Leon Faun: "Basta Fantasy Rap: sono reale, ma a modo mio"

Periodo intenso per il giovane romano, che esce con il disco "C'era una volta" e esordisce al cinema in "La terra dei figli" con Mastandrea (e Gipi). Ci racconta come tutto sia nato da Eminem e Caparezza, perché ama recitare e come evitare la "sindrome di Daniel Radcliffe"

Leon e Duffy, tutte le foto sono di D2uno
Leon e Duffy, tutte le foto sono di D2uno

La prima volta che scrissi di questo rapper di lui si sapeva poco, sennonché tutti gli affibbiassero l’etichetta di primo portatore del “Fantasy Rap”. Leon Faun, il moniker dietro il quale si cela, è la crasi tra il suo nome di battesimo, Leòn de la Vallée, e la nota creatura mitologica che con l’avvento del cristianesimo ha subito un’oltraggiosa demonizzazione (nell’arte medievale il diavolo è spesso ritratto con gli attributi di una capra).

Lo stigma è venuto meno nel corso dei secoli, grazie a personaggi come il signor Tumnus che ne Le Cronache di Narnia ritaglia alla figura una nuova veste da folletto, guida fondamentale per lo svolgimento dei romanzi fantasy. Il cosplay con il quale il giovane romano classe 2001 sembra essersi travestito per interpretare sin dagli esordi il ruolo di “MC” in una maniera diametralmente differente, per scrivere il proprio racconto fiabesco dal quale ora sente il bisogno di distanziarsi per non subire l’effetto “Daniel Radcliffe”.

L'album, che segna l'esordio ufficiale di Leon Faun, svela un lato di più intimo e consapevole dell’artista e la sua volontà di raccontarsi distaccandosi dai mondi immaginari che erano al centro delle sue canzoni. In C'era una volta Leon si spoglia delle sovrastrutture del passato dimostrando le sue doti nella scrittura e la capacità di alternare flow differenti e articolati in un'evoluzione stilistica che ha coinvolto penne importanti, MadameErnia e Dani Faiv, e nuovi produttori del calibro di Sick Luke e Eiemgei oltre al fidato Duffy.

In meno di un anno siamo passati dal descriverlo come un personaggio misterioso a una dei più promettenti nomi della nuova scena rap italiana, ma non è tutto, a poche settimane dal suo album d’esordio, Leon debutterà anche sul grande schermo con la sua prima prova da attore nel film tratto dal romanzo distopico di Gipi, La terra dei figli, al fianco di Valerio Mastandrea e Valeria Golino.

Nonostante il successo sei ancora un personaggio relativamente misterioso. Chi è Leon Faun?

Sono figlio d’arte, i miei genitori sono attori, principalmente di teatro, mio padre ha fatto qualcosina anche in televisione. Sin da piccolo sono stato spinto a intraprendere un percorso creativo. La musica all’interno della mia famiglia è sempre stata presente, la mia formazione “classica”: Jimi Hendrix, Queen, la devo tutta a mio padre, ai dischi che ascoltava quando ancora ero bambino. Mio papà iniziò anche a farmi studiare batteria. Il rap invece è arrivato più tardi, intorno agli 11-12 anni, quando un giorno mia madre mi chiese “Leon, lo conosci Eminem?”.

Non pensavo Eminem fosse un punto di riferimento anche per la generazione Z. Insomma, Eminem andava di moda quando io avevo 12 anni. Ti avrà colpito anche il film.

Quando cercai Eminem per la prima volta su YouTube, ai tempi, mi uscirono Rap God, No Love e tutti quei brani più recenti, solo in seguito, approfondendo la mia ricerca, venni a conoscenza di The Slim Shady e The Marshall Mathers Lp, i suoi primi lavori. E soprattutto del film. Per me che ero ancora piccolino, e fino a quel momento nella mia testa pensavo più alla recitazione, assistere a un film del genere, interpretato da un rapper di quel calibro, è stato veramente un momento importante. Eminem ha letteralmente accesso il mio interesse verso il rap. Con Caparezza e Salmo, invece, ho scoperto questo genere si potesse fare anche in Italiano. Da quel momento il mio interesse verso la musica è aumentato. Intorno ai 14 anni, insieme a Duffy – che ancor prima che produttore è sempre stato un mio amico e compagno di scuola – abbiamo iniziato a comporre i primi pezzi.

