Da anni vivo un piccolo dramma interiore. Sono nato e cresciuto in Friuli ed è una cosa di cui vado molto fiero, tanto che dovrei farmi pagare dall'ente promo turismo per quanto tiro fuori l'argomento con gente che non non ha idea di che posto incredibile sia quella regione in alto a destra sulla cartina italiana. C'è però un elemento discordante con questo spicciolo patriottismo che si muove dentro di me: il friulano lo parlo a stento. Lo capisco abbastanza, so esprimere qualche concetto base, ma non posso dire che sia una lingua che conosco a tutti gli effetti.
Se guardo molti miei coetanei, invece, il friulano è una lingua che vive, o almeno sopravvive. Soprattutto nei paesi della provincia e in Carnia, la zona montana della regione che negli ultimi anni si è molto spopolata, ma conserva una ridotta comunità molto legata questi luoghi. Di questa fa parte Massimo Silverio, cantautore che negli ultimi anni ha dato un po' di lustro e visibilità alla zona anche nella scena musicale alternativa: il suo disco d'esordio, Hrudja, ha ricevuto ottimi consensi ovunque (pure alla BBC con Iggy Pop, storia che probabilmente lo stesso Massimo non ne può più di sentire). Quindi, qualche tempo prima dell'uscito del suo seguito, Surtùm, lo raggiungo nella natia Cercivento, paesino che conta attualmente qualcosa come 600 abitanti.
Il viaggio in macchina da Udine alla montagna lo faccio ascoltando in successione i due dischi di Massimo. È un'esperienza ai limiti del pericoloso, nel senso che è facile dimenticarsi che si sta guidando: la potenza evocativa di Hrudja prima e di Surtùm poi si fa ancora più chiara di fronte ai luoghi che rappresentano il quotidiano per il cantautore carnico. Ma se Hrudja ha qualche elemento di apertura verso l'esterno, con dei brani in cui il canto acuto di Massimo scivola con naturalezza nell'inglese, Surtùm mantiene una forma ancora più inaccessibile e, proprio per questo, ipnotica, con giusto qualche vocabolo che riesco ad afferrare tra una traccia - anche di 10 minuti di durata - e l'altra (come massanc, ossia la roncola, uno degli oggetti che più friulano non si può). E con un suono in continuità, dove gli arrangiamenti si percepiscono di una libertà assoluta, fluida, come se si manifestassero sotto i nostri occhi, evocati in tempo reale dalla voce di Massimo.
Arrivo a Cercivento appena prima di Massimo. L'appuntamento è di fronte alla chiesa del paese, ed è lì che mi rendo conto che intorno c'è tanta, pure troppa iconografia cristiana. Ok che siamo davanti a un luogo di culto, ma i mosaici raffiguranti scene bibliche non sono circoscritti al sagrato della chiesa: li si trova sui muri delle case, sparsi in giro per le viuzze, abbarbicati su quasi ogni muro di Cercivento. Il che, considerando che ci troviamo in una regione dove la bestemmia spesso e volentieri può fungere da soggetto, verbo, complemento e pure punteggiatura di qualsiasi frase, fa ancora più strano. Ma ecco che arriva Massimo e posso farmelo spiegare direttamente da lui, mentre saliamo in macchina per attraversare il paese e fare una camminata nei boschi circostanti.
Ma com'è che qua è pieno di mosaici cristiani?
Era un progetto del prete di qualche anno fa: "Cercivento - una Bibbia a cielo aperto". Ha commissionato ai mosaicisti di Spilimbergo tutta una serie di scene bibliche con cui "rivestire" la città.
Tu adesso non vivi più a Cercivento, giusto?
Per un periodo ho vissuto a Udine con mio fratello. Ovviamente non è per niente facile fare il musicista in Carnia, quindi ho provato a spostarmi in città. Dopo un po', però, mi sono accorto che ero sempre in casa. Io lavoro principalmente con gente da fuori, a cominciare da Manuel, il mio produttore, e Nicholas, il mio batterista, che stanno in Piemonte, stare a Udine o in montagna non cambia chissà che. Quindi mi sono detto: "Ma dove voglio andare a vivere io? In Carnia". E sono tornato qua, in una frazione di Ovaro.
Facciamo una tappa a vedere la copia del "Giudizio universale" di Michelangelo, in mezzo al paese, fatto interamente di piastrelle. "Quando venne realizzato, un mio amico disse che non era attaccato bene sarebbe stato in piedi per più di un giorno. E così fu", racconta Massimo divertito. Risaliamo in auto.
Con la musica come sei entrato in contatto da bambino?
