"La repressione non ci fermerà, i rave sono esperienze radicali di vita": il racconto dopo il Witchtek di Modena

Quasi tremila persone identificate, nove arrestati dopo il "rave di Halloween" a Modena. Si torna a criminalizzare i free party e dopo il cosidetto decreto Anti-Rave a punirli ancora più severamente. Ma non sarà questo a fermare un movimento, come ci racconta Ana, l’autrice di "Incognita K"

Scatti dal rave di Modena
Scatti dal rave di Modena
11/11/2025 - 16:06 Scritto da Andrea Cegna

Il 2 novembre manganelli e lacrimogeni hanno “accolto” chi usciva dal Witchtek di Modena, il “rave di Halloween”. Quasi 3000 persone identificate, 9 sono state prima arrestate, e ora liberate, e sono stati sequestrati gli impianti audio. Dopo 3 anni dal decreto Anti-Rave e da quel vento misto tra dichiarazioni politiche e sensazionalismo mediatico, il clima in Italia è stato più o meno unanime: gogna mediatica verso chi ha organizzato e partecipato al free party, difesa senza se e senza ma delle forze di polizia.

Il Witchtek 2025 è stato un momento di organizzazione dal basso importante, dove al centro del discorso non c’erano droghe ed esagerazioni, come piace raccontare ai media, ma la solidarietà con la Palestina. Tanto che nel centro della festa è stato proiettato un video di Tony Lapiccirella che diceva: “Dalle periferie, alle feste, fino al mare: restituiamo voce alla Palestina libera. Questo è il momento di riorganizzare le nostre vite e i nostri desideri verso un’unica direzione: la liberazione.”

I rave fanno paura, sono momenti che non sono capiti, spaventano tante e tanti: rompere le regole, prendersi spazi, ascoltare e ballare per giorni filati, sperimentare droghe, fare comunità, organizzarsi in maniera autonoma, stare fuori dalle regole del mercato. Un free party è tante di queste cose, che non sempre hanno a che vedere con una scelta politica, ma sempre hanno a che vedere con il cercare qualcosa che nella società normata e ordinata non si riesce a trovare.

Il decreto Anti-Rave non li ha fermati, il Witchtek 2025 non è stata un’anomalia, ma una conferma della vitalità di una scena che si è fatta più forte dopo l'attacco del 2022. C’è una grande letteratura su questo mondo: c’è Muro di casse di Vanni Santoni, Rave New World di Tobia D’Onofrio, ci sono i libri di Pablito el Drito e Incognita K. Free tekno e cospirazioni in cassa dritta per Agenzia X. Per andare oltre la semplice spettacolarizzazione da giornale scandalistico, che definisce le feste covi di drogati e sbandati, c’è quindi parecchio materiale.

Per la prima volta, nel nostro Paese, il 2 novembre 2025 alcune persone sono state arrestate perché hanno partecipato a un free party: un cambio di fase non da poco. Nei giorni a seguire si sono lette e sentite una serie di accuse su presunti deturpamenti dell’area dell’ex Bugatti, abbandonata da anni e che non vede alcun progetto industriale per il suo futuro.

Oltre la paura, oltre i modi di dire, oltre tutto, c’è che i free party sono un’incredibile esperienza. Io li ho frequentati anni fa, per un po’. Già lavoravo tra concerti e giornalismo, e ogni volta che arrivavo vedendo migliaia di persone e trovavo uno spazio abbandonato acchittato a spazio di festa mi chiedevo: “Come fanno?”. Per far cose così spesso ci volevano giorni di lavoro, quando mi trovavo in fase di allestimento a festival o altro. Lì tutto avveniva in poche ore.

E poi mi sono sempre chiesto come girassero queste informazioni: no spot, no radio, no uffici stampa. Per anni c’era un sito, Shockraver, e ora? I Freeparty sono spazi di contro-cultura, si danno in diverse parti del mondo con modalità diverse ma dentro una comune visione di sperimentazione. Si potrebbe dire che sono espressione pre-politica di una critica alla società e alla città. 

Allora, davanti alla fastidiosa litania anti-rave che si è alzata, e dopo aver visto la violenza di polizia e politica abbattersi su chi usciva dalla festa di Modena, ho pensato che il modo migliore per raccontare la complessità della scena fosse contattare Ana, l’autrice diIncognita K.

Cos’è stato il Witchtek?
Il Witchtek — o meglio, Tribal Laboratory, che è il nome con cui è stata chiamata questa edizione — è stata una zona temporaneamente autonoma necessaria. Tre giorni di autodeterminazione e guerriglia artistica, musicale e politica. Un luogo dove conflitto e autogestione si sono fusi per creare un esperimento reale di libertà.

