Amor Fou - Milano, 25-08-2007

(Amor Fou - Foto da internet)

Prima c’è una storia. Adele e Paolo si incontrano, si innamorano, si lasciano senza un vero motivo, dopo una storia tormentata fatta di momenti di idillio alternati a liti furenti. Poi c’è un’illuminazione fortissima, epifanica forse, che parte da questa storia per stimolarne una nuova. Ambiziosa come solo quattro musicisti di talento ed esperienza possono mettere in gioco, riponendo in discussione i loro piccoli successi e soprattutto ridisegnando le loro nuove frontiere. In un nome come Amor Fou - che si scrive come “amore pazzo” e si legge come “amore passato”, un po’ italiano e un po’ francese come le loro influenze – si incontrano Alessandro Raina (ex Giardini di Mirò, N00rda), Cesare Malfatti (La Crus, Dining Rooms), Leziero Rescigno e Luca Saporiti (Lagash). Il loro esordio è “La Stagione Del Cannibale”, un romanzo epistolare neorealista diviso in 12 canzoni pop, che parte dalla cronaca per fare della letteratura. E soprattutto per fare una musica italiana nuova, svezzata all’Europa dei Notwist e all’America dei Blonde Redhead, unita nella nostra tradizione cantautorale, quella che raccontava l’Italia che cambiava parlando di storie. Spesso d’amore. Perchè “non esiste un amore che non sia pazzo, anche per un istante. Non esiste un amore passato che non lasci tracce degne di essere raccontate”.



Amor Fou, benvenuti. Supergruppo – possiamo definirlo così? - formato da ex La Crus e ex Giardini di Mirò, ora insieme per un progetto nuovo. Quando l'incontro e, soprattutto, come l'idea?
Alessandro: Un supergruppo sono The Good The Bad and The Queen, lo erano Battisti e la Formula 3. Sicuramente La Crus e GDM sono un capitolo importante della musica italiana e noi siamo onorati di avere partecipato a questi bellissimi progetti. Amor Fou deve ancora dire tutto e ha davanti tanto tempo per farlo. L'amicizia vera nasce verso la fine del 2006, Amor Fou è il nome che abbiamo dato ad un contenitore di tante cose che non avevamo ancora scritto/suonato e sentivamo il bisogno di tirare fuori. L’imprimatur è arrivato con la fatidica festa a cui abbiamo conosciuto Adele e Paolo, la cui storia ci ha improvvisamente svelato i nostri reali obbiettivi.

Il vostro nome si scrive come “amore pazzo” e si legge come “amore passato”. Quali suggestioni si nascondono dietro questa scelta?
A: Il nome in questo caso dice tutto, e ci è piaciuto anche graficamente, nel suo essere meticcio, un po’ italiano un po’ francese (ossia due delle matrici che ci influenzano di piu’). Nel nostro caso due sconosciuti, Adele e Paolo, si incontrano, si innamorano, si lasciano senza un vero motivo, dopo una storia tormentata fatta di momenti di idillio alternati a liti furenti. Niente di nuovo, in realtà, situazioni che si vivono tutti i giorni. Non esiste un amore che non sia pazzo, anche per un istante. Non esiste un amore passato che non lasci tracce degne di essere raccontate.

“La Stagione Del Cannibale” si apre con il gioco linguistico e la struggente melodia de “Il Periodo Ipotetico”, dove canti “Se ci fosse un luogo abbandonato a sé/lo potremmo prendere”, quasi come se quel “sè” fosse un “se” e supportasse in licenza poetica un verbo al condizionale e non al congiuntivo. Suggestioni a strati come nella scelta del nome. Quanta cura c'è nel dettaglio e quanto colto volevate che fosse questo disco?
A: Penso che un disco sia colto nella misura in cui la cultura ha un’importanza e un ruolo nella vita di chi lo scrive. Ma per cultura non possiamo intendere solo i libri, i film o i quadri di cui ci nutriamo da sempre. Per cultura intendiamo anche i ristoranti sparsi per il mondo in cui assaporiamo duecento anni di storia in un sugo, i parchi, le spiagge, i cartelloni pubblicitari, gli sguardi delle persone immortalate in una cartolina postale. Tutti luoghi, oggetti, che a loro volta ne contengono altri. Credo che gli ‘strati’ di cui parli siano tutti lì.