Non ho mai studiato musica, però ne ho sempre ascoltata tantissima. Al liceo ho iniziato a cantare nelle prime band, a scrivere le mie cose, ma sono dovuti passare anni prima che mi convincessi che meritassero di essere registrate.
Quando hai iniziato a farle in quella che è effettivamente la tua lingua madre, ossia il carnico?
Già nei primi ep avevo provato a mettere la canzone o la parte in lingua. Quando ho avuto la possibilità di registrare Hrudja mi sono detto: "Adesso decido di cantare tutto in carnico", anche come presa di posizione. Il carnico, o il friulano in generale, è una lingua che potrebbe essere tranquillamente cantata molto di più. Poi vedere la risposta al disco mi ha fatto prendere coraggio, ho anche abbandonato l'idea di scrivere in italiano o in inglese per essere più fruibile.
Siamo arrivati in uno spiazzo di bosco sopra Cercivento. Scendiamo dall'auto e facciamo una passeggiata attorno, continuando a chiacchierare.
Da friulano che conosce poco la lingua, ho sempre associato il parlare e cantare in friulano come qualcosa di più comico. Tu come la vedi?
C'è stato un periodo in cui cantare in friulano per i friulani significava fare i goliardi. Inizialmente non pensavo che potesse essere preso sul serio. Per quanto la lingua friulana sia ricchissima, il Friuli era una terra piena di poeti: più studio, più mi accorgo di quanto sia una lingua profonda e quanto si stia impoverendo ora, che viene parlata molto meno.
Esempi come il tuo o come Daniela Pes dimostrano che c'è curiosità sulle culture regionali. Come mai, secondo te?
Siamo arrivati a un punto dove siamo gonfiati da della musica che esce di continuo, tanta di questa purtroppo è sempre più simile a se stessa. Secondo me l'orecchio delle persone ha bisogno di ascoltare nuovi suoni.
Che studi hai fatto sulla lingua friulana?
Dietro quel crinale c'è Paluzza, ho fatto le medie lì (Massimo indica un punto di fronte a noi tra le montagne, ndr). Allora facevamo un paio d'ore friulano alla settimana, lì ho imparato a scrivere in friulano, però non c'è mai stato un vero studio dopo, magari sulla storia o sulla letteratura. Vivo di libri che trovo, anche se non è facile. Per esempio, sto cercando una raccolta di poesie di Novella Cantarutti, ma a meno di 80 euro in giro non si trova.
Tu collabori principalmente con musicisti che non sono friulani. Com'è stato approcciarli la prima volta? Che reazione hanno avuto di fronte al cantare in una lingua che non conoscono?
La comprensibilità è qualcosa a cui penso spesso. Mi impegno tantissimo nello scrivere i testi, ci dedico molto tempo, però so che quasi nessuno di chi ascolta capirà quello che dico, molti non faranno neanche lo sforzo di cercare le traduzioni. Per un po' ho pensato che tanti credessero che cantassi in una lingua inventata.
Mentre torniamo verso la macchina incrociamo una coppia a passeggio con un cane. L'uomo si ferma a salutarci, raccontando di quando da ragazzo suonava col nonno di Massimo e della casa di questo fantomatico "Omenat". Quando si allontanano indago di più.
Aspetta un attimo: cos'è sta storia di tuo nonno musicista?
Era un reduce della guerra in Russia. Dopo essere tornato qua, da giovanissimo, è partito per l'Argentina, dove ha imparato il tango. E poi l'ha portato qui, in Carnia. Quel signore che si è fermato prima è un flautista di Milano che ha suonato tanto con mio nonno, gli è rimasto molto affezionato.
E l'Omenat, invece?
Nel video di Criure c'è una casa con delle cartoline. Quella è la casa dell'Omenat, che in friulano indica un uomo brutto e cattivo. In realtà era la persona più buona del mondo. Ti porterei là, ma mi sa che non si passa, l'erba è altissima. Purtroppo adesso non è più come una volta: quando il paese era più vivo la gente si prendeva cura dello spazio.
I tuoi coetanei qua hanno fatto la tua stessa scelta di vita? Quanti sono rimasti e quanti no?
Quelli che sono andati via sono sempre meno di quelli che sono rimasti. Ho notato che tanti studiano fuori, che sia Udine, Trieste o ancora più in là, però poi tornano. La Carnia è spopolata, questo è un dato oggettivo, però allo stesso tempo i miei amici sono ancora quasi tutti qua. In tanti puoi leggere il dispiacere anche di aver messo da parte dei sogni per rimanere. Chi rimane qua è gente che lavora, tanto.
Nel nostro cammino finiamo davanti a uno stavolo, ossia un edificio nato come rifugio per i pastori, a cui Massimo è molto legato. "Se fossi milionario, restrutturerei tutti gli stavoli", dice. Ci entriamo.
