Mauro Ermanno Giovanardi - Lasciare un'orma sulle stelle, 13-05-2011

Diciassette anni per passare dal Premio Tenco a San Remo. In mezzo, tutta la vita dei La Crus. Messa la parola fine all'esperienza del gruppo, Mauro Ermanno Giovanardi è a tutti gli effetti un solista. Il suo disco, uscito da pochi mesi, è pieno di richiami agli anni '60 e contiene tutto quello che nei La Crus non avrebbe potuto fare. Si apre una strada nuova, Stefano Rocco ha parlato con Giò per capire dove potrà portare. Foto di Silvia Rotelli



Nel 1994 i La Crus al Premio Tenco da autoprodotti ed arrivano contratti e successo. Dopo diciassette anni di militanza arriva il palco di San Remo: ne è valsa la pena?
Direi a conti fatti di si. In questi anni sono cresciuto e maturato sia come uomo, sia come artista. A parte qualche episodio e un disco, di cui forse avrei fatto a meno, come esperienza personale è stata un'avventura importantissima. E come tutte le esperienze, sia belle, sia brutte, servono sempre. E poi credo che qualcosa di buono abbiamo lasciato. Di sicuro siamo stati i primi della nostra generazione a recuperare la canzone d'autore più classica, a sperimentare e a far convivere mondi musicali completamente distanti tra loro. L'idea di base dei La Crus era appunto far convivere due mondi che sulla carta erano distantissimi: Il nostro background che partiva dal post punk e dalla new wave e arrivava fino all'elettronica dei primi anni '90, con appunto il mood e il mondo letterario della canzone d'autore. In sostanza, mutuare la metodologia dell'Hip Hop, dove piuttosto che rappare cercavamo una via per cantarci sopra, avendo Tenco in testa.

Nonostante l'addio ufficiale del 2008, l'esperienza al Festival era mediaticamente targata La Crus, sorta di tributo al passato per celebrare un tuo nuovo inizio da solista. Cosa resta dei La Crus nelle tue canzoni di adesso?
A parte la mia voce, musicalmente direi poco o nulla. Però l'approccio esistenziale, l'idea di scavare sempre a fondo, il lavoro ossessivo sulla parola, anche se in forme e modalità diverse, è rimasto. Ma credo che questo sia il "mio" modo di intendere la musica, che di conseguenza è entrato nel mondo e nel modo espressivo della band.

Le canzoni del disco sono istantanee moderne o raccolgono ispirazioni custodite in vecchi cassetti?
Sono il frutto di un lungo lavoro, di un "sogno" che avevo nel cassetto da tempo e di idee che nella vecchia band non potevo esprimere a fondo, o per nulla.

Non ti sembra strano che oggi l'unico artista con una certa visibilità che abbia il coraggio di dare slancio contemporaneo all'insegnamento di Luigi Tenco sia una figura nata artisticamente nel "panorama alternativo"degli anni novanta?
No, perché credo che Tenco a suo modo, sia stato un punk ante litteram. Un innovatore sicuramente. Un rivoluzionario della parola. Il primo ad usare un certo linguaggio e una certa attitudine crepuscolare, quasi dark. Bisogna collocarlo da un punto di vista storico, certamente. Ma era un artista che sentiva l'urgenza di raccontare un mondo "altro", fuori dagli schemi del suo tempo. Così come tutti noi cercavamo di distinguerci dalla canzonetta pop italiota standard, provando a trovare un identità fuori da tutto questo.

Tenco, ma non solo: nel disco c'è anche Ennio Morricone e una tendenza alle atmosfere da colonna sonora spaghetti western. Perché questo omaggio?
Perché è una fascinazione che coltivo ormai da anni, anche se con i La Crus era mediata e imbastardita dall'elettronica, quindi meno visibile. Spesso con Cesare, si discuteva molto sul mio "approccio" troppo sixties di cantare o di sentire le cose, che a lui non piaceva per nulla, per cui spessissimo veniva castrata. L'uso di certe chitarre, di certi arrangiamenti che a me sarebbero piaciuti, non son stati sviluppati quasi per nulla, anche se ne sentivo l'esigenza. Fossi riuscito a far venire fuori anche questo, magari staremmo ancora insieme. Anche se ne dubito. Dopo tanti anni, i gusti e le idee personali cambiano, la creatività si annacqua, e certi amori, quando son stati grandi, come dico spesso, non meritano mediocrità. Anzi per me i La Crus avrebbero pure dovuto sciogliersi prima.

In generale, tutto l'immaginario della tua Musica è concentrato nella seconda metà degli anni sessanta. È stata una scelta precisa?
Assolutamente si. Fin dal primo incontro con Roberto Vernetti e Leziero Rescigno, i due produttori del disco, avevo idee molto chiare e precise. Volevo un disco così, a tutti i costi. Avevo voglia di più musica, di più colori e quel periodo, per me è uno dei più creativi. Una sorta di Età dell'Oro. Dove le case discografiche mettevano sotto contratto le band più strane e originali. Dove più eri particolare ed unico, più avevi chance. L'esatto contrario di ora, praticamente. Comunque volevo recuperare la freschezza di quel momento storico, avevo la necessità di quel sapore e di quelle suggestioni, essendo però conscio e consapevole di essere nel terzo millennio.

