogni altro posto. Anzitutto vivo in un paesino, dove si avverte tutta la cattiveria e l'invidia della gente, rispetto a città grandi, in cui se vuoi ti fai i cazzi tuoi. Diciamo che nel disco ci sono quattro momenti abbastanza salentini, un paio positivi e un paio negativi. Io cerco sempre di trovare un equilibrio tra bene e male, luci e ombre. Di certo quando esco di casa e c'è questo mare, questo sole e questo vento riesco a spurgare fuori un bel po' di merda.   

Ho voglia di farmi mandare a fanculo: si può dire che Ispirazione è la tua Magnifico, il pezzo di Fedez con Francesca Michielin?

Non la conosco, t’ho fregato. Ma se intendi che c’è cantante che canta bene e un rapper che rappa male allora sì, ci somiglia.

Con Fedez ti ho visto di recente ospite di uno show, Salmo ti ha prodotto due tracce, con Vacca dalla cinghiate sei passato al rispetto. Si può dire che sei uno che litiga facilmente, non che tu sia un rancoroso. 

Io come litigo, poi faccio pace. Anche perché io ho sempre solo cercato dei confronti, un confronto intellettuaele in stile rap diciamo. Però evidentemente mi ero perso il passaggio in cui i rapper se la tirano, e ti cagano solo se ne hanno interesse. Ero abituato al periodo in cui andavi da uno e gli dicevi “oh coglione, ma che cazzo hai detto” e quello ti rispondeva per le rime. Sono rimasto un po’ indietro, un po’ fregato dai tempi che sono cambiati. E così per molti ho fatto la figura del rosicone, dell’incoerente: secondo me, invece, è solo la vita che è fatta così, di confronti e scontri. 

Inoki, foto di Roberto Graziano Moro
Inoki, foto di Roberto Graziano Moro

Come l’hai vissuto quel periodo, quando eri diventato per molti "il grande rosicone del rap"?

Con sorpresa. Dicevano che ero uscito dal giro e che parlavo per quel motivo: ma io non sono mai uscito dal giro, ho sempre fatto le mie cose, mi sono sempre sentito parte del rap italiano. Al più sono stato tagliato fuori da quel mondo in cui la gente non si parla più in faccia, e mi sta anche bene. Cercavo solo di comunicare, ma forse lo facevo in modo sbagliato. Di certo mi divertivo un sacco a provocare.

Hai detto "ho sempre creduto nell'hip hop e nei suoi valori ed era a quelli che cercavo di richiamare, poi è arrivata la Dark Polo Gang e ho pensato 'vabbè, allora fate un po' il cazzo che volete'". Personalmente, senza il tuo background, ho avuto un po' lo stesso pensiero. 

Ma sì, che senso aveva rompere il cazzo a loro? Era evidente che non c'entrasse più un cazzo con la mia visione dell’hip hop. Penso che uno abbia il diritto di fare il cazzo che vuole, così come io ho diritto di dire quello che voglio sempre. Io ho sempre fatto abbastanza soldi per sopravvivere e tanto mi bastava: il mio obiettivo è sempre stato solo fare bei dischi e suonare in giro, anzi dovevo non permettere ai soldi di condizionarmi troppo. Un artista deve pensare alle opere, non alla carriera.

Esiste un conflitto generazionale oggi?

No, perché non ci sono veri argomenti, al più un po' di contorno. E in ogni caso io vorrei eliminarlo il conflitto generazionale, perché fa male sia a "noi" che a "loro". Penso perché che siano utili sia l'incontro sia lo scontro, quando serve. Il fatto che la gente non si dica più quello che pensa, che ci si limiti a leccare il culo per paura di perdere soldi o follower è grave. Impedisce di crescere. 

Cos'è il "medioego"?

Il periodo buio che stiamo vivendo. Siamo in un'epoca medioevale in cui se dici qualcosa sei un rosicone, boomer, fake, cospiratore, complottista, matto.

Il Covid, però, esiste.

Il covid esiste, è l’anticovid che a volte non esiste. In questa situazione come in altre a non esistere per me è lo Stato. Sono negazionista su questo.

Ma con cosa e chi ce l'hai esattamente?

Con una mentalità, quella italiana – sicuramente più che in posti come la Svizzera o l'Olanda – per cui ci sentiamo fighi a fottere la gente. Solo che non siamo furbi, ce la pigliamo tutti nel culo. E infatti siamo nella merda, anzitutto a livello culturale.

Che differenza c'è con chi dice "né di destra né di sinistra"?

Che io sono sempre stato di sinistra, lo sono di cuore. Non credo di essere ambiguo, di poter sembrare un fascista. Anche se poi oggi dire fascista e comunista è talmente una cosa da boomer...

Inoki nello scatto di Roberto Graziano Moro
Inoki nello scatto di Roberto Graziano Moro

Cosa tiene assieme Joe Cassano e Tedua?

Anzitutto 28 anni, o giù di lì, di storia hip hop. Tedua ha una rabbia folle che a me affascina: veniamo da suoni diversi, ma, conoscendoci, abbiamo scoperto di essere più simili di quel che può sembrare.

Canti "vi ho visto nascere e vi ho visti morti". Di chi parli?

Parlo dei rapper. C’è gente che millanta di essere wow e poi sparisce. Li vedo nascere e in un attimo non ci sono più.

Che posto rivendichi nella storia, con questo disco?

Rivendico il mio posto, non voglio niente di più e niente di meno di quello che mi merito. Di certo in questo periodo avevo bisogno di prendermi qualcosa.

Il disco esce per Asian Fake, che ha un contratto di distribuzione con Sony. Per questo nelle scorse ore tanti hanno commentato circa il tuo "ritorno" in major, visto che tu eri stato uno dei primi artisti hip hop a raggiungere questo status, e te n'eri andato a suo tempo. Hai vissuto il condizionamento?

Al massimo diciamo che è un disco da semi-major, perché quando ho lavorato in major era tutto un altro tipo di lavoro. Asian Fake è un'etichetta indipendente, fatta da ragazzi che lavorano molto bene, e mi hanno lasciato parecchia libertà in quello che volevo fare. A me piace ancora l'idea di produrmi da solo la mia roba, ma è davvero difficile. Devi essere molto ricco, avere soldi da buttare, per fare le cose in autonomia per bene, con i budget che sono richiesti oggi per fare una produzione di livello. 

Che obiettivo ti eri posto?

Di fare un bel disco: avevo un sacco di altre tracce e abbiamo dovuto stringere a 18, cifra su cui ho dovuto convincere l'etichetta. Alla fine sono molto soddisfatto, mi ha rimesso sulla carreggiata in cui dovevo stare. 

Credi ancora che l'hip hop possa dare il riscatto collettivo, in tempi in cui siamo atomizzati?

Siamo soli e isolati fisicamente, tutto ciò è inquietante. Finché sarò vivo cercherè di spingere la gente verso un pensiero collettivo. Gli anziani ce lo dicono: “divisi si perde, uniti si vince”. L'individualismo ci sta portando a prendere un muro in faccia, forte. Quando ero piccolo ho fatto vari tour con gli Assalti Frontali e c'è stato un periodo in cui Militant A mi vedeva un po' schiavo di me stesso. È tipico dei rapper, credono un po' tutti di essere i più fighi e si dimenticano di venire da un gruppo, una crew, una piazzetta in cui facevano le rime o i graffiti. Ritornare a pensare in modo collettivo è la chiave per divertirsi di più e viversela meglio, soprattutto oggi.

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L'articolo Inoki: "Sono negazionista verso lo Stato" di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2021-01-15 09:45:00

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