Leo Pari: la vita spericolata di chi fa pop

Leo Pari cambia pelle ad ogni uscita. La nostra intervista

ph: Agnese Morganti
ph: Agnese Morganti

Leo Pari è un cantautore singolare: dal 2006 ad oggi ha cambiato pelle come i serpenti e ha esplorato il pop in tutte le sue forme. Ricordate il singolo Vorrei cantare come Biagio (Antonacci), che ha fatto diventare famoso Simone Cristicchi? L'ha scritto lui. Superbattito di Gazzelle? L'ha prodotto quasi tutto lui. Quello che balla in modo particolare dietro le tastiere nel tour dei Thegiornalisti? Sempre lui. L'anno scorso è uscito Hotel Califano, un album con cui ha abbracciato sonorità dance contrapposte a testi molto intimi e belli pesanti, per andare a fare il tour coi vestiti fluo e il party nel cuore. Intanto leggiamo dei featuring con Luci da Labbra e del nuovo progetto Boys Boys Toys con Marco Rissa. Instancabile, segue il suo percorso e sembra fregarsene di quello che pensa la gente, balla il Toppeiro ("È Top in versione brasiliana!") e continua a scrivere per sé e per altri, alternando il mainstream sanremese con le uscite più indipendenti. È arrivato il momento di capire cos'ha in testa.

 

 
ph: Agnese Morganti

 

Leo Pari era un cantante folk, indie rock, oggi è il king della festa. Cos'è successo durante il percorso?
Con Hotel Califano ho voluto fare un album italo disco pensato proprio per i party, per le feste, ma in realtà sono andato a riprendere le mie vere origini, perché nel mio primo album del 2004 intitolato LP facevo una sorta di indie lo-fi tendente alla dance. Usavo già al tempo synth, campionatori e loop. Nel tempo ho sperimentato e ho sentito la necessità di creare in altri ambiti, come hai detto tu dal folk all'indie italiano come siamo abituati a sentirlo adesso. Il sound che usavo non è troppo distante da quello che usano oggi Calcutta o Brunori, simile agli studi RCA, molto traditional. Dopo dischi come Siréna, Rèsina e uno un po' diverso come Spazio, in cui cercavo un suono più internazionale alla Tame Impala o Neon Indian, sono tornato ai synth. Secondo la mia personalissima linea artistica è tutto ok, non ci vedo niente di strano, è tutto assolutamente consecutivo!

C'è un pezzo tuo del passato a cui cambieresti l'arrangiamento per farlo più vicino al te di oggi?
Tutti! Cambierei tutto. A parte gli scherzi, ho il difetto di non riascoltare mai le cose del passato. Magari capita che in macchina di un amico becco un pezzo di due o tre dischi fa e penso "Ammazza figo questo, ma chi è?", poi mi rendo conto che è il disco mio e mi fa piacere riascoltarlo, ma di mia spontanea volontà è rarissimo che ascolti il passato, preferisco ascoltare il master della canzone che deve ancora uscire. Non soffro molto di nostalgia, non sono un nostalgico, casomai più malinconico. Se vedo Stranger Things e ascolto le canzoni della mia infanzia, non mi vanno a colpire allo stomaco; mi fa piacere sentirle e magari tirarci fuori qualcosa di nuovo. Un pezzo come Twingo, per esempio, parla degli anni del liceo ma non lo canto con la lacrima, piuttosto mi fa piacere raccontare un periodo della vita identico a quello che passa un ragazzo di quell'età oggi. La mia nostalgia si esaurisce nel momento in cui riesco a mettere in parole un periodo o un avvenimento.

