Italian Punk Hardcore 1980-89: l'intervista al regista del documentario

Fanzine, sudore e facce incazzate: il regista Roberto Sivilia racconta il documentario "Italian punk hardcore 1980-89"

italian hardcorepunk 1980-89
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17/11/2015 - 10:17 Scritto da Chiara Longo

È stato pubblicato il mese scorso il dvd "Italian punk hardcore 1980-89", un rockumentary che racconta la storia di uno dei movimenti più importanti vissuti dalla musica italiana, da cui vennero fuori diverse realtà musicali tuttora riconosciute come colonne portanti del genere a livello mondiale. Il film ha avuto una gestazione molto lunga, partita nel 2003 in cui i registi hanno avuto l'idea. Abbiamo fatto due chiacchiere con uno dei responsabili del progetto, Roberto Sivilia, per farci raccontare com'è nato, e farci dare qualche anticipazione sul libro sempre curato da loro che sarà presto pubblicato e che completerà il racconto di quegli anni.

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Prima del documentario c'erano già altri progetti, come il sito LoveHate80.it. Come è nato?
A gestire LoveHate80.it siamo in tre: io, Angelo Bitonto e Giorgio Senesi. A metà degli anni '80 Angelo conduceva “Spreading The Disease”, un programma radiofonico di metal e punk su un'emittente di Ferrandina (MT) e con me e altri realizzava le fanzine M.A.D. e Irrazionalità Sconnessa. Giorgio invece gestiva la Mele Marce Records di Bari, in principio una semplice distro di materiale autoprodotto, poi trasformata in una vera e propria etichetta discografica indipendente. Angelo e io suonavamo in un gruppo hardcore punk che si chiamava Androfobia, Giorgio ci contattò proponendoci di realizzare un disco per la sua etichetta. Ci siamo conosciuti così. Il disco è uscito nel 1994 poi Giorgio si è trasferito negli USA e ci siamo persi di vista. Io ed Angelo abbiamo continuato a suonare, nel 1995 abbiamo cambiato nome al gruppo in Disumana Res. Agli inizi degli anni '00 ho lasciato Roma per trasferirmi a Milano. Appena arrivato dividevo l’appartamento con un webmaster smanettone, faceva mille cose, sperimentava. Io faccio il grafico però non sapevo nulla di programmazione web anche se mi incuriosiva parecchio. Così ho proposto ad Angelo di creare un sito di documentazione sulla prima scena hardcore punk italiana, quella degli anni '80, e con l’aiuto del webmaster, nel febbraio del 2003 è nato LoveHate80.it. L'idea è quella di mettere a disposizione di tutti più materiale possibile riguardante la vecchia scena hardcore italiana e quello dell’archivio on line ci sembrava il modo migliore per divulgarlo e preservarlo nel tempo. Quasi subito abbiamo ricevuto una mail da parte di Giorgio, nel frattempo rientrato in Italia, il quale non sapeva che dietro il sito ci fossimo noi due. Ci siamo ritrovati e ci ha dato una mano con il sito, perché oltre ad essere un grande appassionato, è una grande fonte di materiale per via dei suoi trascorsi con la Mele Marce Records e ovviamente ci faceva piacere che condividesse con noi il suo archivio. Piano piano hanno cominciato a contattarci persone attive negli anni '80, come ex membri di band, fanzinari, produttori discografici indipendenti, ecc. e il materiale a nostra disposizione aumentava.