C'è stata una scintilla?
Il motore di tutto è stato la Palestina. L’intento era chiaro: costruire un benefit e donare tutto il ricavato alle missioni civili che cercano di rompere il blocco navale e restituire respiro a chi è sotto assedio. Witchtek è stato questo: un grumo di lotte trasversali, perché la lotta o è trasversale o non è. È stata una barricata sonora e simbolica, l’unico muro che non divide: quello di casse. Il sound system ha una storia che viene da lontano: da Kingston a Detroit, fino all’Europa, ha sempre allargato lo spazio dell’autonomia. Tribal Laboratory è stato davvero un laboratorio di reinvenzione reale, una festa che ha riflettuto su se stessa. Ci sono stati momenti di confronto, dibattiti, pratiche di cura. Tutto intrecciato alla musica, perché — come scrive McKenzie Wark in Raving — “i concetti ballano nella musica e ne diventano consapevolezza”. Quello che da fuori chiamano alienazione, per noi è riconnessione. Non è fuga dal mondo: è creazione di un’alternativa.

Secondo te c’è stata la volontà di sfidare il decreto anti-rave, o è stato un caso che si sia tornati a Modena?
Non è stato affatto un caso. Niente viene scelto per caso, e nemmeno i luoghi. Ogni spazio porta dentro di sé una relazione di potere. Tornare proprio a Modena — dove tre anni fa nacque la criminalizzazione dei free party — era necessario.

Perchè?
Serviva dimostrare che le politiche di sicurezza e sorveglianza non funzionano, che il loro sistema è pieno di crepe. E sono proprio quelle crepe il terreno in cui noi prosperiamo.
Il Witchtek è arrivato dopo mesi di piazze piene, di cortei, di una nuova coscienza collettiva. La festa, in fondo, ha sempre sfidato l’ordine costituito. È nella sua natura: il free party vive del conflitto, lo attraversa, lo trasforma. E anche questa volta è riuscito a farlo. Ti aspettavi questo livello di violenza della polizia? Sì, purtroppo sì. Anche se vederlo e viverlo è sempre diverso. Tornare verso casa e trovarsi davanti quello schieramento di camionette ha fatto effetto, ma non sorpresa. È stato un confronto diretto, tra chi difende la libertà e chi rappresenta uno Stato che non sa più dialogare se non con la forza.

Be', dopo il decreto anti-rave è stata una scelta coraggiosa, no?
In realtà, quella che abbiamo vissuto non è solo l’applicazione del decreto anti-rave, ma anche del decreto sicurezza. La repressione che abbiamo visto è il risultato di una politica che ha dato sempre più libertà d’azione alla polizia, costruendo di fatto uno “stato di polizia”. Noi lo dicevamo fin dall’inizio: il decreto anti-rave non era un attacco ai rave in sé, ma un cavallo di Troia per colpire qualsiasi esperienza di autogestione non allineata al sistema. E così è stato.

Cos’è successo, per quello che hai capito, perchè le notizie parlano di attacco alla polizia non della polizia?
Tutto è filato liscio fino a quando abbiamo iniziato a smontare. Eravamo in fila, ordinati, pronti a lasciare il posto. Poi la polizia ha bloccato la carovana e ha iniziato a caricare.
Lacrimogeni lanciati ad altezza uomo, persone tirate fuori dalle auto, mezzi distrutti, teste spaccate. Ambulanze che non passavano. Tredici ore di violenza fisica e psicologica.
I vigili del fuoco erano increduli. A un certo punto sembrava che anche loro e la Croce Rossa fossero schierati con noi contro l’assurdità di quello che stava accadendo. Pioveva, faceva freddo, eravamo esausti, senza acqua né cibo. È stata una strategia di tensione calcolata: volevano che degenerasse. Avevano bisogno dell’ennesima rappresentazione del caos per giustificare il loro potere.

Pensi che sarebbe successo anche se non fosse stato a Modena?
Sì, assolutamente. Quello che abbiamo vissuto non è un episodio isolato. Già durante la TAZ Mutazione a Torino, in primavera, ci furono cariche e feriti. E poi al Free Spring in Trentino: una notte di lacrimogeni e assedio, con l’unica via di fuga chiusa dagli antisommossa. Sgomberare una festa in piena notte è una follia: significa cercare un incidente. È la linea repressiva di questo governo, iniziata con il decreto anti-rave del 2022 e mai fermata.

