Logo, l'armocromia dei sentimenti

Secondo la teoria del make-up e dello styling ognuno ha la sua palette di colori. Quella dell’autrice piemontese è “Inverno Deep", da cui il titolo per il suo esordio da solista (dopo i tour con i Van Houtens): un pop elettronico nel profondo della stagione più fredda e meno colorata dell'anno

Giulia ritratta da Pamela Cocconi
Giulia ritratta da Pamela Cocconi

Da Verbania a Milano, passando per il Cile. Grafica e designer ancor prima che musicista, LOGO è il progetto solista di Giulietta De Gregorio, ex bassista dei Van Houtens. Con un'impronta cantautoriale che si distacca nettamente dalle canzoni delle nuove cantautrici, attraverso un pop elettronico Logo ha finalmente trovato il coraggio di cantare le proprie esperienze personali.

In attesa di un vero e più corposo album, Inverno Deep, il suo primo ep ufficiale che prende il nome da una prassi utilizzata dal mondo del make up, è un miscuglio di autoanalisi e ironia capace di colorare anche le sfumature più grigie dei sentimenti.

Logo: come mai questo nome?

Logo è un nome bellissimo. Un po’ ha a che fare con il mondo del design, da cui provengo. Un po’ sa di filosofia, da lògos, pensiero. In realtà è il mio soprannome dai tempi della mia prima macchina, una Honda Logo. Nulla di troppo raffinato.

Da dove vieni, come ti sei avvicinata alla musica?

Sono nata a Verbania, sul Lago Maggiore. Ho iniziato a fare musica suonando il basso. Ero bambina e un giorno ho espresso il desiderio di suonare la batteria. Per scherzare i miei genitori mi hanno detto che era troppo ingombrante. Guardando Bon Jovi al Festivalbar ho chiesto cosa fosse quella chitarra strana e mio padre mi disse che era un basso. "E cos’è un basso?", gli ho chiesto. Lui, preso in contropiede, mi ha risposto: "È una batteria a forma di chitarra". Da lì mi sono fissata.

Lo spostamento dalla provincia alla città è stato importante per maturare il tuo stile personale?

Può sembrare un ossimoro, ma la provincia mi ha formata di più a causa della mancanza di stimoli. La noia che muove la creatività è stata per anni la mia forza. Nella musica riuscivo a incanalare le energie che non riuscivo a esprimere da adolescente. E alla ricerca di musica sempre nuova ed estera, viaggiavo con la fantasia sognando un giorno di andarmene. Avevo aspettative talmente alte che una volta arrivata Milano è stata inizialmente una delusione. Invece è bastato poco tempo per capire che, nonostante le aspettative disattese, questa città è un luna park gigante. È stato divertente.

E in Cile come ci sei arrivata?

Per 7 mesi ho studiato a Valparaíso, una città coloratissima e piena di vita. Durante un viaggio in Patagonia ho conosciuto Jonas, un bravissimo musicista tedesco con cui sono ancora in contatto. Avevamo un duo e suonavamo una volta a settimana in un posto diverso, ma sempre nella stessa città. Impensabile per il contesto italiano, che è l’unico altro contesto che conosco. Si trattava di locali piccolini e strapieni, i live duravano molto meno perché il pubblico era totalmente concentrato sull’esibizione. È stata una bella esperienza che è andata oltre il valore del viaggio in sè, che comunque rimane un momento di altissima ispirazione.

LOGO fotografata da Shadi Parsa
LOGO fotografata da Shadi Parsa

Sei stata turnista per i Van Houtens. Quando ha deciso di metterci la faccia?

Alan, fondatore dei Van Houtens, mi ha fatto capire che la musica non è solo tecnica, cura del dettaglio, progetto, ma è anche istinto, estro. Dopo l’esperienza con Alan e Karen, ho smesso per un po’ di suonare perché ero finita in una centrifuga lavorativa, fra precarietà e viaggi continui. Senza musica mi mancava l’aria e volevo ricominciare, ma sentivo anche l’urgenza di farlo con pezzi miei in italiano, che parlassero di me e come me. È così che ho iniziato a progettare Logo. In realtà avevo il mio progetto solista nella testa da anni.

In Samurai ammetti di tenerti tutto dentro: in primis la musica è prassi catartica?

Sicuramente è uno dei 100 linguaggi che abbiamo a nostra disposizione, come dice il pedagogista Loris Malaguzzi. Qualche settimana fa, mi hanno chiamata per raccontare a una classe di bambini delle elementari come nascesse una canzone. Fra le tantissime domande cui ho risposto, mi è stato chiesto se con le canzoni si possono raccontare tutti i sentimenti. Direi tutti, anche quelli che ancora non abbiamo capito di provare.

