Kaos: "Sto scrivendo il mio ennesimo ultimo disco"

A tu per tu con il re del rap hardcore italiano, riportato al centro della scena dagli omaggi di Salmo nel suo nuovo disco e dell'amico Neffa. E ora arriva "Scheletri", EP che rivisita alcuni suoi brani, e che sarà ancora una volta in tour

Foto di Luca Bertacin
Foto di Luca Bertacin

Ho organizzato molti più concerti di Kaos di quante interviste gli abbia fatto. A dire il vero questa è solo la seconda, la prima è stata per il mio libro sul rap “Strade Strappate”. Perché? Perché Kaos è una di quelle persone che pesa le parole. Quando ti guarda in faccia e ti parla è potente, profondo, interessante. Mi sono sempre sentito affascinato dal sentirlo parlare e molto spesso a disagio perché per la testa non avevo cose che mi parevano all'altezza.

Anche per Kaos, tante volte, non aveva cazzi di parlare e lo capivi. E questo rapporto di “strappare” da lui storie, visioni, intelligenza, cercando di stare al mio posto – posto in cui spesso non so stare, essendo invadente e chiacchierone, come molti uomini sono soliti fare per rimarcare ruoli e posizioni – mi è sempre piaciuto. Così ho spesso evitato di entrare in quello spazio che è invece proprio del giornalista.

In questi giorni Kaos ha regalato al suo pubblico Scheletri, un EP che rivisita alcuni suoi brani. Una cosa particolare per uno che ha sempre guardato avanti senza cadere in facili riproposizioni di un passato glorioso. E così l'ho intervistato per Rockit.

 
 
 
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Cosa ha significato per te rimettere mano a pezzi che avevi già scritto per confezionare questo nuovo lavoro, Scheletri?

È stata una sensazione un po’ strana, una cosa che non mi era mai capitata. Da un lato sono in giro da tanto tempo, e un po’ pensavo di averle fatte tutte, viste tutte, se non proprio tutte comunque molte. Però un’esperienza del genere non l’avevo mai vissuta. Mi sono ritrovato in una situazione “a metà”, cosa che mi succede spesso: ho un passato da produttore, ma a un certo punto mi sono accorto che non ero più in grado di tenere il passo con una tecnologia che continuava a rinnovarsi e chiedeva sempre più tempo ed editing. Non potendo più fare sia le parole che le basi come avrei voluto, ho scelto di concentrarmi più sulla strada del lirico. Però un certo tipo di gusto e di idee da produttore mi è rimasto, e l’ho sempre portato dentro i dischi delle ultime decadi. Perciò mi ritrovavo ad ascoltare tanto materiale, metterlo insieme un po’ alla bene e meglio, poi passare tutto a produttori più bravi, ai quali lasciavo la libertà totale di stravolgere o cambiare ogni cosa. Sono sempre stato molto contento delle versioni finali: erano più fresche, tecnicamente più curate, con una dinamica di suono migliore. E allo stesso tempo quei campioni e quelle scelte sonore che avevo fatto io le avevo già sentite per troppo tempo. Però, in certe occasioni, pensavo che alcune idee che avevo tirato fuori avessero un senso proprio nella loro ignoranza, nella loro grezzetta. Questa cosa me la sono portata dietro per un bel po’.

Quando è arrivata l’occasione di rimetterci mano sul serio?

Quando ho fatto l’ultimo trasloco. Cambiando casa, parte di quel materiale l’ho smarrito e non avevo più avuto modo di ascoltarlo. Ma rimettendo mano ad alcuni hard disk, cercando tutt’altro, sono saltate fuori alcune cartelle. Le ho riascoltate e mi è tornata nostalgia di un certo suono che mi apparteneva come produttore: quello dell’ignoranza totale, del tutto dritto, del “non me ne frega un cazzo della dinamica”, fatto un po’ come una volta. Per scherzo avevo detto a Dj Craim: “Perché non ci rimettiamo mano? Magari lo tiriamo fuori come un free download, un regalo”. Ma l’idea è piaciuta anche a Django, il mio management, che ha deciso di svilupparla in maniera più ampia, cercando di mantenere quel suono ignorante di allora, ma portando le tracce in studio a un livello accettabile per suonarle anche dal vivo. Io ho detto: “Boh, proviamo, vediamo cosa succede, cosa ne pensa la gente”. E così è andata.

In un momento in cui la musica sembra sempre più mercificata, avete scelto il free download. Perché?

Mi sembrava assolutamente improprio venderlo, perché non era materiale inedito. A parte il remix di Dracaris che fa parte del disco Coup de Grace: nell’originale ci sono i Colle Der Fomento, mentre in questa versione c’è Egreen. Lui, una volta ascoltato il pezzo – ai tempi di Game of Thrones, quando ispirava un po’ tutti noi – ci aveva mandato una sua strofa fantastica. Però in quel momento non sapevo come utilizzarla: il disco era appena uscito, e fare subito un remix era sconsigliato. L’ho tenuta lì, poi si sono perse le tracce e quella versione è finita nella stessa cartella degli altri remix. O meglio, “premix”, perché sono stati fatti prima della versione definitiva. A parte quello di Egreen. Secondo me era più giusto regalarli, come segno di stima verso chi ha ancora interesse per certi suoni molto lontani sia dal punto di vista acustico che da quello del marketing. Ho sempre fatto un po’ da solo, ora ho un team: cerchiamo un equilibrio. Non dico di essermi imposto, ma ho espresso da subito l’intenzione che, se il progetto si faceva, doveva uscire in free download. Era la cosa giusta: non puoi far pagare per musica già edita e già sentita.