Su quali ascolti – italiani e non solo – pensi che si basi il vostro suono e la vostra matrice musicale? Puoi indicare qualche nome?
Alessandro + Leziero: Per quanto possa suonare retorico noi siamo persone innamorate della musica… o dovrei dire ancora innamorate della musica, in modo trasparente e disinteressato. Passiamo gran parte del tempo a comporre, o a cercare spunti per il nostro lavoro e credo che in questo siamo decisamente un gruppo con una concezione molto retrò del fare musica. Non abbiamo imbracciato gli strumenti al fine di avere piu’ attenzione nei club della città (che per altro frequentiamo pochissimo) e penso che questo ci differenzi dall’approccio di moltissimi dei gruppi dell’ultima generazione. Esiste una sorta di codice genetico acquisito nel tempo che si è espresso attraverso la composizione, gli arrangiamenti, la scelta dei suoni ma alla fine del lavoro noi è stato facile capire quanto alcuni elementi fossero palesemente figli del nostro amore per Battisti, Tenco, i Notwist di “Neon Golden”, i Radiohead, per arrivare a Gainsbourg e ai Blonde Redhead di “Misery”. Questo significa semplicemente pagare un tributo sincero e palese a questi meravigliosi autori e non certo porsi al loro livello.

E' curioso ed importante che una realtà discografica unica in Italia come la Homesleep abbia deciso di pubblicare il vostro disco. Precedentemente, solo gli El Muniria di Emidio Clementi avevano convinto la label a dare fiducia ad un disco in italiano. Come vi siete trovati e dove vi siete proposti di arrivare?
A: Data la mia militanza nei GDM e la mia collaborazione con il booking management di Homesleep è ovvio che siano stati fra i primi interlocutori di Amor Fou. Ma ci piace sempre ricordare che inizialmente Daniele scoprì Amor Fou e cercò informazioni sul gruppo – nonostante cantasse in italiano - senza accorgersi che il cantante fossi io…
E a conti fatta nessuna major ci avrebbe offerto un sostegno simile a quello finora dimostratoci.

Individuo in figure come Cristiano Godano e Paolo Benvegnù un'attitudine a miscelare suoni europei con una letteratura italiana una esperienza della quale siete in qualche maniera figli. Pensi che dopo questa ondata di rivincita edonista sia giunto il momento di tornare a fare i seri?
L+A: Al di là della lingua usata citi due artisti di grande talento, e il talento non dipende dalla lingua che parli. Detto questo ‘serietà’ è una parola che ricorre spesso nel nostro vocabolario, sicuramente molto piu’ di ‘disimpegno’. Il nostro concetto di serietà però non è ultra-ortodosso. In questo non abbiamo mai smesso di pensare al grande Eduardo De Filippo, che dietro a una verve tragicomica celava una serietà estrema, quasi palpabile a pelle. Per noi la serietà è un valore assoluto nel senso che non prendiamo troppo sul serio noi stessi ma prendiamo assolutamente sul serio la materia che trattiamo. Pensa al cinema. Un tempo esisteva la nobile commedia all’italiana o il cinema popolare, con elementi di riflessione che convivevano perfettamente con originalità e bizzarria. C’è differenza fra Germi, Dino Risi (registi assolutamente popolari eppure profondissimi) e un Muccino. C’è differenza fra un caciarone come Sordi che va ad interpretare ‘il Moralista’ e un Pieraccioni.

Questa stessa serietà speriamo sia anche in chi ci ascolterà, a cui chiediamo un piccolo grande sacrificio…nel leggere i testi, nell’ascoltare la scelta dei suoni, nel domandarsi cosa ci sia dietro a un copertina. Possiamo avere elementi di facile presa ma siamo consci che occorre un po’ di tempo per entrare completamente nel nostro territorio. Un tempo che nell’era frenetica dell’I-pod non è scontato che abbiano tutti.

Alessandro, sei alla tua prima esperienza con la scrittura in italiano. Come ti sei trovato? Ti sei sentito più “denudato” che in passato? Con quale metodo e a quali autori hai più guardato durante la composizione?
A: E’ stata una necessità che già sentii quando concludevo “Blood Red Bird” dei GDM citando “Il cielo in una stanza” di Paoli. Con mia sorpresa scrivere in italiano è stato piu’ naturale ed immediato e forse questo è dovuto alla grandissima quantità di musica popolare italiana da cui ho sempre attinto. I testi di Mogol e di Panella per Battisti, i primi Venditti e De Gregori, i Baustelle, Tenco, i Perturbazione, Zampaglione e soprattutto Sinigallia, Benvegnu’, Bruno Martino, Gino Paoli, Modugno, Ciampi, Celentano, la canzone napoletana di Murolo

I testi raccontano storie molto delicate e personali che lambiscono situazioni universali che ci rendono parte dell'umanità, sviluppate con tatto e con un linguaggio molto ricercato. Esiste un filo sotteso a tutte le canzoni e come pensi di poter sintetizzare l'immaginario letterario del disco?
A:“La stagione del cannibale” è un viaggio a ritroso che prende spunto dalla fine di una storia d’amore che, per uno scherzo del destino, si è consumata il giorno della strage di Piazza Fontana, il giorno in cui l’Italia che ancora assaporava ingenuamente le dolcezze e i sogni della decade ‘50/’60 perse la propria innocenza collettiva. I testi sono tutti ispirati a vicende o lettere scritte da due ragazzi che sono divenuti adulti fra le ombre di un paese che cambiava, e cerca di descrivere in modo intimista le fratture di un'illusione collettiva e personale.