"I had too much to dream last night" è il titolo di una canzone degli Electric Prunes e sicuramente le suggestioni beat viaggiano trasversalmente in tutto l'album. Hai chiamato così l'album per richiamare quel mondo musicale o c'è un tema legato al tuo sogno personale?
Cercavo fondamentalmente un titolo che fosse legato a quel periodo, per poterci poi giocare con le parole e riattualizzarlo. Cercavo il titolo di un film, di un album, di una canzone. Ho provato con i titoli dei western di Sergio Leone, ma sono stati saccheggiati ampiamente, ho cercato tra le canzoni dei Beatles, degli Stones e un tot di cose simili, ma ritradotte in italiano non mi convincevano. Non riuscivo a trovare nulla che mi stuzzicasse. E un giorno, riascoltando la raccolta "Nuggets", che è uno dei miei dischi preferiti, pensando al titolo del pezzo degli Electric Prunes ho avuto l'idea. In realtà, la traduzione esatta sarebbe "Avevo troppo da sognare (l'altra notte)", ma mi sembrava un po' saccente. Per cui l'ho girata in "Ho sognato troppo l'altra notte?" che mi sembrava più divertente e aperta a più chiavi di lettura. La mia personale, quella che mi diverte di più, pensando a questo lavoro così connotato e tematico, così diverso da ogni cosa fatta con i La Crus, suona un po' così: "Avrò esagerato troppo?", oppure : "Avrò fatto una cazzata a fare un disco così?". E poi l'idea del sogno è sempre intrigante, perché, come diceva Jim Morrison, "Sogna perché nel sonno puoi trovare quello che il giorno non ti può dare".


La soprano morriconiana Barbara Vignudelli in "Io confesso", Violante Placido nella cover di "Bang Bang", Syria in "La malinconia dopo l'amore", la poetessa Tiziana Cera Rosco che scrive per te "Un Garofano Nero". Come mai tanta presenza femminile e perché ti accompagnano proprio loro?
Tutto casuale e tutto voluto mi verrebbe da dire. Casuale l'incontro con Violante, perché quando Mazzi, che l'aveva già notata per l'edizione di Sanremo 2010, si innamorò di "Io Confesso" e mi chiese di pensare ad un duetto, perché secondo lui il testo si prestava ad una sorta di confessione di due amanti che si son traditi ma che non possono stare l'una senza l'altro, mi venne in mente lei. Per l'atmosfera del pezzo che mi rimanda a certe cose di Serge Gainsbourg e di conseguenza ad una figura a metà tra la cantante e l'attrice come la Birkin. Nessuno come Viola rispecchia meglio questa immagine in Italia. Ma lei non poteva perché stava finendo di girare il film con Clooney ("The American" di Anton Corbijn, NdR). L'incontro casuale è diventato allora voluto: mi rimase la voglia di far qualcosa insieme e mentre si stava producendo la versione di "Bang Bang", pensai che forse era ancora più indicata per l' immaginario che ha. Casuale con Cecilia (Syria, NdR) perché il nostro incontro è stato casuale, in studio da Cesare mentre registrava "Un'altra me", ma poi alla prima cosa fatta insieme su un palco è stata una vera folgorazione artistica e umana. C'è una complicità pazzesca tra di noi. Lei è così intensa e passionale che cantarci insieme è davvero emozionante. Non avrei detto, ma è così. Di nuovo, dal casuale al voluto, perché dopo tanti concerti fatti insieme era quasi scontato che facessimo un pezzo sul mio nuovo disco. Anzi è stata la prima canzone prodotta in verità. Casuale con Tiziana è stato il nostro incontro, come capita spessissimo nella vita. Un amico comune le aveva consigliato di contattarmi per la mia attitudine alla poesia e alla forma espressiva del reading. Nei camerini di un recital di "Cuore a Nudo" che feci con un'amica comune – Mariangela Gualtieri, poetessa, drammaturga e attrice della compagnia storica della Val D'Oca - ci fu il nostro incontro e da lì è iniziata una conoscenza e un rapporto bellissimo. Rigenerante e stimolante ad ogni incontro, che non ha mai smesso di produrre linfa ed energia vitale.

Un tema dominante è certamente l'Amore: quanto c'è di autobiografico nelle canzoni?
"Io Confesso" è autobiografica al 100%. Come moltissime delle cose che scrivo. Anche se mi capita di cercare di immedesimarmi in possibili situazioni non propriamente vissute in prima persona. O di mettermi nei panni di altri personaggi. Però, anche qui, poi ci metto tanto del mio. Non posso farne a meno, citando la canzone, e non saprei come fare altrimenti.