 

Il tuo pubblico è cambiato in questi ultimi anni?
Diciamo che si è avvicinato un pubblico più giovane, che ha voglia di divertirsi ma non è per forza legato a un'età anagrafica, piuttosto è un tipo di mood che si è andato ad associare ai miei concerti e alle mie proposte musicali. Chiaro, c'è chi mi scrive che preferiva le cose precedenti, ma per uno che lo fa ce ne sono dieci che sono fomentati sulla roba nuova. Io però non cerco il consenso del pubblico, quello che conta è stare al passo con le mie necessità artistiche, col mio piacere personale di fare musica. Poi oggi la gente affluisce più numerosa rispetto a prima e si diverte molto, ma questo non significa che non possa tornare a fare altre cose meno divertenti. Non sento la necessità di essere sempre uguale a me stesso, né di garantire un certo sound musicale. Gli artisti che mi sono piaciuti di più nella storia sono eccentrici, prendi Beck per esempio, o Battisti Panella v. Battisti Mogol, o Peter Gabriel, che prima faceva prog e poi ha creato il pop sofisticato. La tara della musica italiana spesso è quella: se un artista fa una cosa e funziona, tende spesso a ripeterla per paura di andare a stridere con le aspettative del proprio pubblico. Io questo problema me lo sono sempre posto molto poco.

 

Pensi che il nuovo pop abbia già stancato?
Non mi pare, almeno nei numeri. A volte potrà mancare l'ispirazione ma i numeri hanno sempre ragione.

 

Cambiare rimanendo se stessi è necessario. Ad oggi la scena del nuovo pop vive un po' sulle imitazioni di quelli che ce l'hanno fatta, invece
Sinceramente, quando è esploso il nuovo cantautorato non c'ho trovato niente di nuovo, era musica che facevo nel 2010 e anche se andava meno di moda, immaginavo che avrebbe avuto successo. La canzone italiana è nel DNA dell'ascoltatore medio ed è giusto e meraviglioso che sia così. Ciò non toglie che a volte ci sia la necessità di rischiare di più, di contaminarsi con altri mondi. La mia musica di oggi è molto influenzata dall'electro, dalla discomusic, dall'ebm, dalla dance in generale e pure dall'hip hop internazionale. Se prendi un disco di Kendrick Lamar o di Travis Scott, per esempio, è completamente sperimentale, dentro c'è di tutto, ci sono beat assurdi. All'estero è più naturale sperimentare mentre qui in Italia forse c'è l'attitudine a rimanere affezionati a qualcosa che già si conosce.

 
Ph: Luisa Galdo

 

Il tuo nome questa estate è associato ad alcuni progetti nuovi: Luci da Labbra e Boys Boys Toys. Ci puoi dire di più?
Luci da Labbra è un progetto nel quale ho collaborato alla scrittura e alla produzione di alcuni brani, ma non è in alcun modo mio: sono due misteriosi signori che vestono costumi un po' dadaisti un po' pop art e che mi hanno coinvolto nel loro progetto. Per ora è uscito un solo pezzo ma presto uscirà l'album, in ogni caso non è un progetto mio, anche se è capitato e capiterà di esibirci sul palco insieme. Boys Boys Toys invece è tutta un'altra storia, un progetto nuovo che io e Marco Rissa (chitarrista dei Thegiornalisti) abbiamo iniziato a far crescere nello scorso inverno, partendo dalla passione che abbiamo entrambi per la musica elettronica, dance. Il presupposto era ballare, spostare l'indie nella discoteca, solo che per deformazione professionale abbiamo iniziato a mettere delle canzoni in mezzo a tutto il ritmo. Semplicemente ci venivano, è il nostro lavoro e la nostra natura, quella di tirare fuori canzoni e da lì è nata questa mescolanza. Sarà un progetto open source di cui noi saremo principalmente i due produttori e autori, ma non è detto che sarò sempre io a cantare o che non avremo collaborazioni con altri producer, dj o musicisti. Il primo pezzo è uscito venerdì scorso e si chiama Unicorno Gif, l'abbiamo scritto e composto noi due insieme a Gianluigi Fazio, produttore e autore di tantissimo pop da Mengoni a Laura Pausini. Nei prossimi pezzi ci saranno diversi featuring e sarà la nostra parte sperimentale ad avere il sopravvento, quello a cui vogliamo rifarci è un po' il progetto dei Gorillaz, un collettivo. In autunno e in inverno usciremo con altri singoli e faremo un tour per portare questo progetto live, per far ballare. Già dal nome stesso penso si intuisca che ci siamo ispirati a Sabrina Salerno e alla italo disco, il nostro obiettivo è divertire e tentare di togliere quella linea separatoria che qualcuno vede tra il mondo dei concerti e quello dei club, per unificare queste due realtà. 