Cosa significa il titolo del tuo omonimo singolo?

L.O.G.O. è il mio manifesto. All’inizio e lungo tutta la canzone faccio lo spelling del nome "elle-o-gi-o". Volevo che chi leggesse il titolo della canzone lo pronunciasse così. In realtà non è un acronimo, non significa proprio nulla.

E CDB invece?

CDB sta per Crampi di Battaglia. È una canzone che incarna il romanticismo semplice, quello adolescenziale. Mi piace pensare che guardando il titolo, qualcuno (come è già successo) si confonda e la chiami CBD. O ci veda una citazione alla Cricca dei Balordi, e gli amanti dell’hip hop capiranno.

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Invece, perché Inverno Deep?

L’ispirazione me l’ha data una ragazza amante nell’armocromia, un metodo che usano nel mondo dello styling per definire una palette di sfumature adatta alla carnagione e al colore dei capelli di ognuno/a (la sto semplificando perché ne so poco o niente). Mi stava parlando di questo metodo e mi ha detto che io ero "Inverno Deep". Ovviamente io l’ho letta in chiave emotiva: il freddo dentro, ma anche il silenzio e la pace di ritrovare se stessi nella propria intimità e coccolarsi anche nei sentimenti meno colorati.

Lavori sempre con lo stesso produttore. Ma come nascono le tue canzoni?

Ho fatto scouting di produttori per un po’ di tempo prima di intercettare Waxlife. Con Simone mi trovo benissimo, sia professionalmente sia umanamente. Anche se le mie canzoni nascono spesso chitarra e voce, mi piace confrontarmi con lui in studio fra una birretta e l’altra. Una volta messo a fuoco il pezzo, le sonorità, il mood, Simone fa mix e master. Il processo di creazione è sempre diverso a seconda della canzone, ma la collaborazione funziona e il flusso creativo è consolidato. La voglia di confronto e di contaminazione ha portato anche al contributo di artisti diversi. Come Aaron Bautista, che ha scritto l’intro di Pugni, e Brenneke, con cui ho scritto Gentaglia.

Quali sono le tue influenze e ispirazioni principali?

Le mie muse sono Florence Welsh, Lana del Rey e Lorde. Come scena mi ha influenzato parecchio quella punk rock, che non ho mai smesso di ascoltare e adesso sta avendo un ritorno attraverso il rap con Machine Gun Kelly e Yung Blud. Anche il movimento indie, intorno al 2017, ha dato un nuovo respiro identitario a giovani musicisti e cantautori. È una scena nata dal basso, di rottura, e adesso è il nuovo mainstream. È stata una rivoluzione musicale potente e sono contenta di averla vista, ballata e ascoltata in prima persona.

Sei service e UX designer: la copertina dell’album è opera tua?

No, per me è più facile pensare un’app da zero che fare una grafica illustrata! La copertina dell’album è di Pamela Cocconi, una bravissima illustratrice. Tengo molto a dare un’immagine coerente con quello che sono e il mood che voglio restituire. E lo stile di Pamela era perfetto.

Quanto è importante riuscire a dare una veste visiva alla tua musica?

Per deformazione professionale mi viene facile pensare ai miei pezzi anche visivamente, forse non è un caso che anche i miei testi siano costituiti da una serie d’immagini. Ogni canzone racconta una serie di suggestioni visive dietro l’altra. Quest’aspetto ha facilitato anche la creazione dell’immaginario di tutti i video legati a Inverno Deep, diretti da mia sorella Silvia Di Gregorio, che è una giovane regista che sicuramente conoscete per il video di Verdura dei Pinguini.

 

Giulia Di Gregorio, in arte LOGO, cantautrice ed ex bassista dei Van Houtens
Giulia Di Gregorio, in arte LOGO, cantautrice ed ex bassista dei Van Houtens

Com’è stato uscire col primo ep in quarantena e non poterlo suonare?

Mi sento anche più fortunata di altri: ho potuto suonarlo a Cuori Impavidi quest’estate, in apertura agli Eugenio in Via di Gioia e in un paio di altre occasioni, sempre in versione acustica, perché si prestava al contesto "seduti e distanziati". Aspetto con pazienza di poter fare altri live, magari in versione elettronica, quando la situazione lo permetterà.

I tuoi prossimi progetti?

Sto traslocando, quindi è un momento di cambiamento e di costruzione per il futuro nonostante le restrizioni. Scrivo tantissimo e costantemente, ho già un bel po’ di pezzi nuovi e il prossimo passo è fare di questa musica un album. Mi piacerebbe scrivere per altri e con altri, ma più che un progetto è un sogno nel cassetto.

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L'articolo Logo, l'armocromia dei sentimenti di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2021-01-14 13:00:00

Tag: album

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