“Tenetela per voi la società che non si muove”. Qual è l'Italia che fa da contesto sociale agli Amor Fou?
A: La frase, nella canzone, è detta da un ragazzo che ha poco piu’ di vent’anni nel 1970 e ha molto del Terrence Stamp di “Teorema” di Pasolini. Un misterioso ragazzo che entra nella vita una famiglia dell'alta borghesia milanese e la sconvolge per sempre, mettendone a nudo le ipocrisie. Il contesto sociale di Amor Fou è una società profondamente malata di qualunquismo e nevrosi che ha in Milano la sua epitome, ma è anche una splendida Italia centro-meridionale, austeramente provinciale, accogliente, dignitosa nel suo svelarsi sottovoce, che ci proponiamo di riscoprire ad ogni occasione, ed esploreremo con i concerti.

A che categoria botanica appartiene la "ghirlanda neoborghese"?
A: A quei fiori che compongono le corone mortuarie che i complici dei boia esibiscono ai cortei funebri delle vittime che non hanno voluto salvare, come Aldo Moro. O ai bei bouquet che i giovani architetti del ‘68 regalavano alle loro splendide fidanzate quando non erano impegnati a fare la guerra contro il sistema a colpi di pietre e golfini di cachemire.

Alessandro, è di qualche tempo fa ormai una tua lettera al blog Inkiostro nella quale affronti temi interessanti, che trovo abbastanza determinanti anche in questo progetto Amor Fou. Una lettera sintomatica, che ho letto con un sentimento di sfiducia e un vago senso di tristezza. Quando un artista occupa spazi non per provare a spiegare la sua arte, ma per giustificarsi, non è buon segnale. Perchè hai sentito la necessità di sentirti sdoganato dal sopravvalutato establishment indie italiano quando gli unici e soli giudici di ogni musica sono i suoi ascoltatori? Non trovi limitante continuare ad autoreferenziare gli sforzi intellettuali al posto di guardare verso la gente ed il pubblico?
A: Vedi Carlo la tristezza che anch’io ho condiviso è legittima quando qualcuno è sottoposto al biasimo o allo scherno per come si veste, per i libri che legge o per il lavoro che fa. E penso che questa tristezza si debba trasformare in scoramento quando a fomentare questo sottile disprezzo siano dei ragazzi istruiti, con la pancia piena, che vivono nella piena modernità di cui usano i mezzi (internet, i blog) ma dimostrano di non sapersi rapportare a qualcosa che superi l’avanguardia culturale di Topolino (o qualsiasi cliché indie rock) non riuscendo a cavarne altro che scherno o luoghi comuni. Ho scritto a un blog perché i blog sembrano diventati la voce preferenziale di un grandissimo numero di ascoltatori/consumatori che nei blog riversano la propria esigenza di comunicare dando per scontato che sia dovuto farlo solo perchè se ne ha la possibilità, e scelgono di esaurire in pillole di poche righe la propria esigenza di dover giudicare tutto in tempo reale. Sono stato diffamato in modo ridicolo ed ho esposto il mio pensiero, firmandolo, cosicché potessi per lo meno essere attaccato per le cose che realmente mi rappresentano. Se la mia insignificante lettera è diventata per due settimane uno degli argomenti scottanti dell’indie italiano è un problema di monotematicità dell’indie italiano stesso, o meglio della sua versione telematica. La cosa che mi ha fatto piu’ tristezza è denotare che gli attacchi venissero da gente che – sono sicuro - si ritiene progressista e open minded e certamente ride delle associazioni cattoliche che contestano ferocemente Marylin Manson.

Hai dichiarato che siamo in una Nazione e in una “scena” nella quale basta un demo malregistrato per essere definiti i nuovi Lucio Battisti. Che cosa credi manchi allora ai musicisti in Italia?
L+A: Forse ai musicisti di ultima generazione manca la pazienza di sostenere un percorso che prevede vari gradi di approfondimento. Spesso si denotano influenze mal digerite, non elaborate con consapevolezza, dove anche una buona ispirazione finisce per risultare troppo derivativa. Forse ad alcuni giovani giornalisti/blogger mancano competenze strettamente musicali abbastanza ampie per capire che lo stile pianistico di un giovane autore rimanda piu’ a Memo Remigi che a Tenco, e che certi paragoni andrebbero semplicemente evitati nell’interesse degli artisti emergenti. Al contempo siamo i primi a sostenere il fermento della nuova scena autoriale italiana e il recupero di riferimenti non solo esterofili. Ma lasciamo perdere il nuovo Tenco o il nuovo Battisti.