Negli ultimi mesi hai collaborato con Salmo e sei tornato sul palco con Neffa. Che significato hanno avuto questi momenti?

È stata una montagna russa di emozioni. Il pezzo con Salmo mi piace moltissimo: musicalmente è molto riuscito, la sua parte spacca, e la base è super. Mi sono impegnato tanto perché lo sentivo molto. Essere scelto come unico featuring nel suo album per me è stato quasi traumatizzante: mi sono sentito catapultato in una dimensione che non mi appartiene, quella dei grandi numeri e dell’esposizione mediatica. Salmo ha parlato molto bene del nostro rapporto e del modo in cui l’ho ispirato, e questo mi ha gratificato. Trovarmi davanti più di 40.000 persone è stata una botta emotiva enorme. Ma ho sentito anche un ritorno: la gente ha ancora un attaccamento verso me e la mia musica, e questa cosa mi ha sollevato molto. Lo stesso è successo con Neffa, con cui però avevo già condiviso molti palchi, anche importanti: mi ricordo l’MTV Day a Bologna, durante il tour di 107 Elementi, con circa trentamila persone. Per me, abituato a poche centinaia, era tantissima gente. Tornare sul palco con lui è stato bellissimo: abbiamo suonato anche un famoso pezzo “fantasma”, mai registrato, con strofe mie, di Deda e di altri. Stare nel backstage con tutti quegli artisti super affermati mi faceva pensare: “Io qui cosa c’entro?”. Però mi ha fatto super piacere. È stata una grande spinta a non mollare: un toccasana per trovare motivazioni per scrivere. Sto ancora scrivendo e preparando nuovo materiale, ai miei tempi, senza pressioni. Sto lavorando all’ennesimo “ultimo” album.

Hai visto il rap nascere, crescere e ora arrivare a Sanremo. Come leggi questa trasformazione?

Come dicevi all’inizio, le ho viste un po’ tutte. Sei stato un punto nella scena quando il rap praticamente non esisteva in Italia, e ora arriva a Sanremo. Da un lato sono contento che sia diventato così popolare; dall’altro, però, no. Non vorrei sembrare il solito integralista, anche perché in passato ho rivisto e corretto molte delle mie posizioni intransigenti sul mainstream. Da giovani abbiamo sbagliato a chiudere la porta in faccia. Però, insomma, quella porta, nei miei confronti, non si è mai aperta molto. Posso capirlo: ho un approccio molto “di cuore”, che magari non trova nicchia nel mercato o nell’esposizione mediatica. Fino a un certo punto ero contento, perché il rap riusciva a fare numeri interessanti rimanendo se stesso: nelle sonorità, nell’attitudine, nel riconoscibile “appartenere” a ciò che avevamo portato avanti. Oggi faccio più fatica. Mi sembra che si sia strizzato troppo l’occhio al mainstream di una volta, alla canzone sanremese. È un mio gusto personale, ma trovo che questo snaturi il genere: paillettes, balletti, coreografie… per me fanno perdere autenticità e credibilità. A quel punto, se devi fare una canzone sanremese, falla fare a chi l’ha sempre fatta. A me, poi, Sanremo non interessa. Non l’ho mai guardato: mi annoia da morire. Non capisco come abbia fatto a sopravvivere così tanti anni. Lo trovavo già vecchio quando ero ragazzino; figurati ora. Non è mai cambiato, è sempre la stessa formula. Non voglio offendere chi ci va, magari amici o colleghi, ma proprio non la capisco.

Se potessi scegliere chiunque, con chi collaboreresti? E con chi saliresti sul palco?

Scelta davvero tosta. Se dovessi fare un pezzo rap classico, probabilmente sceglierei Masta Ace o Pharoahe Monch: sono artisti con cui sento un legame storico e stilistico. Per il live, forse gli ZZ Top. Mi piacciono molto, mi sarebbe piaciuto fare un pezzo con loro. Poi sicuramente, tra mezz’ora, mi verranno in mente altri cento nomi.

Scheletri sarà anche un tour. Che concerti dobbiamo aspettarci?

Ci sarà spazio per tutta la scaletta dell’EP, anche se è limitata – sono tipo sette pezzi. Con me ci sarà anche Egreen, con cui faremo qualcosa insieme; live adatteremo alcuni brani dei rispettivi repertori. Ho la fortuna di avere un repertorio che è sopravvissuto ad almeno due generazioni, e che viene richiesto ogni volta dal vivo. C’è molta affezione verso tutta la mia discografia. Per me rimettere mano alla scaletta è una cosa che piace sempre: ho anche la possibilità di scegliere tra molti pezzi che negli ultimi anni non ho fatto per dare spazio ai dischi nuovi. Sono sempre quei pezzi che la gente ti chiede: “Perché non hai fatto questo? Perché non hai fatto quello?”. Ma quando porti un disco nuovo hai bisogno di tempo per suonarlo. Bisogna sempre mediare. Sicuramente ci saranno i miei classici: cercherò di metterli tutti.

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L'articolo Kaos: "Sto scrivendo il mio ennesimo ultimo disco" di Andrea Cegna è apparso su Rockit.it il 2025-12-09 10:54:00

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