Ed è qui che vi è venuta l'idea di fare il documentario? Perché ci avete messo tutti questi anni?
Ancora no, ma tutti quei contatti ci hanno fatto capire immediatamente che avremmo potuto pensare anche ad altri progetti e uscire dal web. La prima idea è quella di realizzare un libro: abbiamo impiegato giorni interi a pensare come strutturarlo, il titolo invece ci è arrivato come un fulmine: “Dritti contro un muro”, ispirato dal pezzo dei Negazione. Nonostante fosse la prima idea il libro è ancora il lavorazione e speriamo di farlo uscire entro il 2016. In realtà la prima produzione di LoveHate80.it è la compilation “Hate/Love”, un doppio album uscito nel 2005 in lp e cd che contiene 45 brani di altrettante band e un libretto di 48 pagine con testi, foto, bio e grafica dei gruppi. Nel 2006 invece abbiamo pubblicato un librone di 304 pagine per 1,5 kg di peso contenente la ristampa completa della fanzine T.V.O.R., Teste Vuote Ossa Rotte, nata negli anni '80 da Stiv "Rottame" Valli con l’aiuto di Maniglia, voce dei milanesi Crash Box. Andavamo spesso a Como, a casa di Stiv, per scansionare il suo enorme archivio di foto, volantini, ecc. e ogni volta dai cassetti spuntavano le pagine originali di T.V.O.R. così ci venne l'idea della ristampa. Sul libro c'è anche un'ampia sezione dedicata alle pagine inedite del mai uscito n.6 e tanto altro. E finalmente arriviamo al film, che in realtà non è stata una nostra idea ma di due mie amiche filmaker che ce la proposero come una cosa da fare insieme: noi avremmo pensato alla realizzazione delle interviste e a recuperare il materiale necessario, loro avrebbero curato tutta la parte tecnica, il montaggio e la regia, sempre sotto la nostra supervisione. All'inizio avevamo un po' di dubbi ma la proposta era molto allettante, loro erano molto convinte, perché non provarci? Ma dopo qualche mese le nostre amiche si sono trasferite negli USA e ci siamo trovati da soli. Abbiamo deciso di continuare anche se nessuno di noi aveva la più pallida idea di come si realizza un film. Abbiamo girato l'Italia in lungo e largo per registrare le video interviste e alla fine ci siamo serviti di una casa di produzione professionale per il montaggio e altre cose tecniche, la Oz Film di Bari.



Nel film c'è una divisione in capitoli come se fosse un libro (Le origini, Le città e i centri nevralgici, Le band, L'autoproduzione e le etichette indipendenti, Le fanzine e il passaparola antagonista, Il rapporto conflittuale tra punk e stampa, I concerti, Le droghe, L'apice e il declino). Era uno schema che siete andati a riempire, oppure è venuto dopo, dettato dal materiale che avevate?
In principio le interviste le facevamo a braccio, non avevamo schemi o domande pronte, ma a un certo punto ci siamo resi conto che non andava bene. Ci siamo fermati un attimo e abbiamo pensato a come avremmo voluto assemblare il tutto, così abbiamo buttato giù le nove domande che avrebbero poi diviso il film in capitoli, proprio come il libro in lavorazione. Avevamo la soluzione in tasca ma l'inesperienza ci ha tirato tanti brutti scherzi, soprattutto all’inizio. La prima domanda era: “Come hai scoperto il punk?”. Dunque ci sono i vari aneddoti dei protagonisti: chi ha visto la copertina gialla dei Pistols esposta in vetrina del negozio di dischi, chi ha incontrato i primi punk in giro per la sua città, chi è andato a Londra, oppure ha assistito alla famosa trasmissione sul punk inglese del programma della Rai Odeon - Tutto quanto fa spettacolo. Quella puntata l'ho vista anche io, ma ero molto piccolo e ho dei ricordi vaghi. A quei tempi c'erano due canali televisivi, tutti guardavano gli stessi programmi, non c’era tanta scelta.

È stato molto interessante trovarci tanto materiale video dei concerti che è più difficile da reperire di solito. Ho visto però che quasi mai gli audio sono quelli originali.
Quasi tutti i video dei concerti dell'epoca hanno un audio improponibile, in certi casi inascoltabile. Dunque abbiamo pensato di montare delle tracce audio prese dai dischi e dalle cassette così da rendere più piacevole la visione e soprattutto l'ascolto del film.



È bello che abbiate usato tanto materiale grafico, mi è piaciuto il linguaggio onnicomprensivo e molto moderno, questa cosa di unire la parte video vecchia e nuova, grafica, audio. Il risultato è molto multimediale.
Grazie, è la nostra mania di essere più completi possibile che ci ha portati inevitabilmente a questo risultato, a un montaggio un po' vorticoso. Nonostante questo non siamo riusciti a inserire tutto quello che avremmo voluto.