Con i tuoi primi singoli si è iniziato a diffondere il termine “fantasy rap”. C’era una volta, nel complesso, è un lavoro più ampio.

Quando è uscita Oh Cacchio ha iniziato a diffondersi il termine fantasy rap ed è stato un vantaggio, era un’etichetta che mi rendeva riconoscibile, ma avevo già intenzione di cambiare direzione dopo il singolo. Se hanno inventato un “genere” per descrivermi vuol dire che qualcosa di buono l’ho fatto, ma non mi aspettavo quel successo e me lo sono dovuto un po’ accollare. L’esempio che porto sempre è quello di Daniel Radcliffe: non importa quanto sia bravo come attore o il ruolo che può interpretare, per tutti rimarrà sempre Harry Potter.

Infatti non capisco se tu voglia allontanarti da questa definizione o continuare a marciarci. Anche il titolo dell’album va in questa direzione.

Il focus del mio ragionamento sta proprio nel titolo, che è l’apertura classica di ogni fiaba, si rifà al mio immaginario da Cronache di Narnia, ma allo stesso tempo utilizza il tempo passato. “C’era una volta”, nel senso che è un capitolo che è chiuso, almeno parzialmente, ma anche “C’era una volta” perché, sparse tra le canzoni ci sono tanti cenni autobiografici. Non che prima non ce ne fossero, ma tendevo a utilizzare più immagini e metafore per raccontarmi e il fantasy rap ne è una diretta conseguenza. Nell’album ho cercato di essere meno allegorico, forse per questo non mi rispecchio completamente in quest’etichetta: per raccontarmi ho dovuto costruire un mondo, è il mio concept a essere fantasy più che il mio sound.

Nel contesto di un genere cui temi si contano sulle dita di una mano, la tua è stata una boccata di aria fresca.

Trattando certi argomenti mi sono ritaglio una fetta di pubblico ben specifica, qualcuno magari non ascoltava nemmeno il rap, all’inizio ne ho approfittato per fare qualcosa di diverso. Non potrei parlare di strada, non mi rispecchierebbe, ho una formazione e un percorso differenti, forse per questo il termine fantasy inizia ad andarmi stretto: io in fondo cerco di essere real, ma lo faccio con i miei argomenti.

Hai sempre lavorato con lo stesso produttore, che è la colonna portante anche di questo disco, ma per la prima volta compaiono anche altri nomi.

La visione complessiva di tutte le produzioni è stata di Duffy, che ha firmato la maggior parte delle basi. Forse l’unica in cui non ha messo voce è la versione orchestrale di Occhi Lucidi, EIEMGEI è un mostro con le produzioni da colonna sonora. Poi ho lavorato con Luke, di cui sono mega fan anche dei lavori al di fuori della DPG, ha una firma sonora super riconoscibile e per me, abituato a lavorare con Duffy da sempre, che prima che come musicista mi conosce come persona, è stato sorprendente e stimolante. Duffy rimarrà sempre il mio principale compagno, ma, ora che mi sento un pochino più preparato, sono curioso di confrontarmi anche con produttori diversi per provare altri sound e generi.

E tutti gli altri featuring?

