Laago! e le fasi del sonno

Laago! racconta il suo nuovo album e cosa ha intenzione di farne

Iniziamo con una domanda legata al tuo nome d’arte, come se fossimo ancora in un blog su Wordpress nel 2007: “Laago” in lingua Urdu significa “suono”, in senso lato pure “musica”. Come mai hai deciso di scegliere questo termine poco noto alle nostre latitudini?

In realtà il fatto che significasse anche "suono" in un'altra lingua è stato magicamente scoperto solo dopo aver scelto il nome. Volevo chiamare il progetto "Lago" con una sola "a", ma su internet avrei avuto infinita concorrenza per il posizionamento, allora abbiamo aggiunto una "a": ora abbiamo meno compagnia. C'è anche il punto esclamativo che è parte del nome, ma già lo dimenticano tutti, nelle locandine e negli articoli e sto rosicando tantissimo.

Ma a proposito, prima di chiederti di “Le fasi del sonno”, il tuo primo disco uscito lo scorso 20 settembre per 42 Records, facciamo un attimo mente locale: chi è Andrea Catenaro aka Laago! e, segnatamente, qual è la sua esperienza in musica?

Scrivo musica dall'età di 12 anni ma ho militato attivamente in due sole band: i Jacqueries e Laago!. I Jacqueries sono stati una band anch'essa di 42 Records, dal 2010 al 2013. Sono passati sei anni ma musicalmente parliamo di un'altra era. Eravamo giovanissimi, appena ventenni, e facevamo musica in inglese. Abbiamo fatto un disco, "Excitement", che è andato molto bene, considerando la scena dell'epoca, con numeri molto diversi da oggi. Dovevamo fare un secondo album valido per confermare i buoni propositi ma non me la sono sentita, non sapevo ancora chi fossi veramente, cosa volessi, quale fosse il messaggio che volevo diffondere con le canzoni. Sono stato lontano dalla musica per anni, ho preso il mio tempo, ora eccomi di nuovo qui. Spero e credo che non prenderò più queste lunghe pause.

La prima cosa che balza fuori, con la massima forza di questo mondo, già nei primi due singoli “La notte e le idee” e “Dormi!” è la presenza delle chitarre, simile a quei dischi indie-rock degli anni Novanta, con la stella polare dei Pavement ad illuminare la via: come mai questa scelta molto “analogica” in tempi gassosi e digitali come questi?

Per me è abbastanza naturale. Sono cresciuto con l'indie rock dei 90s e voglio che la mia musica sia un'interpretazione, una rielaborazione più originale possibile dei miei ascolti. L'indie rock è stato quotidianamente nel mio stereo e quindi credo sia normale che si senta molto in quello che scrivo. Ma ora sto ascoltando tante cose diverse e sicuramente il prossimo sarà un disco differente. E sono felice che sia così, amo i musicisti che ogni volta si reinventano ed evolvono; ho bisogno ogni volta di innamorarmi di cose nuove, soluzioni diverse che mi diano la spinta per scrivere roba nuova.
Non faccio canzoni per svoltare o diventare famoso, non copierei mai una cosa che funziona solo per arrivare a più persone. Tra l'altro queste cose si sentono e possono pagare un pochino sull'immediato ma mai sul lungo periodo. Faccio musica perché scrivere è per me una cura, è ciò che mi fa sentire vivo, che risolve i miei nodi. Vorrei arrivare ad essere considerato un artista, poter un giorno fare musica che sia influente ed interessante per altre persone.

Continua sul discorso delle canzoni contenute nel disco. In “Dormi!”, pezzo corredato da un gusto videoclip, ci ha subito stupito l’utilizzo dell’imperativo per il titolo della canzone, qualcosa che non si vede molto spesso. Cosa volevi trasmettere con quel punto esclamativo alla fine dell’imperativo (scusaci per la rima!).

Ho provato a pensare ad una rima per rispondere alla domanda, ma niente, non ce l'ho fatta! Faccio sempre fatica ad addormentarmi, così tanto che ci ho scritto una canzone. Nel ritornello prego me stesso di riuscire a prendere sonno, il punto esclamativo ci stava bene sia per rafforzare questo concetto sia perché è anche parte del nome del gruppo. È stato divertentissimo vedere Laago! - Dormi! quando l'abbiamo caricata su Youtube.

Il disco è stato prodotto da Jesse Germanò, poi mixato e masterizzato da Andrea Suriani: come è stato lavorare con loro? Quali “trucchi del mestiere” hai imparato?

Devo ringraziare Jesse pubblicamente perché ha deciso di fare questo disco prima che ci fosse un'etichetta dietro, prima che ci fosse una vera idea di disco. Ero solo io con le mie ansie, insicurezze ed una manciata di brani. E lui ci ha creduto.
Quando abbiamo iniziato a lavorarci, lui era stato folgorato dai Tame Impala, io da King Krule e gli Unknown Mortal Orchestra, abbiamo cercato di mettere tutto dentro al frullatore e devo fargli i complimenti perché i suoni di questo disco sono coraggiosi e potenti, come anche le scelte stilistiche. Suri invece ha prodotto i due singoli usciti dopo l'entrata di 42 Records. è riuscito a calarsi perfettamente nel mood del disco, è un professionista incredibile e se i pezzi suonano così bene è anche merito suo.