Il montaggio veloce in realtà rende bene l'idea della mole di cose che creavate.
Sì, le cose si inventavano veramente giorno per giorno, come dice Dome La Muerte nel film. C'era anche una certa urgenza di fare e i mezzi a disposizione erano quasi inesistenti. Per realizzare una fanzine, per esempio, ci volevano delle forbici, della carta, dei ritagli di giornale, dei trasferibili, una macchina per scrivere, della colla. Era un casino anche fare le fotocopie. Eravamo un po' degli artigiani, ci sporcavamo le mani. Ci voleva passione e tenacia per realizzare le idee, per mettere su un gruppo, per fare qualsiasi cosa. Adesso è tutto più semplice e forse si è persa quell'urgenza di fare che contraddistingueva tutti quelli che facevano parte della prima scena hardcore.

L'effetto nostalgia quando si raccontano queste cose è naturale, ma nel film si evitano i discorsi tipo “si stava meglio quando si stava peggio”. Infondo ognuno è figlio del suo tempo e usa i mezzi che si ritrova tra le mani.
Sono d'accordo, anzi, allora era peggio. Quei gruppi erano veramente incazzati, hai sentito come suonavano? Avevano la rabbia che gli esplodeva dalla gola e dalle mani. Le grandi città industriali del nord come Milano e Torino sono state quelle che hanno tirato fuori più band. A Torino c’era la Fiat, negli anni '60, durante il boom economico, tante persone dal sud emigrarono in quella città per cercare un posto di lavoro sicuro in fabbrica. Alcuni protagonisti della prima scena hardcore italiana sono figli di questi immigrati, gente che ha vissuto sulla propria pelle anche situazioni difficili, di emarginazione. L'aggressività estrema di quelle band a volte può derivare da queste alienanti esperienze di vita. Anche a Bologna, Roma e in altre città e paesi c'erano band valide e situazioni veramente coinvolgenti. Il sud non aveva come oggi grandi centri urbani, ma comunque ha sfornato gruppi come i velocissimi Chain Reaction di Bari o gli sperimentatori Contropotere di Napoli, giusto per fare due nomi.



Queste storie erano state raccontate anche da Philopat in “Costretti a sanguinare”.
Sì, alla fine la storia è la stessa.

Questa è una cosa interessante perché questo da un po' l'idea della dimensione del movimento e di come ci si conosceva e riconosceva.
Si andava molto per passaparola, incontravi per caso un punk per strada e facevi subito amicizia. I gruppi che suonavano hardcore nascevano in simultanea nel mondo, nell'81 in Italia c'erano già o si stavano formando i CCM, i Wretched, gli Indigesti, lo stile italiano è riconosciuto ovunque. Ho letto tante interviste a gruppi hardcore famosi stranieri che citano tra le loro influenze i Negazione e compagnia bella. Ad esempio sulla busta interna di "Animosity", disco del 1985 degli americani Corrosion Of Conformity, c'è una foto del cantante/bassista Mike Dean che indossa una t-shirt dei Raw Power, band di Poviglio (RE) che ha fatto il suo primo tour americano nel 1984. Loro sono stati i primi a volare oltreoceano e continuano a farlo ancora oggi.

Infatti in un'intervista a Rockit proprio i Raw Power ci hanno raccontato tanti aneddoti sui loro tour americani. Questa è un altro aspetto importante, perché oggi i gruppi italiani sembrano avere difficoltà ad andare all'estero, mentre voi con un terzo dei mezzi di oggi riuscivate a fare tour in America...
Era da pazzi, si partiva con 200 dollari in tasca, ci si affidava a una telefonata fatta magari 15 giorni prima con un tizio che in teoria doveva aspettarti all’aeroporto X il giorno X alle ore X. E infatti ci sono stati anche dei disastri organizzativi non indifferenti e disavventure varie, per problemi di tempo nel film non abbiamo potuto raccontare tutto, cosa che invece faremo sul libro.

Molte delle cose belle che sono state fatte si sapevano già, mentre magari le cose che sono andate storte non passano alla storia...
Ci teniamo a riportare quello che è stato nella maniera più reale possibile, anche le contraddizioni che il punk si porta dietro da sempre.