Negli ultimi mesi possiamo dire d'aver ascoltato ben pochi degni di nota, e le cose più nuove ascoltate con maggior piacere sono cantate in italiano (in controtendenza rispetto a quanto invece accaduto negli anni precedenti). Il Teatro Degli Orrori, Dente, pare che l'attenzione si stia rispostando sulla parola. Che ne pensi? Quale la collocazione in questo per Amor Fou?
A: Penso che Amor Fou non sarebbe mai potuto esistere se non in italiano e che sia un progetto proponibile anche all’estero così com’è. Per quelli della mia generazione penso che i Baustelle de “La Malavita” abbiano in qualche scardinato definitivamente una porta, infrangendo il tabu’ secondo cui non si potesse andare in classifica mischiando musica pop ed alta letteratura. Ma se lo hanno fatto i Baustelle non è detto che sia sufficiente scrivere in italiano o rifarsi alla cronaca e alla letteratura per raggiungere quei picchi e penso che un disco come “La Malavita” sia il coronamento di un percorso non solo musicale o letterario, ma di vita. La cosa peggiore sarebbe accorgersi che alla fine molti degli artisti piu’ celebrati in un dato ambito debbano buona parte del consenso al fatto in sé di essersi messi a scrivere in italiano. Io credo che gli autori emergano ancora dalle scuole di pensiero, dalle esperienze intense di vita, dai fermenti di un dato momento storico, così come dall’innata ispirazione piu’ che dalla scelta del cantato in italiano.

I La Crus del vostro Cesare Malfatti ebbero l'onore di portare a casa un Premio Tenco. I Giardini di Mirò a cui hai partecipato sbancarono la critica. In una nostra conversazione mi hai confessato di non credere più molto nel potere delle riviste musicali. Che cosa c'è di diverso con il passato, o con l'estero di NME e di Les Inrockuptibles?
L+A: Sostanzialmente pensiamo che la quantità esagerata di prodotti presenti mensilmente sul mercato non abbia trovato una risposta efficace da parte dei media in generale, in primi dalle riviste. Preferirei che una rivista si concentrasse su qualche decina di titoli al mese, invece di recensirne centinaia, scegliendo sulla base di criteri un po’ piu’ selettivi che non la semplice ricezione gratuita di un disco e di una cartella stampa. Preferirei che alcuni artisti fossero seguiti periodicamente a 360° nella loro attività, così come avviene all’estero (senza scadere nell’effetto tabloid come fa appunto NME) piuttosto che vedere un resoconto mensile dell’attività di centinaia di etichette, ¾ delle quali non arrivano a vendere mille copie dell’intero catalogo in anni di attività nonostante l’enorme visibilità garantitagli. Quando uscì “Angel with dirty faces” di Tricky il Mucchio gli dedicò intere pagine, analizzandolo quasi canzone per canzone. A noi piaceva di piu’ quel tipo di approccio. Molti meno contenuti ma analizzati con piu’ rigore, piu’ passione e forse con la voglia di consegnare un’opera al suo tempo piu’ che a darle una posizione nella lista dei download.

Ed ora la parola alla gente. Quali sono le aspettative, le paure, le emozioni e le ambizioni degli Amor Fou?
A: Le aspettative sono le stesse di chi fa un lavoro indipendente. Essere credibili, onorare le proprie ispirazioni, non tradire il proprio sodalizio. Le emozioni sono tante e ogni giorno diverse, le paure sono congenite, con o senza musica. Ci piacerebbe incontrare persone che in qualche modo si trovino a proprio agio nel mondo di influenze che proviamo a raccontare o a mantenere vivo, persone che abbiano vissuto ieri e oggi certe stagioni della vita e le possano ritrovare in qualche modo nella nostra musica. Siamo convinti ce ne siano tante. In realtà questo disco è dedicato soprattutto ai giovani romantici e curiosi, al lato sano della società di tutti i giorni che non si piega alla moda del malessere e dell’adolescenza eternamente protratta, che preferisce corteggiare una ragazza al rischio di innamorarsene e perderla piuttosto che pippare cocaina per vincere la sindrome di Peter Pan.

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L'articolo Amor Fou - Milano, 25-08-2007 di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2007-10-08 00:00:00

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