Leland Did It: un albergo vista speranza

Il quartetto pugliese, folgorato da un live degli Offlaga Disco Pax, compie 10 anni e ha ancora voglia di stupire. Lo dimostra "Hotel moderno", il loro ultimo disco, dove un amore finisce mentre il mondo si sgretola. "Ma occhio a pensare che sia un album distopico", dicono

I Leland Did It - foto di Anna Japanorama
I Leland Did It - foto di Anna Japanorama

Quante probabilità ci sono di conoscere non solo un perfetto omonimo, ma pure di suonarci insieme? Bisognerebbe chiederlo a Vittorio Di Lorenzo detto “il bruno” e Vittorio Di Lorenzo detto “il biondo”, che assieme a Michele Scagliusi e Giuseppe Di Lorenzo (pure lui) formano i Leland Did It, band che quest'anno celebra 10 anni di attività. E lo fa con l'uscita di Hotel Moderno, già nostro disco della settimana a febbraio: un album affascinante e camaleontico, in cui lo scenario passa da sfoghi alla LCD Soundsystem a stridenti tempeste industrial, fino a derive folk e aperture ambient. Li abbiamo raggiunti per farcelo raccontare da loro.

Quando avete cominciato a fare musica?

Abbiamo avuto la fortuna di cominciare insieme molto tempo fa quando avevamo 14/15 anni. Erano i primi anni 2000 e nella nostra città si creò un certo fermento, sia per la presenza di band già affermate nella scena alternativa (come gli “Ossian”, i “Kink” o gli "Athanatos", che noi seguivamo) sia per l’apertura di una scuola di musica. Molti nostri coetanei iniziarono a suonare ed era facile formare band giovanili, spesso improntate sulle cover, sul rock alternativo e sul metal. Noi 4 frequentavamo lo stesso Liceo, avevamo gusti molto simili e per un caso fortuito - questa è un’esclusiva che diamo a Rockit ahaha - uno dei nostri primissimi live fu proprio con questa formazione. Rientrava in un progetto extrascolastico sulla musica rock a cui noi ci iscrivemmo in massa. Non ci chiamavamo ancora “Leland”, a dire il vero non avevamo un nome, né sapevamo cosa avremmo fatto delle nostre vite. Avevamo solo una certezza: non avremmo mai più smesso di suonare perché ci faceva stare bene. Negli anni ciascuno di noi ha avuto le sue esperienze, ha inseguito il proprio stile o genere preferito, vagando fra le peggiori sale prove della provincia italica. Ci siamo ritrovati nel 2013 quando insieme al nostro ex bassista, oggi importante collaboratore Giuseppe Sciorsci, abbiamo dato vita ai Leland. Un progetto molto importante che vorremmo ricordare è “Libera Indeterminazione”, attivo fra il 2009 e il 2013, a cui oltre al bassista Sciorsci, prendeva parte anche il nostro amico Bob Dipierro.

Con chi collaborate?

Dischi Uappissimi, è la principale realtà con cui collaboriamo, in questo collettivo-etichetta e in particolare con il responsabile, Antonio Conte, abbiamo trovato molte affinità sia umane che artistiche. Siamo molto fieri di far parte di questo roster. Con l’uscita del disco abbiamo avuto l’occasione di collaborare anche con Antonio Stea, un regista completamente pazzo che ha diretto i videoclip di “Spoiled” e “How?”. Per la grafica abbiamo potuto contare sul già citato Giuseppe Sciorsci che ha curato l’artwork del disco facendo un lavoro che abbiamo molto apprezzato.  Sempre per la realizzazione del disco abbiamo collaborato con un grande come Amaury Cambuzat: gli siamo grati e pensiamo che con il suo master abbia impreziosito il lavoro di mixaggio fatto insieme a Fabrizio Faco Convertini. Quando le arti si influenzano e dialogano c’è sempre da avere soddisfazioni.

Chi sono i vostri punti di riferimento?

Ciascuno di noi ha degli ascolti molto diversi: si spazia dal rock classico alla musica rave, dal jazz alla disco music. Ma nel post punk e nell’elettronica abbiamo trovato un terreno comune e probabilmente un linguaggio che ci è più familiare. La nostra radice comune sono i Nirvana.  Crediamo che i Nine Inch Nails siano dei maestri per come combinano il rock con l’elettronica. A proposito di ispirazione vi raccontiamo una storia: un giorno, molto prima che avessimo fondato i Leland, il nostro cantante Michele andò a un concerto degli Offlaga, rimase colpito da Enrico Fontanelli e da tutte quelle diavolerie che suonava: a tal punto che il giorno dopo decise di comprare qualche synth e un vecchio Moog Prodigy. Con quegli strumenti abbiamo registrato la prima demo dei Leland qualche anno dopo, grazie Offlaga.

Foto di Anna Japanorama
Foto di Anna Japanorama

Il vostro ultimo disco, Hotel Moderno, ci è piaciuto da morire, fino a essere nostro disco della settimana. Com'è nato?

Hotel Moderno parla di una storia d’amore che ormai è finita, sullo sfondo un mondo che si va sgretolando… Non c’è una sola chiave di ascolto/lettura, ognuno può vederci quello che vuole. Per noi quel vecchio albergo rappresenta una finta idea di progresso che in qualche modo ha inquinato anche le relazioni umane. Pensiamo che sia difficile definire qualcosa in questo momento storico di passaggio, noi cerchiamo di raccontarlo in base al nostro punto di vista. Ma occhio a pensare che sia un album distopico, no. C’è ancora un’ingenua e tipicamente rockettara speranza di fondo.

Qual è stato il vostro concerto più assurdo?

Un live a Vienna in cui non venne nessuno a sentirci, ma noi suonammo come delle belve, come fosse a Woodstock. Verso la metà della scaletta si affacciò un uomo che si mostrò molto interessato e in pratica suonammo solo per lui. Alla fine del live crollò a terra, probabilmente per l’eccesso di alcolici che aveva assunto. Come ama ricordare un nostro amico, siamo riusciti a registrare un pubblico pagante di -1 persone.

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L'articolo Leland Did It: un albergo vista speranza di Redazione è apparso su Rockit.it il 2023-03-10 16:23:00

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