Questa cosa si coglie, soprattutto quando si parla di politica. Qualcuno dice che non gliene fregava niente, qualcuno usa termini un po' forti tipo “nichilismo spoliticizzato”, a un certo punto arrivano i Crass e inizia una fase più propositiva, che esprime un pensiero politico, sicuramente antagonista, basato su un sistema anarchico, ma che è comunque politico.
Le band erano composte da persone, e in testa non tutte avevano le stesse idee. Alcune band non si consideravano neanche gruppi musicali, ma collettivi aperti di cui chiunque potesse farne parte ma nella maggior parte dei casi non avevano quella costanza e quel minimo di tecnica indispensabile così da poter essere ricordati anche per la loro musica. I gruppi più politicizzati di tutti, i cosiddetti “crassiani”, gravitavano intorno al Virus di Milano come gli Alternativita o gli HCN di Marco Philopat. Spesso i loro brani non erano strutturati, con il ritornello e tutto, ma sembravano più una sorta di "comizio" su una base strumentale a volte improvvisata. Poi c'era chi voleva divertirsi e suonare più veloce possibile, avendo idee simili a quelle dei punk più politicizzati, ma non così integraliste.



Che il gruppo di Milano fosse più politicizzato lo si capisce nel dvd dall'episodio del concerto dei Black Flag (il biglietto costava 10.000 lire e ci furono dei tafferugli perché i punk si rifiutarono di assistere al concerto a pagamento).
Ma molti del Virus erano al famigerato concerto, come raccontano gli Impact con un po’ di ironia. Non siamo potuti entrare a fondo nel delicato argomento della politica altrimenti il film sarebbe durato molto di più delle già abbondanti due ore. Si potrebbe fare un film solo su questo. Sul libro che abbiamo in lavorazione “Dritti contro un muro” la politica e altri temi saranno trattati in modo esaustivo. Comunque, per quanto mi riguarda, la frase più bella sull’argomento la dice Steno dei Nabat: “il punk è servito a qualcosa, non è vero che non è servito a un cazzo: è servito a formare le persone”.

C'erano degli argomenti su cui gli intervistati erano restii a parlare?
Sinceramente no. C'è stato qualche momento un po' triste, sai, alla fine in quest’avventura qualcuno è anche morto, per cui... ma nessun secco no comment, per intenderci. Sai qual è stata la cosa più difficile per noi, soprattutto all'inizio? Conquistare la fiducia di quelli che non ci conoscevano e convincerli ad aderire ai nostri progetti. Per via delle nostre attività precedenti avevamo già qualche contatto, ma non tantissimi. Quelli più diffidenti si sono informati attraverso chi ci conosceva, tramite il famoso passaparola che ha sempre caratterizzato la scena punk e col tempo ne abbiamo acquisito la fiducia. Ci siamo visti di persona, siamo entrati nelle loro case, ci hanno ospitato per la notte, abbiamo mangiato insieme e con alcuni abbiamo anche stretto delle vere e proprie amicizie. Con un paio di personaggi invece non è andata molto bene, anzi, a dirla tutta avremmo preferito non averci avuto nulla a che fare e continuare a stimarli solo ed esclusivamente per quello che hanno fatto negli anni '80.

Le proiezioni stanno andando bene, a Bologna era tutto esaurito. Che tipo di pubblico viene a vedere il vostro film?
La prima l'abbiamo fatta a Bari il 4 settembre al Multicinema Galleria, eravamo nella Sala 1 ed era quasi piena, veramente tanta gente. Sono rimasto sorpreso, il pubblico era molto eterogeneo: punk, non punk, ragazzi e ragazze, adulti, c’era persino qualche persona anziana. Molti passeggini e per la sala sfrecciava un bambino sui 4/5 anni con cresta colorata e giubbino di jeans senza maniche con inserti leopardati, pieno di spillette. Stupendo. Per il momento abbiamo interrotto le proiezioni ufficiali e a chi continua a chiedercele rispondiamo di organizzarle per conto proprio, in autonomia, come da vero spirito punk. Noi non possiamo andare ovunque quindi, se vi va di organizzare una proiezione dalle vostre parti, fatelo pure, a noi fa piacere.

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L'articolo Italian Punk Hardcore 1980-89: l'intervista al regista del documentario di Chiara Longo è apparso su Rockit.it il 2015-11-17 10:17:00

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