Madame mi scrisse quando ancora non ero molto conosciuto, oltre che artisticamente ci siamo ritrovati anche umanamente. Poi Poi Poi era un pezzo che c’eravamo già promessi da tempo. Anche Ernia è stato uno dei primi a contattarmi per farmi i complimenti. Quando militava nei Troupe d’Elite non ero ancora ferrato sulla scena rap italiana. Ho recuperato in seguito, pezzi come Lewandoski e Fenomeno con Izi che mi colpirono molto, mi piaceva la sua attitudine tamarra ma elegante, ha scritto una strofa fantastica, non potevo chiedere di meglio. Infine Dani Faiv. Dani lo volevo già nella prima versione di La follia non ha età, ma proprio perché mi stavo costruendo tutto quell’immaginario, ho reputato più giusto inserirlo nel remix. Sono felicissimo del risultato, in fondo era la mia idea originale.

In Come? Affermi di essere un “mezzo rapper mezzo attore”. Come ti immagini in futuro?

Ho mega rispetto per il genere, ma non mi sento un rapper al 100%, mi piace rappare ma vorrei sperimentare altri generi, imparare a cantare meglio e cimentarmi anche al di fuori della musica. Ho sempre voluto creare qualcosa, ed ho cercato di far confluire tutto in un unico progetto, dando ad esempio tanta importanza ai video quanto alle canzoni. Ora ovviamente con l’album mi sono più focalizzato sulla musica, ma m’immagino volentieri in altri ruoli, specialmente nel mondo del cinema. Diciamo che in futuro vorrei provare a portare avanti entrambi i percorsi.

Non hai paura dell’ “effetto Izi”. Diego dalla partecipazione di Zeta ha ottenuto tanta notorietà, ma anche critiche.

No, al di là del percorso “Leon Faun”, ho sempre cercato, e sempre cercherò, di tenere le due cose ben parallele. Tra l’altro io ho recitato una piccola parte in Zeta, giravano una scena nella mia scuola e cercavano comparse.

Ma a breve debutterai con un ruolo ben più importante...

Questo non è un film che parla di me, è tratto da un racconto distopico di Gipi, ha proprio tutt’altro orizzonte. Sicuramente ci sarà qualche purista che criticherà la mia scelta ma, in questo caso, temo più le critiche per la mia prima vera prova da attore. Quando è uscito Oh cacchio nel 2019, il pezzo che mi ha portato al grande pubblico, stavo già partecipando alle riprese de La Terra dei figli e all’interno della scena rap non ero veramente nessuno. La mia priorità, prima della musica, era la recitazione.

È un film che attendo con ansia, come ogni film del mio attore preferito, Mastandrea.

Per me che ero alla prima prova cinematografica “vera” è stata un’opportunità fantastica confrontarmi con un attore del calibro di Valerio, mi ha veramente preso sotto la sua ala protettiva. Ma tutto il cast è stato molto carino nei miei confronti, da Valeria Golino a Claudio Cupellini, il regista, è stato come una stage, ho imparato molte più cose sulla recitazione stando a contatto con loro sul set che in tutta la mia vita. Non potevo aspettarmi debutto migliore.

In fondo dovevamo solo aspettare. Ti ho presentato come un personaggio misterioso e ora, nel giro di poche settimane, usciranno il tuo primo album e il tuo primo film?

Il film sarebbe già dovuto uscire, ma, per via del covid e la chiusura delle sale, come per tantissime altre pellicole, la prima proiezione è stata sempre rimandata. Come ho ripetuto più volte, la mia priorità era la recitazione, l’anno di reclusione non è stato facile, tra le altre cose, dovevo anche sostenere la maturità. Dopo i primi mesi di sconforto, però, il lockdown è stato veramente l’occasione per focalizzarmi su me stesso e, di conseguenza, sulla scrittura e sulle mie canzoni. Anche La terra dei figli è un racconto con una base “fantastica”. A volte la vita ti riserva delle sorprese che non ti saresti mai aspettato, a me è capitato di debuttare col primo album e il primo film praticamente nello stesso momento. Evidentemente era la chiusura naturale di un ciclo.

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L'articolo Leon Faun: "Basta Fantasy Rap: sono reale, ma a modo mio" di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2021-06-24 09:21:00

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