Tornando sul discorso di tuo nonno: quindi in casa sei sempre stato esposto alla musica.
Sicuramente c'è sempre stata la sua presenza come musicista. Allo stesso tempo non ho mai voluto seguire le sue orme. Piuttosto è stato fondante per me ascoltare i dischi che mi passava mio padre: già alle elementari avevo consumato il volume 1 del live di De Andrè con la PFM.
E al violoncello, che è il tuo strumento, come ci sei arrivato?
Qua a Cercivento c'era un circolo culturale dove, per un periodo, hanno organizzato un laboratorio sulla musica tradizionale, in particolare sulle villotte friulane (canti popolari tipici del Friuli, ndr). Alla prima lezione mi hanno messo un violoncello in mano e mi sono innamorato subito dello strumento.
Esistono ancora le villotte? Si cantano ancora qua?
Finché c'era la generazione che aveva vissuto il secondo dopoguerra ci entravo più in contatto. In paese questi anziani mi raccontavano come, da ragazzi, inventassero delle canzoni su delle melodie già esistenti, che poi è il senso stesso della villotta. Queste canzoni poi rimanevano negli anni. È una cosa meravigliosa aver avuto questo esempio di come una volta la musica fosse così giocosa e presente in una comunità. Adesso non esiste, il paese è muto ora. È una cosa molto triste.
Risaliamo in macchina e scendiamo verso il paese. Lungo la strada, Massimo mi indica la casa storica della sua famiglia.
Da quante generazioni i Silverio vivono a Cercivento?
Da parecchio. Si dice che fossimo servitori di una famiglia di nobili inglesi che si chiama Pitt. Tra l'altro siamo una famiglia maledetta (ride, ndr).
Come maledetta?
Un mio avo fu accusato di rubare il terreno ai campi vicini. Lui andava di notte a spostare il confine, quando venne chiamato al processo si mise della terra negli stivali e disse al giudice: "Giuro di aver sempre camminato sulla mia terra". Poi fu condannato e si dice che fosse incastonato in una montagna, costretto a picchettare la roccia finché il suo debito non fosse estinto.
Massimo mi riporta alla mia macchina e mi invita seguirlo a casa sua, a una decina di minuti di macchina da Cercivento. Una volta arrivati lì riprendiamo la conversazione.
Surtùm come è nato?
Si è sicuramente servito di una dose di coraggio arrivata dal disco precedente, comunque è un album che sentivo come necessario. Tante di quelle canzoni sono una sorta di preghiera, in un momento in cui sentivo bisogno di dover pregare. Surtùm è arrivato quando la fase di Hrudja stava discendendo, durante una pausa dopo tanti live dove ero preso dai cambiamenti della vita. Sono venuto due settimane a Cercivento e ho tirato fuori quasi tutti i testi. Poi ci sono canzoni come Prin, che avevo scritto a 18 anni e qua ha trovato il suo posto. È un disco che si è anche generato mentre camminavo in giro per i boschi, sentivo che qualcosa stava germinando dentro di me.
E che cos'era quel qualcosa?
Direi una sorta di verità nella musica. Surtùm contiene questi sforzi di ricerca di una verità. Se poi vanno a depositarsi da qualche parte, dove si fermano, io non lo so. Surtùm significa "palude": questo disco è un luogo dove potrebbero concentrarsi tutte queste energie.
Quali sono i tuoi principali riferimenti musicali? Spesso vieni paragonato ai Sigur Ros, che però mi sembra vengano un po' buttati lì a caso.
È una cosa di cui inizialmente soffrivo, anche se è un po' inevitabile: chi legge ha bisogno di avere delle coordinate. Quando sono in fase di lavoro intenso di un disco non riesco ad ascoltare niente. Mi è difficile dire degli artisti o band che potrei avere assimilato. La cosa che più sento vera è la musica tradizionale, da qualunque parte del mondo, che siano gli Huun-Huur-Tu dalla Mongolia o il Coro delle voci bulgare. Quella è la musica che mi parla in maniera più sincera.
Adesso porterai questo disco dal vivo. Qual è la risposta del pubblico che hai visto col tour precedente?
La cosa bella è che in tante date c'era sempre qualcuno che veniva a dirmi "sono friulano!", oppure "anche mia mamma è carnica!". Durante un live l'espressione che vedo più comune è quella di persone perse all'interno di un suono, che si lasciano andare e magari riescono pure a capire l'intenzione, senza mai comprendere il testo. Il che è molto gratificante.
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L'articolo Massimo Silverio: il ragazzo di montagna di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2025-10-13 17:00:00
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