 

A proposito dei Thegiornalisti, in cui suoni come turnista: come va questa esperienza? 
Con Marco (e con Tommaso) ci conoscevamo da prima che io suonassi con la band e col tempo si è sviluppata un'affinità artistica, quindi il passo è stato abbastanza naturale. Turnista poi è una parola da mettere un po' tra virgolette perché io non sono uno che suonerebbe un'altra band, non è che domani mi trovi a suonare le tastiere con Calcutta, per fare un esempio. Questa esperienza è stata una cosa occasionale partita in modo del tutto casuale: a loro serviva un tastierista per il Concertone del Primo Maggio 2016, da lì ci siamo trovati bene, mi è stato chiesto se volevo rimanere e lì mi sono improvvisato turnista. Non sono uno che sa leggere gli spartiti o che sa prepararsi le parti alla perfezione però il mio mood evidentemente era affine a quello della band e al momento siamo ancora insieme. Grazie a questa esperienza sono riuscito a vedere la grande forza del pop che riesce ad accumunare famiglie e persone di ogni età, di ogni estrazione. Il pop è trasversale, è questa la sua grande bellezza democratica, ha la capacità di poter piacere a chiunque. In più, nel tour con i Thegiornalisti mi è piaciuto per una volta non essere al centro dell'attenzione, in prima linea col microfono; mi mancava l'esperienza di accompagnare le storie di un'altra persona. È bello vedere tutto da dietro, è un punto di vista privilegiato per chi fa il cantautore. Mi godo di più il pubblico ed è curioso come questo sia andato di pari passo con la mia attività di autore per altri. Anche lì, il gioco è un po' lo stesso: è bello vedere come i tuoi pensieri, le tue rime e le tue melodie vengano interpretate da qualcuno che non sei tu. È un gioco bellissimo. Ultimamente ho firmato un pezzo per l'ultimo album di Renga, per Federica Carta e usciranno due singoli di una band di nuovo pop scritti da me. Mi piace passare dal mainstream sanremese agli artisti giovani che vengono da un'estrazione più indipendente. È una specie di Dungeons & Dragons: cambiano i personaggi, cambiano i ruoli ma il tuo modo di giocare è quello.

 

 

Bene, hai tirato fuori D&D e io volevo parlare proprio di cultura pop: come ti sei sentito quando i teenager hanno iniziato a idolatrare le cose normali della tua (e mia) adolescenza?
Penso sia diversa l'attitudine di chi rivede un po' del proprio passato da chi scopre un'era completamente nuova per la prima volta, è difficile che si sviluppi un senso di nostalgia in una persona di vent'anni che scopre un mondo mai visto prima ma c'è una sorta di attrazione, il passato viene visto come qualcosa di esotico. Nel mondo degli 80s e 90s in cui c'era poco, senza connessioni digitali, in cui per conoscere un disco dovevi andare in un negozio e per vedere un film dovevi andare al cinema, le cose acquistavano un valore unico. Banale ma vero. In ogni caso fortunatamente c'è Spotify che ti fa ascoltare ciò che vuoi senza uccidere il mercato: ancora oggi, quando il disco ti piace veramente, lo compri.  

Leo Pari produttore: ti saresti aspettato che Gazzelle riempisse i palasport?
Se devo essere sincero, anche all'inizio avevo capito che era un progetto forte: fin da quando ho ascoltato i provini di Flavio (Pardini), ho riconosciuto un linguaggio molto figo e personale, molto riconoscibile. Io ho prodotto parte di Superbattito e l'esperienza è stata bella, ancora adesso mi piace andare ai suoi concerti per sentire che alcuni arrangiamenti miei sono stati mantenuti, è una bella soddisfazione. In più. è bello vedere un ragazzo partito davvero dal niente che ce l'ha fatta semplicemente piacendo, nel modo più libero e democratico possibile. Non c'è un altro motivo per cui un artista possa riempire posti del genere: la gente ama la sua musica, si rivede in quello che sta dicendo e ha voglia di cantare le sue canzoni. È stato il passaparola e in questo senso, i social ricordano molto gli anni '90 in cui facevi il mixtape e lo passavi alla ragazza che ti piaceva o le scrivevi il testo sul diario. Che il passaparola avvenga per via telematica, in maniera più veloce, è una pratica che va a supplire quella della casa discografica che pompa il disco in radio. È un fenomeno meraviglioso, che dà un senso a questo lavoro.