Abbiamo letto che hai dichiarato, a proposito de “Le fasi del sonno” come questo sia “un disco sul diventare grandi”. Visto che è un tema che, chi più chi meno, tocca tutti, non soltanto le ragazze e i ragazzi della redazione di Rockit, ti andrebbe di spiegarci meglio questa frase, che abbiamo avvertito come avesse un peso specifico considerevole, proprio a livello filosofico e artistico, nell’intero tuo lavoro.

Lo ha sicuramente, hai ragione. Il disco racchiude tutti i miei pensieri e riflessioni sulla paura di dover cercare il mio posto nel mondo, sul sentire forte il dovere di realizzarmi, di essere estremamente competitivo sul lavoro e altrettanto stabile nei rapporti interpersonali. Il disco parla di tutto questo e infine dell'incapacità di rispondere a tutte queste domande e della reazione a questa incapacità.
Quando pian piano ti avvicini ai 30 anni senti come una clessidra che corre: credo che il principale cruccio della mia generazione sia l'ansia di non riuscire a soddisfare le aspettative, pensare sempre di non essere abbastanza e non aver fatto abbastanza. Poi 30 anni li fai, capisci finalmente, quasi sempre, chi sei e cosa vuoi e fai i conti con questo, con i tuoi limiti e punti di forza. Io ho cominciato a farlo da un po' e sto decisamente meglio.

Ora non volercene male ma non è che “Le fasi del sonno” si può intendere come un “concept-album”. Non darci dei “passatisti” ma ascoltandolo attentamente ha quel “sapore lì”…

Sicuramente possiamo dire che è un semi-concept, tutte le canzoni sono legate da un filo comune e i temi si rincorrono e ripropongono, anche se i pezzi non sono tutti legati musicalmente e il loro ordine potrebbe anche essere diverso da così. Ho utilizzato il sonno sia come metafora di inattività, incapacità di agire, sia nel suo vero senso letterale. C'è l'insonnia, c'è la notte, la persiane chiuse: è sicuramente un disco notturno e solitario.

Ovviamente non possiamo non farti una domanda sul feat di Jason Lytle dei Grandaddy, quel gruppone di indie-rock americano che qui in Italia aveva dato vita ad un vero e proprio culto negli anni Novanta: dicci tutto! (Hai visto che anche noi sappiamo usare l’imperativo).

I social hanno creato la possibilità di diminuire la distanza tra le persone e anche tra le persone comuni e le star. Mettiamoci anche che scegliersi come idoli personaggi di culto indie e non Bruce Springsteen mi ha facilitato il compito. L'ho cercato su Facebook e gli ho inviato una email strappalacrime su quanto sarebbe stato bello se avesse collaborato a qualcosa di mio e ha accettato. In una settimana mi ha mandato uno speech su un tema da me proposto, pronto per essere mixato con la canzone. Non ha voluto nessuna royalty: gli americani su queste cose sono incredibili. Umiltà ed entusiasmo. Stessa cosa con Bob Nastanovich dei Pavement. Ringrazio entrambi per avermi regalato questo sogno.

Il disco è corredato da sonorità molto precise, molto affilate e curate nei minimi dettagli: come hai pensato di riportarle in live, sul palco, questa forza espressiva sonica?

Passo molto tempo a giocare con i suoni e i pedali e anche gli altri membri della band hanno la stessa cura. Stiamo provando a ricreare nel live, se non ogni singolo suono del disco, almeno sicuramente l'atmosfera e l'attitudine. Molti pezzi sono comunque stati modificati e riarrangiati, mi piace anche che chi ha sentito ed ha apprezzato il disco, possa trovare qualcosa di diverso e sorprendente nei concerti. Saremo quattro sul palco (formazione classica due chitarre, basso e batteria) più un pazzo con il PC, Alessandro Led Scorta, che è il nostro fonico e addetto a suonini e rumori. Venite a vederci!

“Le persone più tormentate sono le migliori" canti in “Mantra”, che ti confessiamo essere non soltanto la strofa che preferiamo ma anche proprio il pezzo a cui siamo più legati: ci spiegheresti meglio questa frase che ci ha così tanto affascinato?

Per spiegare il senso della frase, bisogna partire da un po' prima nella canzone. Mantra parla dell'aspettare che succeda qualcosa che cambi la nostra condizione di insoddisfazione, senza fare davvero nulla per cambiarla. Alla fine del pezzo dico che "le persone più tormentate..complicate..sfortunate sono le migliori" perché spesso tendiamo a dare sempre la colpa dei nostri fallimenti a fattori esterni come la sfortuna, qualcuno che ci ha remato contro, i genitori, il fatto che nessuno ci capisce. Ci crogioliamo nel sentirci strani e complicati per giustificare quando sbagliamo, ci comportiamo male o non raggiungiamo il nostro obiettivo. Sentirci tormentati ci fa credere di essere diversi, un po' speciali. Attribuirci questa "qualità" è un modo per proteggerci, quando in realtà ci sono tante cose diverse che possiamo mostrare e non lo facciamo.

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L'articolo Laago! e le fasi del sonno di Mattia Nesto è apparso su Rockit.it il 2019-10-09 12:10:00

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