Come sono cambiati i rave dal 2022 a oggi?
Il decreto ha segnato una battuta d’arresto, ma non una fine. Le feste hanno rallentato, sì, ma solo per riorganizzarsi. È stato necessario capire come muoversi in un nuovo scenario repressivo. Negli ultimi tre anni il movimento ha riscoperto la sua natura politica e conflittuale, diventando più consapevole. Oggi i free party non sono solo spazi di festa, ma esperienze radicali di vita. La TAZ — come dice Hakim Bey — prospera nei vuoti di Babilonia, negli interstizi dello Stato. È una forma di intensificazione dell’esistenza. E grazie anche alla nascita di Smash Repression, una rete nazionale che ha messo in comunicazione tribe, spazi sociali e realtà francesi, il movimento si è riorganizzato. Siamo tornati in strada, con le street parade, le feste sotto casa: se non ci fanno spazio nei capannoni, portiamo le casse nelle città. Hanno tentato di stroncare un intero movimento, ma hanno solo gettato benzina sul fuoco. Siamo diventati più organizzati, più consapevoli, più presenti.

Perché vai ai free party?
Perché sono una delle ultime utopie concrete rimaste. In un tempo segnato dal proibizionismo e dall’individualismo, i free party sono un’esperienza radicale e necessaria. Mi hanno cambiato la vita: mi hanno insegnato a uccidere lo “sbirro interiore”, a smontare i meccanismi di controllo che tutti abbiamo dentro. E mi hanno ricordato che possiamo dare forma alla realtà con le nostre mani, con le nostre teste. Il do it yourself è questo: inventare, costruire, creare. Ogni festa è un atto d’immaginazione. Nel free party non c’è mediazione: solo immanenza, movimento puro, espansione. È un’esperienza di libertà collettiva e di mescolanza. Ecco perché ci torno.

Se esistessero spazi legali dove consumare sostanze e fare festa, li useresti?
Domanda complessa. Da un lato sì: significherebbe che qualcosa è cambiato a livello politico, che il proibizionismo è stato superato e che si è aperto un discorso reale sulla riduzione del danno. Dall’altro no: perché la festa legale non è la stessa cosa. L’illegalità è una posizione politica. Il free party è una pratica di liberazione, non può esistere senza rottura, senza conflitto. Gli spazi legali hanno sempre un perimetro, un permesso, un controllo. La nostra vita, invece, risplende quando si svincola dalla legge. Come scrive ancora Hakim Bey: “Per ottenere ciò che desideriamo dobbiamo contemplare non solo una vita di pura arte, ma anche di pura insurrezione".

Perché le persone hanno paura di chi va ai rave?
Perché i rave mettono in discussione tutto. Sono esperienze che risvegliano, che ti fanno uscire dal torpore. E questo, per chi vive dentro un ordine sociale rigido, è destabilizzante. Il dionisiaco spaventa. È caos, e il potere odia il caos. Il decreto anti-rave è solo l’ennesimo strumento per criminalizzare la differenza. È anche una forma di razzismo musicale, come lo è stato in passato per la musica nera o queer. L’identità del raver è sempre stata quella dell’altro, del corpo fuori posto. E molta gente non sa gestirsi in condizioni di libertà totale. È più facile aver paura di chi balla che imparare a ballare insieme.

Pensi sia cambiata la percezione delle persone su queste feste, o è sempre stato così?
Qualcosa sta cambiando. Tre anni fa, dopo il decreto, i free party furono criminalizzati due volte: prima dall’opinione pubblica e poi dallo Stato. Ma oggi la narrazione dominante comincia a sgretolarsi. Basta guardare i commenti ai video del Witchtek di quest’anno: non più solo odio, ma anche curiosità, solidarietà, empatia. Forse perché la festa è contagiosa. Perché abitiamo le crepe e ci nutriamo degli scarti, ma da lì continuiamo a crescere. Come diceva Toni Lapiccirella nel suo messaggio: “Questo è il momento di riorganizzare le nostre vite e i nostri desideri". E se volete davvero capire cosa significa, venite a un free party. I cancelli sono aperti. Non c’è biglietto. Solo vita che pulsa.

I rave sono un mondo complesso e troppo spesso, come capita con ultras e graffiti, attaccato in maniera ampia perché rappresenta libertà. Proprio come diceva Paolo Virno “Chi detesta la moralità corrente, proprio costui, deve sapere che le nuove istanze di liberazione non potranno che ripercorrere con un segno opposto gli stessi sentieri lungo i quali si è consumata l’esperienza dell’opportunista e del cinico”. 

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L'articolo "La repressione non ci fermerà, i rave sono esperienze radicali di vita": il racconto dopo il Witchtek di Modena di Andrea Cegna è apparso su Rockit.it il 2025-11-11 16:06:00

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