Nonostante la malinconia di fondo, la tristezza di alcune immagini, la tensione ombrosa di alcune frasi, sbaglio o sembra esserci anche ottimismo nelle emozioni che racconti?
Ottimismo, è un parolone... lasciamolo a Tonino Guerra. Di sicuro ci sono più colori e c'è davvero più musica rispetto ai dischi dei La Crus. E questo fa tanto, credimi. Per quanto riguarda la scrittura, c'è il tentativo, a volte, di essere più ironico, di sfiorare la serenità, di lasciarsi alle spalle un altro po' di snobismo intellettuale a favore del sentire quotidiano, senza averne paura. Avendo sempre in testa la leggerezza pensosa delle lezioni americane di calviniana memoria.

Pur con tutta l'esposizione nazionale, questo disco non sembra certo pensato per gli stadi, ma piuttosto per una dimensione teatrale intima e raffinata. Quali sono i tuoi progetti dal vivo per il presente e per il futuro?
Non sono così d'accordo che sia dimensionato solo per il teatro, anche se comunque per me resta il luogo ideale, per ogni genere di concerto. Oltre al disco, che contiene una decina di pezzi, gli altri che andranno a costituire la scaletta del live avranno cmq un bel tiro. Vorrei che fosse abbastanza R'n'R ed energico. Pezzi come "Il Diavolo", "Se Perdo Anche Te", "Un Garofano Nero", "Bang Bang" e pure "Lascia Che", comunque hanno un bpm sopra i 120 e ce ne saranno altri così nello spettacolo. Forse la dimensione vera sarebbe quella dei grandi club. Girerò con un ottetto d'archi e fiati più la band, per cercare di rappresentare al meglio l'atmosfera e il rigore del disco. Certo le ballads non mancheranno, perché questo è il clima che più mi piace e in cui mi trovo più a mio agio, ma vorrei che il concerto fosse abbastanza movimentato. Vedremo un po'. Intanto partirò con l'estivo verso metà giugno e in autunno proseguiremo al chiuso. E aggiusterò il tiro via via che il concerto si consoliderà. Inserendo e togliendo brani, man mano che il tutto comincerà a prendere forma.

A differenza degli Afterhours, la cui esperienza sanremese per molti è stata un'incursione situazionista, tu hai dato l'impressione di rompere gli schemi semplicemente proponendo ciò che San Remo era nel suo momento di splendore. E l'impressione è che la dimensione popolare, nel suo significato buono, sia a te molto congeniale. Non è strano però che una canzone capace di riproporre l'essenza della nostra tradizione sia stata da più parti definita (vado a memoria): difficile, alternativa, intellettuale, pretenziosa, cerebrale, provocatoria.
Guarda, anche qui non mi trovi molto d'accordo. Sapessi giornalmente quante persone comuni, al bar, al supermercato mi fermano e mi dicono: "Complimenti per il pezzo di Sanremo. Era il più bello. Doveva vincere lei". O "tu". Dipende dall'età dell'interlocutore. È successo un piccolo miracolo. La canzone è piaciuta in maniera trasversale e generazionale, mantenendo una sua dignità, essendone uscito dalla kermesse più popolare d'Italia con un alto profilo, e soprattutto costruita non per Sanremo, ma su Sanremo. Quella in b/n appunto di Endrigo, Tenco, Paoli e Mina. L'idea era proprio questa. Recuperare quel tipo di atmosfera, di suggestione, di sapore, consapevole - come dicevo prima – di essere nel terzo millennio, cercando di scansare ogni manierismo e citazionismo, cosa che non mi interessava per nulla...

Se dovessi disegnare il cast del prossimo San Remo in un mondo senza auditel, c'è qualche nuovo artista o band italiana che faresti esibire al posto dei big di fronte all'Italia?
Virginiana Miller, Pilar, Brunori SAS, Erica Mou, Non Voglio Che Clara, sono i primi che mi vengono in mente. Mi piacerebbe vedere pure Bobo Rondelli in gara, anche se non è proprio di primo pelo.

Joe, ma può davvero "bastare un passo così piccolo, per lasciare un'orma sulle stelle?"
Sì, credo di sì. Troppo spesso si è presi così tanto dalle proprie paure e dalle proprie insicurezze che certi passaggi della vita sembrano insormontabili. Ma basta davvero poco. Delle volte basta un po' di incoscienza, delle altre è necessaria tanta fatica, ma questo primo passo, questo piccolo gesto può lasciare un segno indelebile nella tua esistenza. E quando l'hai fatto, hai la sensazione di sentirti ancora più forte.

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L'articolo Mauro Ermanno Giovanardi - Lasciare un'orma sulle stelle, 13-05-2011 di Stefano "Acty" Rocco è apparso su Rockit.it il 2011-05-16 00:00:00

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