 

In effetti c'è stata una rivoluzione incredibile nella canzone italiana, che ha fatto meno fragore perché non è partita da generi più di nicchia come l'hardcore, ma dal pop
La nicchia è diventata il mainstream, il concetto di palazzetto riempito da un artista italiano era una cosa che non eravamo più abituati a vedere, a parte nei pochi casi dei grandi nomi del pop rock tipo Ligabue o Biagio Antonacci. Oggi invece, se riesci a piacere, puoi accedere ad arene incredibili. Abbiamo un sacco di esempi di successo alla Coez, che passa dal piccolo club al palasport e questo è il bello della nostra epoca, in cui di dischi se ne vendono pochi ma la gente ha sempre voglia di unirsi nel rito del concerto per cantare canzoni che magari non ha neanche mai comprato. L'economia musicale è stata risvegliata e i big della canzone hanno iniziato a interessarsi a questo fenomeno, tant'è che buona parte della musica radiofonica che sentiamo oggi è scritta da artisti che vengono dal mondo dell'indipendente. Come Luca Carboni, prima ispiratore e poi ispirato dalla nuova scena. È come il compimento di un ciclo. 

 

Parlavamo di internet e tu sei uno attivo sui social
Il giusto. Cerco di non esserne ossessionato ma oggi, parte integrante della buona salute di un artista, è la pratica di avere accesso ai computer e ai telefonini dei propri fan attraverso la comunicazione di alcuni suoi stati d'animo o momenti della vita. Un musicista spesso è seguito oltre che per la bellezza delle sue canzoni, anche per lo stile di vita che conduce, per il tipo di persona e personaggio che riesce a comunicare sui social. Più si avvicina all'effettiva realtà e più funziona. Cade la quarta parete, di conseguenza l'utente si immedesima nel suo artista preferito e si apre alla possibilità di potercela fare come ce l'ha fatta una persona che sente simile a lui. È un messaggio molto chiaro.

 

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Qualche artista con cui vorresti collaborare?
Mi piacerebbe lavorare con artisti che devono ancora uscire, essere quello che gli cuce il primo vestito addosso. Se invece parliamo di sogni, con Franco Battiato, che purtroppo al momento non credo faccia musica. È sempre stato uno dei miei preferiti insieme a pochi altri italiani, non sono mai stato amante del cantautorato barba e chitarra. Ho sempre prediletto Battisti e Battiato che sono due enormi autori che hanno dato tantissima rilevanza all'aspetto musicale, al sound della loro musica. Per me il sound è importantissimo, spesso mi piacciono canzoni anche prive di contenuti che però hanno un suono che ti incolla. Prendi tutta la italo disco, dai Via Verdi ai Righeira: testi che a livello di contenuto sono anche zero, ma che spaccano con la produzione, l'arrangiamento, il suono. Nel rap attuale vedo cose molto interessanti. Non la trap, proprio la nuova ondata di old school che sta tornando, tipo Massimo Pericolo o Dj Nais, che non si limitano alle 3 o 4 sparate dei trapper sugli stessi argomenti, c'è una ricerca di linguaggio diversa, di neologismi e di percezione della realtà in modi sempre nuovi che mi affascina molto. 

 

A quando il successore di Hotel Califano
Bella domanda, ci sto pensando. Al momento ho voglia di stare dietro la console e far ballare le persone ma vorrei tornare più avanti con un album anche più d'ascolto, più di canzoni. 

Toppeiro.

 

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L'articolo Leo Pari: la vita spericolata di chi fa pop di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2019-07-16 10:40:00

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